Organizzazioni culturali ibride: un patrimonio di conoscenze e di pratiche da valorizzare

Qualche parola chiave e qualche riflessione, a margine dei sei esempi di spazi culturali urbani presentati alle Buone Pratiche del Teatro a Trieste il 7 ottobre 2024

Pubblicato il 10/11/2024 / di / ateatro n. 200 | #BP2024 | Trieste

Identità e diversità: la natura ibrida
Slow Machine (Belluno), Circo all’Incirca (Udine), Carichi Sospesi (Padova), Smart (Arco/Rovereto), Fucina Culturale Machiavelli (Verona), Hangar Teatri (Trieste): le sei realtà che si sono raccontate come casi di studio ed esempi di spazi culturali urbani del Triveneto sono estremamente diverse, al punto da non essere affatto (non tutte, o non del tutto) assimilabili tra loro.
Si va da Smart, che cura quelli che prima di tutto sono centri giovanili dalla spinta innovativa, e poi ospitano anche qualche appuntamento teatrale e culturale; a Slow Machine, che invece è un’impresa di produzione, che ha il suo focus sulla creazione artistica e sul rapporto palco/platea, anche se nella sua descrizione inserisce un accenno alle community arts.
Tra questi due poli passano poi Circo all’Incirca, che ha nella sua mission far conoscere l’arte circense e che però allo stesso tempo pone un forte accento sul circo come sport e come attività ricreativa, e lo fa senza il timore che di solito attanaglia i teatranti di venire etichettato come “circo sociale”; Hangar Teatri, che è stato capace di sganciarsi dalla dipendenza verso le istituzioni e gli spazi pubblici, trovando la forza di acquistare e ristrutturare gli ambienti nei quali realizzare le proprie, multiformi, attività; Fucina Culturale Machiavelli, che tenta invece di ristrutturare e di reinventare uno spazio non proprio, alla ricerca anche di una affermazione di professionalità non scontata sul territorio di provenienza e di alleanze con realtà più consolidate; e Carichi Sospesi, che comincia la sua lunga avventura nel 1998, con l’invenzione di mille attività pensate soprattutto per la sopravvivenza e per “pagare l’affitto”, e poi riscontra in queste dei motori artistici e valoriali nei quali si riconosce ancora oggi.

Trieste, Hangar Teatri, 7 ottobre 2024. Il tavolo “Gli spazi culturali urbani, esempi di coesione sociale”: Rajeev Badhan (SlowMachine – Belluno), Giovanni Beber e Ilaria Argenziani (Cooperativa Smart – Rovereto), Marco Caldiron (Carichi Sospesi – Padova), Marta Pari (Hangar Teatri – Trieste),
Davide Perissutti (Circo all’inCirca – Udine), Sara Meneghetti (Fucina Culturale Machiavelli – Verona). Sulla sinistra, Oliviero Ponte di Pino, Micaela Casalboni, Paolo ANiello e Mimma Gallina

La descrizione puntuale delle sei realtà può essere ascoltata nel video della giornata; da parte mia, quindi, solo alcune domande e riflessioni flash:

1. una maggiore attenzione dedicata alla produzione e alla creazione artistica contemporanea significa necessariamente una minor attenzione rivolta alle comunità? E una più grande attenzione a processi di co-creazione con le comunità, nonché ad alleanze transettoriali e transdisciplinari, vuol dire necessariamente meno arte o arte di minore qualità? La risposta è certamente no. Ma, altrettanto certamente, la sfida per portare avanti entrambe mantenendo un livello qualitativo e di ingaggio alto è molto grande, sia a livello di risorse in campo che di competenze necessarie. Specialmente in un settore (e in un paese) nel quale tutto il teatro e il circo che si svolgono in contesti non teatrali sono percepiti come eventi di serie B.

2. Hangar Teatri ha descritto la propria natura come “ibrida”, definizione che potrebbe attagliarsi bene anche ad altri dei casi presentati. Questa caratteristica a volte è una scelta, altre volte una necessità: siamo artisti o “sportivi” (citando Circo all’Incirca)? Siamo cultural manager o educatrici? Siamo operatrici sociali o attivatori di comunità? Siamo questo ma anche quello e pure quell’altro?
Questa natura è per certuni la rappresentazione dell’eterna battaglia tra: azioni che facciamo perché sono il nostro obiettivo primario; azioni che facciamo perché dobbiamo sopravvivere (o pagare il mutuo, o le persone che lavorano con noi…); azioni che non pensavamo come primarie per il nostro percorso, ma che una volta fatte cambiano per sempre anche il nostro essere artisti e artiste e non vogliamo più farne a meno.
Insomma, questo essere ibridi è talvolta un circolo virtuoso, che arricchisce le comunità tanto quanto gli spazi culturali e gli artisti e le artiste; talaltra, è un circolo vizioso di auto-sfruttamento, in base al quale: faccio tante cose perché devo sopravvivere – facendo tante cose mi servono tante persone – avendo tante persone che dipendono da me, devo fare tante altre cose e così via. Se ne esce? Se sì, come?

3. Una delle cose più difficili da fare, quando si ha natura ibrida (appaiata magari anche a risorse non elevate), è riuscire a raccontare per bene al di fuori chi si è, che cosa si fa, chi si vorrebbe coinvolgere nelle attività sia come beneficiari che come pubblici di riferimento.
In parte, come accennato, per colpa delle poche risorse a disposizione: curare la comunicazione sui vecchi e nuovi media, e farlo bene, è sempre più difficile e time-consuming, ragion per cui, solo per fare un esempio, alcuni dei siti internet di queste realtà non rendono onore alla meravigliosa creatività e profondità che noi abbiamo conosciuto di persona a Trieste. I loro frequentatori e frequentatrici sicuramente la sperimentano da vicino, ma le istituzioni che dovrebbero o potrebbero aiutarle o collaborare con essi?
In secondo luogo, è difficile raccontarsi anche perché non esistono tante orecchie predisposte all’ascolto di questa complessità. Se sei un teatro che fa abbonamenti e ospita spettacoli la sera, ti capisco e ti seguo senza difficoltà. Se sei un centro culturale che di giorno si trasforma in centro anziani e la sera in teatro, nel quale hai anche aperto un bar e uno spazio per il co-working e il co-studying è molto più difficile comprendere cosa fai e perché dovrei seguirti. Ergo, la tua strategia comunicativa e di coinvolgimento dovrà essere molto evoluta e specifica.

Spoiler: gli esseri e le organizzazioni culturali con natura ibrida non sono il futuro, sono il presente già in molte città d’Europa e del mondo.

Advocacy e alleanze possibili

L’humus di realtà come quelle incontrate il 7 ottobre a Trieste è, in generale, ricco e vivace, e mi sprona ad allargare un poco lo sguardo.

A guidare e far vivere queste organizzazioni sono persone mediamente giovani, competenti, flessibili, capaci di pensare (cito loro) out-of-the-box, e spesso anche con buone idee.
Una tra queste, Fucina Culturale Machiavelli, ha inserito, nel quadro dei valori che la guida, anche “Advocacy”, ovvero la necessità di un lavoro incessante e mai domo con le istituzioni perché riconoscano il valore della cultura. E agiscano di conseguenza.

Al lavoro! Mimma Gallina, Oliviero Ponte di Pino e Micaela Casalboni del direttivo di Ateatro

Un’altra parola che emerge da quanto ascoltato e che andrebbe inserita in ogni carta dei valori che si rispetti è “Alleanza”: per esempio, tra piccole compagnie che hanno buone idee per avvicinare i bambini e le bambine all’opera e grandi teatri lirici che hanno bisogno di progetti di audience development nei propri programmi, ma non hanno al proprio interno le competenze per farli.
Corsi come attivatori di communities, progetti di teatro o musica in contesti interculturali, o con persone anziane, o con disabilità, o ristrette nella libertà, flessibilità e pensiero out-of-the-box: a livello della società civile, sono tante le realtà culturali in Italia che hanno sviluppato competenze e pratiche che potrebbero essere messe al servizio di contesti scolastici, educativi o sociali. Competenze e pratiche che sarebbero perfette per costruire un welfare sociale e di comunità più inclusivo e di qualità, se solo fossero conosciute e messe a sistema a livello locale, regionale e nazionale.
Le possiedono compagnie teatrali, spazi culturali ibridi, hub sociali, biblioteche e musei di nuova concezione, e potrebbero intervenire in contesti come scuole, centri di accoglienza, carceri, ospedali, presidi per la salute e il benessere. Questo già accade, ma in maniera ancora troppo casuale, episodica e con impatti molto diversi da regione a regione, da territorio a territorio.
Alleanze. Noi abbiamo idee, competenze, pratiche sperimentate, voi avete spazi e risorse. Noi abbiamo bisogno di conoscere meglio il nostro territorio e la nostra comunità, voi avete necessità di una formazione alternativa che potremmo costruire insieme.
Al contrario, quello che si è registrato in questa sede, ma che potrebbe applicarsi tranquillamente a buona parte del settore cultura in tutta Italia, sono commenti come: “siamo no profit, ma siamo un’impresa e ci assumiamo in toto il rischio d’impresa”, “la libertà artistica è continuamente braccata dall’ansia di far quadrare i conti”, “il sostegno del Ministero [per come è erogato, NdA] è una criticità per noi, tanto che ci chiediamo se continuare”, “[con i proprietari del nostro spazio] ci sentiamo continuamente causa di disturbo” e così via.
Alleanze: forse questo è lo spazio che ancora manca e che dobbiamo lavorare per costruire.




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