A teatro nessuno è straniero | Una Antigone contemporanea per restare umani
18.05.24 | Naufraghi senza volto al Teatro della Cooperativa
L’ottavo appuntamento del progetto “A teatro nessuno è straniero” ci porta a Niguarda per una serata di teatro civile con il reading teatrale Naufraghi senza volto, tratto dall’omonimo libro Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo del medico legale Cristina Cattaneo.
Scoprire il Teatro della Cooperativa con Renato Sarti
Ad accoglierci in via Hermada 8 troviamo Renato Sarti, drammaturgo, attore e regista, direttore artistico del Teatro della Cooperativa. Ci raduniamo davanti alla targa dedicata a Gina Galeotti Bianchi, nome di battaglia Lia, staffetta partigiana, a cui è dedicata la sala del teatro.
Sarti parte dalla biografia di questa figura fondamentale della Resistenza di Niguarda per raccontarci la missione civile e sociale del teatro che dirige. Un teatro nato all’interno degli stabili della Cooperativa Abitare, prima ancora Società Edificatrice di Niguarda, cooperativa di operai che per non sottostare alla speculazione abitativa dei “padroni” decidono di unirsi – correva l’anno 1894 – e di costruire con le proprie risorse fisiche ed economiche le case per loro e per le loro famiglie. E’ chiaro che ci troviamo in un teatro dal forte impegno politico e in un quartiere con una storia di lotte, di resistenze e di cooperazione molto sentita. Un teatro sono le persone che lo fanno e che lo abitano, i loro valori, i loro ideali: in questo teatro di “periferia” appare chiaro il senso di riconoscimento tra quartiere e luogo culturale che accoglie la comunità.
Dalla fondazione del Teatro della Cooperativa nel 2002, Renato Sarti scrive, dirige e interpreta (accompagnato da colleghe e colleghi importanti) spettacoli di drammaturgia contemporanea che partono da eventi della Storia passata e da eventi dirompenti della Storia contemporanea per illuminare avvenimenti complessi e riflettere insieme, riducendo al minimo la distanza tra palco e platea. Un teatro che documenta la realtà, svela i meccanismi di potere, testimonia ingiustizie sociali, ritiene necessario raccontare storie per informare il pubblico, sensibilizzarlo su alcuni temi caldi e spronare la comunità ad azioni concrete di cittadinanza attiva.
Per tutti questi motivi e per la grande affinità con i percorsi e le riflessioni della Scuola di lingua e cultura italiana della Comunità di Sant’Egidio, questa tappa non poteva mancare.
Quando il teatro incontra un medico legale: dal libro di Cristina Cattaneo al reading teatrale
Prima dell’inizio dello spettacolo, ci presentiamo a Cristina Cattaneo, docente di medicina legale all’Università di Milano e direttrice del LABANOF, il Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense della stessa università. Cattaneo conosce bene la Comunità di Sant’Egidio e, come scopriremo nell’incontro con il pubblico al termine dello spettacolo, la Comunità ha contribuito negli anni al progetto di identificazione delle vittime del Mediterraneo grazie ad azioni di ricerca e contatto con i parenti delle vittime e di mediazione linguistica tra il LABANOF e i familiari dei dispersi.
Abbiamo giusto il tempo di scattare una foto davanti al murales dedicato a Giovanni Pesce, comandante dei GAP, gruppi di azione partigiana milanesi, prima di prendere posto in platea.
La sala è gremita: le luci non si spengono del tutto, interpellano la nostra presenza attiva e attenta e quando lo spettacolo inizio cala il silenzio.
Sul palco Renato Sarti e Laura Curino hanno tra le mani il copione dello spettacolo: leggono da quelle pagine le parole dei testimoni della storia che stanno per raccontare.
Due sedute ricordano gli ormeggi dove attraccano le imbarcazioni al porto. Sullo schermo, dove campeggiano i primi piani di tre cani, si alterneranno immagini che raccontano le ambientazioni del racconto ad alcuni dettagli del lavoro di identificazione delle vittime dei naufragi. I tre cani, scopriremo, un tempo erano randagi e sono stati adottati dalla protagonista.
Renato Sarti introduce il racconto e i suoi protagonisti, prima fra tutti Cristina Cattaneo con il team del LABANOF. Il laboratorio specializzato nell’identificazione di cadaveri negli anni aveva affrontato diversi casi, riconoscendo persone scomparse, vittime di incidenti, di efferati omicidi, ma anche confermando l’identità di ossa antiche, come quelle di Sant’Ambrogio a partire da una frattura rinvenuta sul suo cranio, conservato con il resto delle reliquie del Santo nell’omonima Basilica a Milano.
Nell’ottobre del 2013 e poi nell’aprile 2015 il team si trova a lavorare per un’impresa titanica: identificare i cadaveri rinvenuti in mare dopo due nefasti naufragi avvenuti al largo di Lampedusa. L’obiettivo della missione è dare volto e dignità a centinaia di persone morte in mare, vittime della tratta degli esseri umani nel Mediterraneo.
Nel corso dello spettacolo veniamo a scoprire che solo nella notte del 3 ottobre 2013 si sono inabissate 600 persone, quasi tutte di origine eritrea, al largo dell’Isola dei Conigli. Il naufragio del 18 aprile 2015 ha determinato la scomparsa di un numero imprecisato di persone, tra 700 e 900: le morti accertate sono state 58, i sopravvissuti 28, le persone restanti sono state considerate disperse.
Laura Curino restituisce le parole di Cristina Cattaneo. Con voce ferma, trasmette la complessità umana di un’impresa senza precedenti, che ci emoziona e ci stordisce allo stesso tempo.
Un’Antigone contemporanea che ritiene così importante la sua missione da dedicarvisi giorno e notte nelle trasferte in Sicilia nel corso di due anni. La storia che viene raccontata nel reading da Curino e Sarti è accompagnata da immagini d’archivio che mostrano nella parte centrale soprattutto l’operazione mastodontica di recupero dell’imbarcazione inabissatasi la notte del 3 ottobre 2013 e del recupero dei cadaveri per permetterne l’identificazione.
Praticare il dialogo attraverso gli incontri con le/i protagonisti dello spettacolo
Per comprendere il senso della missione raccontata nel libro di Cristina Cattaneo e a cui il Teatro della Cooperativa dà voce è stato fondamentale l’incontro a fine spettacolo con l’autrice, Renato Sarti e Laura Curino, che hanno accolto le domande e le riflessioni del gruppo e di tutto il pubblico.
Danni chiede a Cristina se sono migliorate negli anni le condizioni per identificare i morti e ritrovare i loro cari. Cristina risponde che c’è un problema a livello statale ed europeo: non esiste un accordo europeo sul tema dell’identificazione delle vittime. Quello che è cambiato in positivo è il contributo di tante persone volontarie che sostengono le operazioni di identificazione e di ricerca dei parenti delle vittime: sono nate vere e proprie reti che in Italia si mobilitano per cercare chi resta nel limbo, in attesa di un familiare disperso che non dà sue notizie. Cristina spiega il fenomeno della “perdita ambigua”, ambiguous loss, il sentimento che provano i parenti delle persone scomparse, un lutto che non si riesce a elaborare, perché non c’è la presenza di un corpo a confermarne la morte.
“Per una madre e un fratello”, spiega Cristina Cattaneo, “riconoscere il proprio caro è tutto, eppure in pochi credono nell’uguaglianza dei vivi che stanno dietro ai morti. Non aiutando i parenti delle vittime, ma facendoli sprofondare nel limbo della perdita ambigua, si viola il loro diritto alla salute mentale”.
Questo è uno dei motivi principali per cui Cristina e il suo team fanno quello che fanno. Una persona non identificata, inoltre, “compromette” la vita di chi resta. Un certificato di morte è fondamentale per i vivi, perché possano non solo elaborare il lutto, ma anche concretamente continuare la loro vita, risposarsi o riscattare un’eredità per esempio.
Celia ringrazia per lo spettacolo e per il ricco dialogo in sala, perché questa esperienza le ha permesso di informarsi da fonti attendibili, di conoscere gli avvenimenti con precisione, di approfondirli come non le capita di fare, per esempio, ascoltando le notizie in televisione. Sentire i protagonisti e le loro storie la aiuta a entrare nel vivo delle vicende, della loro complessità per poter formulare un punto di vista critico rispetto al tema “migrazione”, troppo spesso liquidato in maniera superficiale e dannosa dalle fonti di informazione televisiva. Continua Celia:
“C’è bisogno di sapere: il vostro è uno spettacolo che deve essere diffuso nelle scuole per formare le nuove generazioni, per formare anche nuove generazioni di scienziati”.
“Di nuovi scienziati e di nuovi politici”, le risponde Cattaneo. Perché senza la responsabilità e l’intervento della politica questo tipo di operazioni non hanno economie e mezzi per esistere e per poter essere efficaci.
Najma racconta la sua esperienza di viaggio dall’Afganistan via terra fino in Turchia e poi in Grecia e il suo successivo arrivo in Italia grazie a un cordone umanitario. Lei e la sua famiglia sono arrivati tutti sani e salvi. Anche se non è stato facile, è grata di essere oggi in Italia. Chiede se ci sono altre organizzazioni come il Laboratorio LABANOF che fanno altrettanto per identificare i corpi in altre parti del mondo. Cristina le risponde che dall’esperienza del LABANOF stanno prendendo vita altri progetti: in Europa, in Grecia e negli Stati Uniti, per identificare i corpi delle persone migranti che cercano di superare il confine tra Stati Uniti e Messico. Sono progetti in via di sviluppo e che quindi cercano in Cristina e nel suo team anche strumenti pratici su come procedere in questa materia. Najma ringrazia Cristina per la sua testimonianza e ringrazia il Teatro della Cooperativa per aver voluto portare in scena Naufraghi senza volto.
Spettacolo dopo spettacolo, la pratica di porre domande alle/ai protagonisti degli spettacoli è ormai diventata una consuetudine del gruppo per alimentare un dialogo attivo sui contenuti e sui temi, una vera e propria occasione di scambio familiare e acquisita.
Un teatro per restare umani
Laura Curino racconta che ogni replica di questo spettacolo è per lei un passo importante per riuscire a superare l’imbarazzo dell’impotenza: “Ogni volta che facciamo lo spettacolo, io imparo delle cose che non sapevo”: fa riferimento al fenomeno della perdita ambigua spiegato da Cristina. E continua: “Ogni essere umano ha il diritto di sapere dov’è finito un suo parente, ogni essere umano ha diritto a un certificato di morte perché la vita, nonostante tutto possa andare avanti. La perdita, senza contorni di una persona è causa di sofferenza, il non sapere fa ammalare chi resta perché provoca un buco nella mente. Il tempo si ferma e ogni giorno diventa il giorno della speranza in cui lui o lei tornerà o darà sue notizie. La vita però così si ferma.”
Renato Sarti riporta la discussione sulla missione del teatro, che dovrebbe essere quella di portare sulla scena storie che rappresentino un mondo sempre più plurale perché le sale dei teatri siano abitate anche da un pubblico sempre più ampio per identità culturale, linguistica, di esperienze di vita vissuta, un pubblico che rappresenti il popolo del nostro paese.
La presenza del nostro gruppo al Teatro della Cooperativa e in tutte le sale dei teatri che abbiamo frequentato in questi mesi acquista un senso politico importante: il teatro può essere uno spazio accessibile e di condivisione per tutte e tutti, indipendentemente dall’origine, dalla cittadinanza, dalla lingua madre, dalla religione, dal colore della pelle. Un teatro aperto al dialogo tra le culture e disposto a mettersi in discussione, a mettere in discussione l’europocentrismo e i retaggi e le dinamiche coloniali che lo attraversano. Un teatro porto sicuro dove non esistono esseri umani di serie A e di serie B. Solo persone che sanno e vogliono restare umane.
Naufraghi senza volto nelle riflessioni e nelle parole del gruppo
Quando abbiamo discusso dello spettacolo, siamo ritornati a queste immagini. Le domande guida hanno aperto il confronto e dato via alle riflessioni del gruppo, composto da Danni, Hilda, Marlon, Anna, Renata, Celia, Nicolas.
1. Quali elementi dello spettacolo (storia, immagini, interpretazione dell’attrice e dell’attore) vi sono rimasti impressi nella memoria?
2. Quali sono le vostre riflessioni sui temi affrontati dallo spettacolo (immigrazione, elaborazione del lutto, diseguaglianza sociale…)?
3. Come commentereste queste battute dello spettacolo che recitano:
“Ci sono persone che non hanno diritti né da vive né da morte. Perché nel caso di tragedie come quella delle Torri Gemelle o del disastro aereo di Linate si fa l’impossibile per identificare le vittime, mentre per i migranti in mare no? Esistono forse esseri umani di serie A e di serie B?”
4. Dell’incontro con Cristina Cattaneo, della sua esperienza e delle sue parole, cosa vi ha colpito?
5. Quali sono le domande che questo spettacolo vi ha lasciato?
“Le emozioni che abbiamo provato sono state tante e molto diverse nel corso dello spettacolo e sono ancora molto vive oggi che ne parliamo: non riusciamo quasi a guardarci negli occhi per via della commozione che abbiamo provato. È stato doloroso incontrare in questo modo la morte di persone simili a noi che sono partire in cerca di una vita migliore, che sono partite senza sapere a cosa andavano incontro. Se avessero saputo che ad aspettarle c’era la morte, sarebbero partite? Proviamo pena e una profondissima tristezza, proviamo rabbia e vergogna. Proviamo profonda stima per Cristina e il suo gruppo di lavoro, per la loro forza di volontà e la loro forza d’animo, per aver accettato un incarico così.”
Nel gruppo emerge una domanda che riporta a un passaggio dello spettacolo:
Esistono forse esseri umani di serie A e di serie B?
“Siamo concordi nella risposta, lo spettacolo dimostra che ci sono persone che non hanno diritti né da vive né da morte. Ragioniamo sul fatto che persone come Cristina e il suo team – che scopriamo avere influenzato altri programmi di identificazione in Grecia e negli Stati Uniti al confine con il Messico – si impegnano per i diritti delle persone migranti anche da morte.
Persone come noi, come me, come te, come mio fratello, mio figlio, mio nipote, vista l’età dei giovani eritrei che hanno perso la vita in mare.”
Un passaggio dello spettacolo riporta alcuni momenti nell’identificazione dei corpi. Per esempio quando Cristina racconta di aver trovato nella tasca interna dei pantaloni di un migrante un piccolo sacchetto di sabbia, chiuso ermeticamente, tanto da far pensare – prima di capire che era sabbia – che si trattasse di droga.
“Quando ho sentito il racconto della sabbia non sono riuscita a non piangere.”
“Uno dei momenti dello spettacolo che ci ha colpito di più è proprio quello in cui venivano mostrati in video gli oggetti personali delle vittime. Piccole cose importanti e uniche come quelle che abbiamo in tasca o in borsa nella nostra vita di ogni giorno: la fotografia di una persona cara, il pezzo di una lettera, un documento, un portafortuna, un rosario, gli auricolari, un telefono cellulare. Tra tutti questi oggetti il più doloroso ci è sembrato un piccolo foglio, piegato in quattro parti, l’attestato di scuola di un ragazzo. In questo documento ritrovato abbiamo visto una promessa di futuro tradita, una vita spezzarsi troppo presto, un figlio, un nipote, un’amico che ci ha lasciato troppo presto.”
Al termine della discussione, Danni, il portavoce del gruppo, fa una sintesi del confronto.
Le parole sintetizzano le emozioni provate dal gruppo e le restituiscono in forma di immagini e di riflessioni sulla nostra società.
“L’immagine degli oggetti personali e il pensiero di Cristina di un pacco trovato immaginando che era droga. Invece erano dei granelli di sabbia della terra lasciata.
Il barcone in fondo al mare con tanti corpi e la tristezza dei cani randagi.
Le posizioni fetali delle persone ritrovate nella pancia della barca.
Le interpretazioni degli attori, il loro sguardo di compassione.
La forza che Cristina Cattaneo ha trovato ad affrontare le difficoltà: come ha spinto alla identificazione di tantissime persone, facendo una cosa che non era mai stata fatta prima.
E infine, l’adozione dei cani.
Rimane un senso di ingiustizia e di profonda tristezza. E poi non si pensa che queste persone vengono aspettate dai familiari. C’è un disinteresse sociale da rompere. Per trovare un senso di empatia verso persone fragili che, alla ora della partenza, non hanno la consapevolezza dei problemi che devono affrontare sul mare e soprattutto alla fine del viaggio.”
Il laboratorio di discussione e di scrittura collettiva si è svolto il 26 maggio 2024, raccogliendo le riflessioni su due spettacoli, entrambi di impegno civile, con due forme diverse, quella del reading teatrale di cui abbiamo parlato e quella della performance collettiva (teatro documentario e coro) dello spettacolo Mothers a song for a wartime, di cui parleremo nel prossimo report.
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