“Manifesto per uno SDdV (Spettacolo Digitale dal Vivo)” da onLive. Libro Bianco sullo spettacolo digitale dal vivo in Italia

Il volume presentato il 22 e 23 novembre 2024 allo "Onlive Campus" a Torino

Pubblicato il 22/11/2024 / di / ateatro n. 201

Da venerdì 22 novembre 2024 torna, nell’ambito di TFI Torino Film Industry, onLive Campus, il primo format in Italia che riunisce comparto artistico, istituzioni, policy maker, aziende e mondo accademico con l’obiettivo di indagare la relazione tra spettacolo dal vivo e nuove tecnologie.
Ideato da Piemonte dal Vivo nel 2020, con la direzione scientifica di Simone Arcagni, onLive sviluppa la traiettoria strategica della Fondazione dedicata al digitale e alle nuove tecnologie trovando.

Sarà l’occasione per un viaggio alla scoperta di nuovi processi e prodotti creativi, tra forme di ibridazione e contaminazioni, per un’ampia riflessione sullo spettacolo digitale dal vivo.
Al centro di questa edizione le sfide legate alla generazione video ed elettronica e allo sviluppo delle tecnologie emergenti: dall’interattività ai motori grafici nati nel comparto gaming che hanno colonizzato anche gli effetti speciali cinematografici, fino alle piattaforme immersive e al metaverso. Si discuterà anche della cosiddetta Extended Reality (XR) o realtà estesa – che comprende la realtà virtuale (VR), la realtà aumentata (AR) e quella mista (MR) delle potenzialità dello streaming, delle connessioni di nuova generazione e delle soluzioni internet “decentralizzate” proposte dalla tecnologia blockchain, oltre che di NFT e IA.

Venerdì 22 novembre alle 1.000, al Circolo dei Lettori
VERSE. Creare reti nel Metaverso – promosso da Fondazione Links, Piemonte dal Vivo e AssociAnimAzione: panel con la partecipazione di soggetti di primo livello provenienti da vari ambiti nel settore delle performing arts e dell’audiovisivo.

Venerdì 22 novembre alle 16.00, al Circolo dei Lettori
Presentazione del Prix ViDa Italia, primo premio nazionale destinato alle produzioni originali di videodanza e danza XR, promosso dai partner di PRO|D|ES danza (CRO.ME, Coorpi, Cinematica e Zed Festival) che vedrà in finale 8 cortometraggi nazionali e internazionali realizzati tra il 2022 e il 2024.

Venerdì 22 novembre alle 19.00, al Cinema Greenwich Village
Dancing screens, selezione internazionale di cinema di danza a cura di Coorpi, CRO.ME e Compagnia della Quarta/Zed Festival Bologna nell’ambito del progetto PRO|D|ES. La scelta dei film pluripremiati propone uno sguardo sulla coreografia per lo schermo attraverso la lente di un genere cinematografico tra i più amati, il thriller, in cui tensione emotiva e narrativa sono veicolate con forza attraverso il linguaggio del corpo e della danza.

Sabato 23 novembre alle 14.30, al Circolo dei Lettori
Bellezza e partecipazione: Parliamo di accessibilità: panel sul tema dell’accessibilità nel cinema, nel teatro e nell’arte non solo tramite il rispetto delle normative e l’ausilio delle tecnologie emergenti, ma soprattutto attraverso la sensibilizzazione della filiera cinematografica e artistica.

Sabato 23 novembre alle 16.00, al Circolo dei Lettori
Presentazione del Libro Bianco sullo spettacolo digitale dal vivo in Italia

onLive
Libro Bianco sullo spettacolo digitale dal vivo in Italia

A cura di Simone Arcagni e Lucio Argano
in collaborazione con ADV – Arti Digitali dal Vivo
(Luiss University Press)

Il Libro Bianco raccoglie i contributi di esperti, studiosi, operatori che hanno firmato saggi su questo fenomeno: Annamaria Monteverdi, Antonio Pizzo, Alberto De Piero, Luca Befera, Andrea Malosio, Simona Lisi, Tatiana Mazali, Paolo Stratta, Antonio Taormina, Dario Ghiggi, Desirée Sabatini, Federica Patti, Vincenzo Sansone, Gabriella Taddeo, Donatella Ferrante, Maria Paola Zedda, Alessandro Bollo, Mattia Pivato, Carlo Infante, Matteo Negrin e Olivero Ponte di Pino.
Promosso nell’ambito del progetto onLive di Piemonte dal Vivo, il Libro Bianco nasce dalla volontà di restituire un quadro critico di conoscenza attorno alle fenomenologie dello spettacolo digitale dal vivo in Italia tracciando possibili strategie di valorizzazione e prospettive per il futuro.
Avvalendosi del contributo di più di venti studiosi e studiose, i due curatori hanno raccolto materiali, schede e riflessioni con l’obiettivo di tracciare una mappa esaustiva dello stato dell’arte di questo settore. Ne emerge una fotografia dinamica, e per certi versi inedita, del tracciato storico, critico e delle implicazioni sul piano delle norme, della formazione, della produzione, delle relazioni con festival, residenze e osservatori.

Manifesto per uno SDdV (Spettacolo Digitale dal Vivo)

Quando “spettacolo digitale dal vivo” era un ossimoro

Per certi aspetti – o meglio, fino a qualche anno fa – l’espressione “teatro digitale dal vivo” sarebbe stata considerata un nonsenso o un ossimoro.
Da un lato c’era (e c’è ancora, nelle suddivisioni ministeriali) lo “spettacolo dal vivo”, ovvero la “prosa”, la musica (cioè i concerti, le opere liriche, l’operetta), la danza, il circo, lo spettacolo viaggiante eccetera. Dall’altro si apre il campo dell’audiovisivo, ovvero il cinema e il video, la televisione, eventualmente la discografia, la radio e da qualche tempo i podcast… Da un lato il “qui e ora” della compresenza tra il pubblico e il/la performer, che sta alla base della reinvenzione teorica e pratica del teatro da parte di Jerzy Grotowski. Dall’altro il filtro tecnologico di uno schermo, un altoparlante, una cuffia, un visore 3D…
Il mondo dello spettacolo era composto da due insiemi disgiunti.
L’evento poteva essere dal vivo oppure digitale. Dietro questa dicotomia, se ne nascondevano altre, più o meno esplicite: naturale versus tecnologico, essere umano versus macchina, presenza versus remoto, irripetibilità versus riproducibilità, imprevedibilità versus determinismo… Per il teatro questa opposizione era diventata il fondamento identitario da cui far discendere la propria specificità.

Teatro versus tecnologia

In realtà il teatro è da sempre tecnologico. Come spiega Robert Lepage,

“credo che il cocktail tra l’attore reale e la sua immagine sia all’origine del teatro stesso. Sono un convinto sostenitore del fatto che il teatro nacque con il riunirsi della gente intorno a un falò a causa del freddo. In una di queste occasioni una persona si sarà alzata e avrà cominciato a raccontare una storia. Alzandosi la sua ombra si sarà riflessa sul muro. È probabile che abbia cominciato a giocare con questa ombra. A mio avviso, le proiezioni nei miei spettacoli sono il risultato di questo fuoco primitivo che ancora domina la scena” (Iglesias Simón 2005).

Il teatro è un dispositivo, fin dai tempi delle maschere-megafono utilizzate nei teatri di Atene per inventare il primo mezzo di comunicazione di massa, nel momento in cui nasceva la democrazia.
Di più, la scena è in grado di accogliere con grande rapidità qualunque nuova forma d’arte (e qualunque nuova tecnologia), nell’ottica onnivora dell’opera d’arte totale (Balzola, Monteverdi 2004). Fin dagli anni Venti del Novecento si sono visti spettacoli “dal vivo” in cui irrompevano immagini registrate, prima su pellicola (con il teatro politico di Erwin Piscator in Germania) e poi su nastro magnetico. Sugli schermi o sui monitor posizionati in scena, per decenni è stato proiettato “l’altro”: l’immaginario, il sogno, la fantasia, il passato o il futuro, l’esterno e il “dietro le quinte”, ma anche la “realtà” del documento storico o del filmino “privato”…
Con l’arrivo del video, la dialettica si è ulteriormente arricchita e stratificata. Alle immagini preregistrate si sono aggiunte quelle in diretta, dallo spazio scenico o dall’esterno.

Per uno spettacolo digitale dal vivo

Il lavoro dello Squat Theatre (Galasso, Valentini 1998), le sperimentazioni di Studio Azzurro e Giorgio Barberio Corsetti con Camera astratta (Studio Azzurro, Barberio Corsetti 1988) o di Michele Sambin con TAM (Lischi, Parolo 2014), erano il corrispettivo teatrale delle prime videoinstallazioni create da Nam June Paik fin dagli anni Sessanta del Novecento. Quelle esperienze erano insieme “dal vivo” e “digitali”. I due sottoinsiemi dello spettacolo non erano più disgiunti, ma si era creata una interessante intersezione tra eventi dal vivo ed eventi digitali.
In realtà la mutazione è stata più profonda. Lo spettacolo, come tutti gli altri settori dell’economia e della società, ha iniziato a utilizzare i nuovi strumenti digitali, più veloci, potenti, efficaci (nell’inevitabile tentativo di limitare gli effetti della Legge di Baumol, anche se con una certa lentezza). Negli ultimi decenni, il digitale ha colonizzando l’intera filiera produttiva dello spettacolo dal vivo, dall’ideazione e progettazione alla produzione, dalla comunicazione all’archivio.
Il digitale già viene utilizzato da tempo, solo per fare alcuni esempi:
-nella progettazione degli spettacoli, con simulazioni 3D e in movimento di spazi, costumi, luci, coreografie;
-utilizzando in scena proiezioni di vario genere, più o meno sofisticate, più o meno immersive, in diretta e registrate, in presenza e da remoto;
-offrendo ai protagonisti in scena la possibilità di interagire con altri (artisti e pubblico) in presenza e in remoto, adottando varie modalità di interazione, spesso con soluzioni innovative;
-utilizzando sistemi audio (cuffie, cellulari) per gestire l’interazione con gli spettatori e le loro azioni (ma anche inviando una voce preregistrata nell’auricolare al posto dell’antico suggeritore);
-utilizzando sistemi di realtà virtuale e in generale di realtà aumentata;
-utilizzando la registrazione audio e video e lo streaming durante le prove e nei percorsi di formazione;
-creando eventi in streaming;
-realizzando in digitale i programmi di sala e altro materiale di comunicazione, anche in un’ottica paper free;
-utilizzando l’audiovisivo come strumento di promozione (clip audio e video) e creando così materiali d’archivio;
-diffondendo in rete contenuti audiovisivi (gestione dell’archivio e diffusione del repertorio);
-utilizzando i diversi canali social per la promozione e il branding;
-attivando nuove modalità di interazione con il pubblico in remoto, recuperando (almeno in parte) l’esperienza della liveness.
Tra i primi ad accorgersi dell’irruzione del digitale nel campo assai conservatore dello spettacolo dal vivo sono stati i (giovani) critici e studiosi che, vedendo anche diminuire lo spazio delle recensioni sui media tradizionali, hanno iniziato a pubblicare sul web: vedi in Italia il fenomeno di Rete Critica, che ha raccolto a partire dal 2012 decine di testate online che dedicano spazio allo spettacolo dal vivo (Alonzo, Ponte di Pino 2017). E sono numerose le nuove professionalità e competenze sviluppate dalla sinergia tra spettacolo dal vivo e digitale.
A questa tendenza si sovrappone quella che Henry Jenkins ha definito “convergenza digitale”, ovvero la possibilità di convertire qualunque segnale analogico (testi, immagini, suoni) in stringhe di codice binario e di diffonderli attraverso un unico dispositivo (un teatro o uno smartphone), attraverso la rete (Jenkins 2007).
Quella che poteva apparire un’insensatezza o un ossimoro è ormai una banalità. Oggi qualsiasi spettacolo dal vivo, salvo rarissime eccezioni, è anche digitale. I due insiemi coincidono ormai quasi totalmente.

La nuvola digitale e l’onlife

A cambiare è stato anche e soprattutto il contesto. Qualsiasi evento – compresi gli accadimenti della nostra vita quotidiana, compreso qualunque spettacolo – è oggi immerso in una nuvola digitale. Ci informiamo online (magari guardando un videoclip promozionale) e acquistiamo il biglietto sul sito del teatro o sulle piattaforme di ticketing, nella speranza di uno sconto last minute. L’esperienza “reale” si riverbera sui social, prima e dopo l’evento – e a volte anche durante lo spettacolo, per non parlare del rito postmoderno della foto con il cellulare quando i performer vengono a prendersi gli applausi.
Se per i boomer esisteva un confine netto, quasi palpabile, tra online o offline, oggi viviamo nella dimensione ibrida dell’onlife, per usare la sintesi di Luciano Floridi, dove le due dimensioni si intersecano fino a diventare indistinguibili [Floridi 2017; Ponte di Pino 2020]. La “presenza” (la liveness) non è un dato oggettivo, ma un fenomeno mentale, una questione di consapevolezza. Prima di essere una realtà corporea, è una percezione soggettiva: può essere più “presente” l’amica con cui parlo in videochat rispetto alle persone che si trovano con me nella stessa stanza. Sperimentiamo diversi “gradienti di liveness” [Gemini, Brilli 2023]. I media non cancellano l’effetto di presenza, ne declinano ulteriormente le possibilità. L’ampio uso di nuove tecnologie sulla scena dimostra che era infondata “la preoccupazione che l’ingresso dei media digitali potesse erodere una supposta verità del qui e ora. In poco più di un decennio, la pratica ha dimostrato che i media possono partecipare all’evento senza cannibalizzare la sua natura dal vivo, anzi arricchendo la scena e la drammaturgia dei codici propri dell’esperienza contemporanea” [Lehmann 2011].

Oltre la rappresentazione: effetti di realtà

Nell’orizzonte della tradizionale opposizione tra la realtà e la rappresentazione (ovvero tra reale e finzione scenica), la funzione del dispositivo teatrale era chiara: a essere messo in discussione era il rapporto tra la realtà in cui viviamo (i fatti) e la rappresentazione (la finzione) che ne era la metafora e insieme la plasmava. Il “brivido” metateatrale è la conseguenza di questo gioco, e la testimonianza della sua efficacia.
Questo schema “binario” è radicalmente cambiato con l’irruzione delle nuove tecnologie di riproduzione della realtà: la fotografia e il cinema, la registrazione e riproduzione dei suoni, la radio e la televisione, ma soprattutto dell’esplosione di internet, frutto della convergenza verso il digitale e della connessione 24/7. La pittura e lo spettacolo dal vivo hanno perso il monopolio della rappresentazione della realtà, mentre la vita quotidiana veniva colonizzata dai dispositivi di riproduzione della realtà. La realtà sprofondava, come aveva profetizzato Jean Baudrillard, nella simulazione [Baudrillard 1981]. Esemplare in questo senso la riflessione sul simulacro e la simulazione condotta in Rohtko dal regista polacco Łukasz Twarkowski [Twarkowski 2022].
A caratterizzare lo spettacolo contemporaneo non è più la dialettica tra realtà e rappresentazione, ma l’uso di diversi “effetti di realtà”, per riprendere l’espressione teorizzata da Roland Barthes per la letteratura. In scena, gli effetti di presenza e di reale rompono la finzione, creando effetti paradossali. Si tratta di inserire consapevolmente, nello spazio della scena, frammenti di reale per rompere (o rendere porosa) la barriera tra finzione e realtà, mettere in discussione lo statuto finzionale dell’evento, e dunque mettere in discussione anche il piano del reale. L’effetto si può ottenere, per esempio, utilizzando le caratteristiche fisiche, sociali o psicologiche dei performer (spesso non professionisti); impiegando animali o bambini piccoli (notoriamente meno “controllabili” di un attore, anche perché non sono consapevoli della finzione); introducendo elementi autobiografici nella narrazione e dicendo “io”; offrendo alimenti da consumare con il pubblico; inserendo elementi di casualità, imprevedibilità e rischio; ricorrendo a documenti e oggetti ostentatamente “reali”; aprendosi a spazi dove continua a scorrere la vita quotidiana…

Il “qui e ora” planetario

Con l’avvento del digitale, anche il “qui e ora” è radicalmente mutato, come ha sintetizzato con lucidità Michel Serres:

“Le reti sostituiscono la concentrazione con la distribuzione. Da quando disponiamo, su una postazione portatile o sul telefonino, di tutti i possibili accessi ai beni o alle persone, abbiamo meno bisogno di costellazioni espresse. Perché anfiteatri, classi, riunioni e colloqui in un dato luogo, e perché una sede sociale, dal momento le lezioni e colloqui possono tenersi a distanza? […] Quando tutti i punti del mondo godono di una sorta di equivalenza, la coppia qui e ora entra in crisi. Heidegger, filosofo oggi assai letto nel mondo, nel chiamare esserci l’esistenza umana, designa un modo di abitare o di pensare in via di estinzione. Il concetto di ubiquità – la capacità divina di essere ovunque – descrive meglio le nostre possibilità rispetto al funebre qui giace” [Serres 2014].

Il “qui e ora” della compresenza fisica non può più essere il fondamento dello “specifico” del teatro, nella sua ricerca delle sue radici antropologiche. Nella nostra esperienza, non c’è più solo la realtà quotidiana e tangibile (alla materialità erano in fondo riconducibili anche la pittura e il teatro), ma ci sono il digitale, il virtuale, l’immateriale. La vita scorre sugli schermi. Se non siamo digitalizzati e se non ci esibiamo nel virtuale, non esistiamo.

Manifesto per uno SDdV (beta version)

Non appena il teatro ha iniziato a interrogarsi su questo orizzonte, il suo dispositivo ha iniziato a cambiare. La grammatica si è fatta più complessa, in un processo fondato su una riflessione – spesso esplicita – sui media e sul linguaggio utilizzati. Vanno dunque ridefinite le caratteristiche, le potenzialità e le possibili linee di sviluppo di questo nuovo Spettacolo Digitale dal Vivo (SDdV).
Integrare il digitale nella filiera dello spettacolo dal vivo
Il digitale è ormai parte integrante di molti segmenti della filiera dello spettacolo dal vivo. Manca tuttavia in molte organizzazioni la consapevolezza della pervasività del digitale in un ambiente di lavoro che si vuole “artigianale”, “artistico”.
Non è un processo facile. In primo luogo, c’è una differenza di orizzonti e di linguaggi tra i due settori, che va superata. Inoltre il digitale viene considerato troppo costoso per strutture povere e con un limitato orizzonte finanziario. Ma in questi anni sono state sperimentate numerose soluzioni creative a basso costo che hanno integrato il digitale nello spettacolo dal vivo [Ponte di Pino 2024]. Inoltre i tempi di progettazione e realizzazione dei progetti multimediali non coincidono con le modalità di creazione dei teatranti, che sono abituati a cambiare tutto all’ultimo momento: in questi casi è necessaria una programmazione di lungo periodo, per la quale i cambiamenti last minute sono impossibili (o molto costosi).
D’altro canto, il digitale spinge a sviluppare in maniera innovativa la creatività non solo sul piano artistico, ma anche su quello produttivo, organizzativo e comunicativo, oltre che sul versante della creazione e della condivisione della memoria. Perché questa creatività venga valorizzata, è opportuno che si incroci con la creatività nell’applicazione delle nuove tecnologie in un diverso contesto.

Una forma ibrida

Lo SDdV è una forma ibrida, che tende a essere:
# multidisciplinare: attinge a varie scienze (anche quelli dei “professionisti della vita quotidiana”), professionalità, discipline, arti. Il teatro è strumento di conoscenza che si appropria di questi saperi li illumina e li condivide;
# multimediale: perché può utilizzare diversi media e piattaforme, mettendosi in dialogo con loro prima, durante e dopo l’evento;
# intermediale: perché può appropriasi dei contenuti di altri media (libro, cinema, video, arti visive, gaming…) e si può disseminare in altri media;
# transmediale: perché un contenuto (o una storia) può attraversare diversi media, piattaforme, canali, con eventi live ed eventi mediali o social.
Questa creatività ibrida può insediarsi negli spazi ibridi e connessi [Carlini, Gallina, Ponte di Pino 2017], che in Italia fanno capo alla rete dello Stato dei Luoghi.
Corpo e media
Secondo Hans-Thies Lehmann, “il futuro del teatro non è nell’opera digitale o nelle performance virtuali, ma nel gioco fra corpo e media” [Lehmann 2011]. In una società sempre più proiettata in una dimensione virtuale, “privata”, dove la comunicazione è di norma mediata da un dispositivo tecnologico (schermo o auricolare), preservare la dimensione della liveness dello spettacolo dal vivo è un obiettivo strategico, perché:
# riporta il corpo (la compresenza dei corpi, con la loro fisicità) al centro della scena;
# situa i corpi in uno spazio reale e condiviso (pubblico o privato, urbano o naturale), anche per esperienze immersive e itineranti;
# sono sempre più numerosi i processi che, al di fuori dell’ambito strettamente culturale, utilizzano lo spettacolo dal vivo in un’ottica di welfare e salute, formazione, coesione sociale, turismo esperienziale (e sostenibile);
# consente di riappropriarsi dello spazio pubblico, anche come luogo di incontro e di dibattito e confronto democratico;
# è dunque in grado di risemantizzare e riattivare i luoghi e gli spazi, restituendoli alla collettività, anche nell’ottica di rigenerazione dei territori a base culturale;
# crea comunità, in relazione con i territori e chi li abita.
La tecnologia può mettersi al servizio della liveness. Sono ormai numerosi gli spettacoli itineranti in cui lo spettatore riceve varie indicazioni e informazioni attraverso le cuffie. In altri casi, è possibile far ricorso alla realtà aumentata (tenendo sempre presente che la scena è da sempre un “teatro della percezione” semplificato e “aumentato”).

Per un teatro politico (oltre Brecht)

Se oggi per noi la realtà è un fantasma plasmato dai media, diventa necessario decostruirla, intrecciando il “qui e ora” dell’evento teatrale al rimando al reale, alla riproduzione filmica o video, in diretta o registrata, all’universo social. Si tratta di una rivisitazione mediatica e post-moderna dell’effetto di straniamento brechtiano. Non vengono messi a confronto due “segni” contrastanti (la donna in lacrime cui si affianca il clown che la imita beffardamente, come in Brecht), ma due modalità di rappresentazione dello stesso evento, oppure la rappresentazione di un evento con effetti di reale che ne mettono in discussione lo statuto e il senso.
Proprio per le sue profonde radici antropologiche, il teatro è una preziosa sonda nell’universo della comunicazione digitale e della simulazione. È in grado di mostrare le trappole della comunicazione in cui siamo immersi, o per lo meno di renderci più consapevoli dei suoi meccanismi manipolatori.

Per la sostenibilità ambientale, sociale ed economica

Il digitale offre preziosi strumenti per aumentare la sostenibilità ambientale e sociale degli eventi. Sul fronte dell’accessibilità, basti pensare alle possibilità d’accesso offerte dalle nuove tecnologie ad alcune categorie svantaggiate (ipovedenti, ipoudenti, utenti con scarsa mobilità…). Alcuni esempi: sovratitoli e sottotitoli per non udenti, audiodescrizioni per non vedenti o ipovedenti (magari realizzate con l’ausilio dell’IA).
Sul versante dell’impatto ambientale, la comunicazione online può offrire un’alternativa alla carta (senza mai dimenticare che anche il digitale è fisico e ha una sua impronta carbonica).
Nella direzione della sostenibilità e dell’accessibilità, le potenzialità del digitale sono ancora in buona parte da esplorare.

Ampliamento del pubblico (su teatro e video)

Nel corso del Novecento il teatro da mezzo di comunicazione di massa è diventato un medium élitario. Lo stesso sta accadendo per il cinema, che dopo l’avvento della televisione e soprattutto delle piattaforme, da esperienza popolare sta diventando esperienza eccezionale, per teen agers e appassionati.
Ma a partire dagli anni Settanta i costi e le complessità tecniche per la produzione di video si sono drasticamente abbassati. I video teatrali (in origine di bassa qualità, spesso realizzati per esigenze tecniche o di documentazione) sono sempre più numerosi.
Il videoteatro 2.0 ha oggi la possibilità – nelle sue forme più spettacolari e curate – di accedere a una diffusione su alcuni canali commerciali, raggiungendo fasce più ampie di pubblico. Un’efficace presenza online è oggi strategica per intercettare le fasce di spettatori più giovani, ricordando che non è solo un problema di contenuti ma anche e soprattutto di linguaggi e di modalità comunicative e di ingaggio.

Il futuro della memoria

Fino agli anni Settanta, la documentazione video degli spettacoli teatrali era un evento raro, i risultati spesso frammentari o quasi sempre deludenti.
La memoria dell’evento teatrale, che svanisce nel momento stesso in cui accade, era quasi tutta nella memoria dello spettatore, salvo labili tracce che gli storici del teatro decifravano con fatica. Oggi la produzione di video teatrali pare inarrestabile.
Cambiano dunque gli archivi teatrali e le loro funzioni, ma forse a cambiare è la memoria stessa del teatro e dunque la sua natura.

Bibliografia

Alonzo, Giulia, Ponte di Pino, Oliviero (2017), Dioniso e la nuvola. L’informazione e la critica teatrale in rete: nuovi sguardi, nuove forme, nuovi pubblici, Franco Angeli, Milano.
Balzola, Andrea, Monteverdi, Anna Maria (2004), Le arti multimediali digitali. Storia, tecniche, linguaggi, etiche ed estetiche delle arti del nuovo millennio, Garzanti, Milano.
Carlini, Cristina, Gallina, Mimma, Ponte di Pino, Oliviero (a cura di) (2017), Reinventare i luoghi della cultura contemporanea. Nuovi spazi, nuove creatività, nuove professioni, nuovi pubblici, FrancoAngeli, Milano.
Floridi, Luciano (2017), La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Cortina, Milano.
Galasso, Sabrina, Valentini, Valentina (a cura di) (1998), Squat Theater (1969-1981), Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro).
Gemini, Laura, Brilli, Stefano (2024), Gradienti di liveness. Performance e comunicazione dal vivo nei contesti mediatizzati, Franco Angeli, Milano.
Iglesias Simón, Pablo (2005), Una conversación con Robert Lepage a la hora del té, “ADE-Teatro”, 106, pp. 74-82.
Lehmann, Hans-Thies (2011), La presenza del teatro, in “Culture teatrali”, 21, numero monografico On Presence, a cura di E. Pitozzi.
Lischi, Sandra, Parolo, Lisa (2014), Michele Sambin performance tra musica e video, CLEUP, Padova.
Ponte di Pino, Oliviero (2020), Livelli di realtà. Per una sintassi della liveness, tra online e offline, intervento al convegno “Teatroselfie [Autoritratto del teatro]”, Teatro Olimpico, Vicenza, 8 e 9 novembre 2019, https://www.ateatro.it/webzine/2020/07/13/livelli-di-realta-per-una-sintassi-di-liveness-online-e-offline/.
Ponte di Pino, Oliviero (2023), Cultura. Un patrimonio per la democrazia, Vita e pensiero, Milano.
Serres, Michel (2014), Le banche dati che ci obbligano a essere intelligenti, “la Repubblica”, 17 gennaio 2014.
Studio Azzurro, Barberio Corsetti, Giorgio (1988), La camera astratta. Tre spettacoli tra teatro e video, Ubulibri, Milano.
Twarkowski, Lukasz (2022), Rothko as Rotkho. Lukasz Twarkowski on the provenance of art, https://theatre.lv/eng/rothko-as-rotkho-lukasz-twarkowski-on-the-provenance-of-art/.




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