Luoghi da narrare, luoghi per narrare

L'intervento alle Buone Pratiche del Teatro | Trieste, Hangar Teatro, 7 ottobre 2024

Pubblicato il 20/11/2024 / di / ateatro n. 200 | #BP2024 | Trieste
Carlo Presotto

Carlo Presotto

Fabio Viola, nel suo libro L’arte del coinvolgimento (2017) sostiene che “il coinvolgimento (engagement) sarà il motore del XXI secolo”, e articola la sua affermazione interpretando una serie di tendenze accelerate dalla diffusione dei dispositivi digitali personali per quanto riguarda la fruizione della cultura, l’economia, della politica (!?), e in generale della nostra relazione con il mondo.
E da progettista di videogiochi introduce un concetto che proviene dagli studi sulla performance, quello di liveness. Il concetto di liveness riguarda la qualità che attribuiamo all’esperienza di partecipare “dal vivo” a un evento e al tipo di presenza nello spazio e nel tempo che la nostra partecipazione può assumere: essere “dal vivo” nella nostra epoca, con chat, streaming, smart working, didattica online, può assumere sfumature molto diverse. In estrema sintesi possiamo dire che io riesco a coinvolgere attivamente una persona in un processo quando questa persona percepisce che la propria presenza influisce sul processo stesso, in qualche modo lo trasforma. Gemini e Brilli (Gradienti di liveness. Performance e comunicazione dal vivo nei contesti mediatizzati, 2023), studiando le interazioni tra reale e virtuale, hanno scritto a proposito dei gradienti di liveness che può assumere una performance. E’ chiaro come lo spettatore sia per sua natura partecipante, coinvolto, in un un evento performativo, come quello teatrale. Lo spettatore partecipante è l’obiettivo naturale, anche se a lungo obliato e tradito del teatro (Piergiorgio Giacchè, Lo spettatore partecipante: contributi per una antropologia del teatro, 1991).
Eppure osservando gli spazi culturali urbani indipendenti, come oggi in modi pur diversi stanno relazionadosi ai territori in cui agiscono, mi pare possa stimolare alcune domande fertili sulle mutazioni che la dimensione della partecipazione del pubblico, del suo coinvolgimento, dell’audience engagement stia assumendo, in particolare con tutte le accelerazioni e le ripartenze provocate dai due anni di pandemia.

Carlo Presotto, <em>Silent Play</em>

Carlo Presotto, Silent Play

L’idea che il luogo sia un attore significativo della costruzione di un pubblico, di una comunità, non è certo nuova. Nelle sue riflessioni, Franco La Cecla (Mente locale. Per un’antropologia dell’abitare, 1995) dà voce a un efficace contraltare alla teorizzazione di Marc Augè sulla diffusione dei non luoghi nella società liquida.
Scriveva già trenta anni fa come

Solo oggi, dopo molti anni di mito sul Villaggio Globale e sui nuovi cittadini del mondo, si comincia a capire che il processo di adattamento tra un individuo, un gruppo ed un luogo è una costruzione di una complessità affascinante e fragile insieme. Noi di questo processo sappiamo ancora ben poco, perché fa parte di quelle facoltà quotidiane che corriamo il rischio di non vedere. Ma al pari della parola e dei gesti, il fare proprio un posto è un tipico lavoro umano.

Gli spazi culturali indipendenti rappresentano, in particolare per gli esempi che posso osservare nell’ambito della agropoli diffusa del nordest che frequento maggiormente, un livello interessante in cui osservare come le organizzazioni teatrali affrontano questo compito di abitare, “far proprio” un luogo.
Mi permetto di proporvi un piccolo gioco di parole, a partire dalla parola che in dialetto veneto indica il nido:

Gnaro quel posto che i oxèƚi o inseti tipo api o vèspe i se costruise par abitarghe e par depore i ovi, par farse el gnaro.

Il gioco di parole prende spunto dalle riflessioni di due autori, Marco Dallari (La zattera della bellezza. Per traghettare il principio di piacere nell’avventura educativa, 2021) e Luciano Manicardi (Raccontami una storia. Narrazione come luogo educativo, 2012), per approfondire il significato del verbo narrare. L’etimologia di questa parola offre spunti illuminanti: il verbo latino narro deriva infatti dall’aggettivo raro gnarus, che racchiude in sé il senso di “sapere”, di avere conoscenza ed esperienza.
Chi è gnarus è esperto, consapevole; possiede una conoscenza approfondita e sa ciò che fa e ciò che dice. Da questa radice, narrare (gnar-are) è quindi il tipo di discorso che scaturisce dall’esperienza e dalla consapevolezza. Non è un parlare qualunque, ma un discorso che porta in sé competenza, vissuto e sapere. Narrare è, in effetti, trasmettere esperienza, e attraverso questo processo l’ascoltatore diventa a sua volta gnarus, partecipe di una consapevolezza condivisa.
Abitare uno spazio – come “fare il proprio nido” in un luogo o in un teatro – si configura allora come un atto di narrazione. È una costruzione comune, un processo che stratifica una memoria collettiva insieme a una comunità di spettatori e al territorio che la circonda. Questo territorio, con la sua storia e le sue caratteristiche uniche, viene rielaborato e rappresentato in una narrazione che è al contempo intima e collettiva, un racconto che prende forma nello spazio e nel tempo.
In questo senso, fare proprio un luogo non è semplicemente occupare uno spazio fisico, ma avviare un processo di co-costruzione narrativa. Il luogo diventa teatro di una memoria condivisa che unisce la comunità, intrecciando le esperienze individuali e collettive in un racconto vivo e dinamico, che evolve e si arricchisce nel tempo grazie al contributo di chi lo abita e lo vive.

Questa idea si manifesta in vari modi:
1. Maggiore permeabilità degli spazi culturali: gli spazi culturali non si limitano più a ospitare eventi performativi, ma sviluppano una vita continua, rendendosi abitabili attraverso caffetterie, laboratori, esposizioni ed esperienze multisensoriali e aumentate tecnologicamente.

<em>A misura di bambino</em>, La Piccionaia

A misura di bambino, La Piccionaia

2. Processi partecipativi per la progettazione degli spazi: gli spazi culturali si aprono a processi partecipativi anche imprevisti, coinvolgendo nuovi pubblici oltre ai tradizionali appassionati o abbonati. Un esempio è il progetto “Teatro a misura di bambino” de La Piccionaia, realizzato al Teatro Astra di Vicenza e al Teatro Comunale di Mirano.

Memorie del nostro Fugimento. Paesaggi migranti (Museo Cervi, 29 agosto 2024)

3. Nuove geografie culturali: le attività culturali rivolte ai “non-pubblici” ridisegnano le geografie del territorio, portando iniziative culturali anche in parchi, giardini, boschi urbani, centri storici e periferie, grazie a bandi di rigenerazione culturale che trasformano questi luoghi in estensioni importanti dello spazio culturale.

<em>Memorie del nostro Fugimento. Paesaggi migranti</em>

Memorie del nostro Fugimento. Paesaggi migranti

4. Trasformazione delle liturgie comunitarie: eventi locali come sagre, rievocazioni storiche, cosplaying e mercatini diventano occasioni di riappropriazione dello spazio pubblico e di partecipazione comunitaria. Mauro Ferrari (2019) chiama queste esperienze “liturgie”, perché sono riti mobili e periodici, attesi e creati dalla comunità, che ogni anno si ripetono, talvolta in luoghi diversi e con gruppi organizzativi variabili. Con le trasformazioni culturali e generazionali, oggi quelle che una generazione fa erano sagre o feste di partito, stanno cambiando pelle, stanno assumendo la funzione di una riappropriazione dello spazio pubblico da parte della comunità con processi partecipativi diffusi. E in molti casi queste che abbiamo chiamato liturgie diventano occasione di produzione performativa e di commissione artistica.

<em>Rodi Rodi Morsicchia. Silent Play</em> all'Orto Botanico di Padova

Rodi Rodi Morsicchia. Silent Play all’Orto Botanico di Padova

Tali fenomeni, considerati nel loro insieme, ci inducono a riflettere sulle sfide che lo spettacolo dal vivo affronta oggi, in un’industria culturale sempre più orientata al consumo rapido dei prodotti rispetto all’attivazione di processi partecipativi.
Credo che gli spazi culturali indipendenti, insieme ad alcune realtà progettuali, stiano svolgendo un ruolo virtuoso nell’attivazione di comunità di spettatori coinvolti, engaged. Questi spettatori non sono semplici consumatori di prodotti culturali, ma partecipano a un circolo virtuoso che li lega agli artisti. La riflessione di Carlo Petrini sulle “comunità del cibo” offre un utile parallelo per immaginare un teatro come “bene comune”, capace di creare processi identitari per comunità legate a luoghi e valori condivisi. Il teatro, con un approccio diverso agli spazi culturali, diventa così un catalizzatore di narrazioni latenti della comunità, che il linguaggio drammaturgico aiuta a rielaborare e restituire alla comunità stessa.




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