BP2012 Focus Liguria Il teatro a Ponente: Kronoteatro di Albenga

Una intervista

Pubblicato il 30/01/2012 / di / ateatro n. 138

Kronoteatro ha sede ad Albenga, in una Liguria teatrale che significa per lo più Genova e paraggi, una Liguria che deve fare i conti con le tragiche recenti alluvioni e appianare i debiti dello Stabile, ma che prova anche a organizzare reti regionali e residenze attraverso l’organismo della Fondazione della Cultura – che a dire il vero, finora ha prodotto ben poco di significativo -.
Il gruppo è formato da giovani artisti entusiasti, attori, danzatori e musicisti: Tommaso Bianco, Alberto Costa, Vittorio Gerosa, Alex Nesti, Nicolò Puppo, Enzo Monteverde, che hanno chiesto al loro maestro, Maurizio Sguotti attore professionista formatosi allo Stabile di Genova e vicepresidente per oltre dieci anni del Teatro Cargo di Genova, di condividerne il viaggio.
Con Kronoteatro comincia una storia comune: sono tutti uomini, e questa è una curiosità, ma le loro parti –e questo è ancora più curioso – sono scritte da una donna (l’autrice e dramaturg Fiammetta Carena) e sono storie dove le donne sono immaginate, sognate, un miraggio. Ne sono nate alcune produzioni originali (Familia_una trilogia) che hanno circuitato in spazi importanti come la sezione Fringe del Napoli Teatro Festival, Teatri di vita e il Teatro della Tosse a Genova, il Festival Mixité e hanno avuto alcune segnalazioni nazionali. Con la trilogia teatrale Familia (Orfani – la nostra casa, Pater Familias – dentro le mura e Hi Mummy – frutto del ventre tuo), Kronoteatro propone un’indagine sulle relazioni parentali proprie della cornice familiare classica.
Un teatro fisico, un teatro del conflitto, dello scontro generazionale o sociale i cui riferimenti sono Armando Punzo, Kantor, Rodrigo Garcia, Pippo Del Bono e i testi di Genet; un teatro che sente una particolare affinità elettiva con gli Artefatti, il Teatro Sotterraneo, Fibre Parallele, Scena Verticale, Babilonia Teatri.
Kronoteatro ha una bella sede in parte restaurata, con spazi per le prove, concessa dalla diocesi; grazie alla loro vivacità artistica e ai molti eventi di cui si fanno carico anche durante l’estate, hanno ottenuto la direzione artistica della stagione invernale di Albenga al Teatro Ambra (un teatro privato, non comunale) e hanno vinto il bando della Compagnia di San Paolo “Arti sceniche in compagnia”, unici non genovesi tra i selezionati. Con questo finanziamento hanno organizzato una piccola ma molto significativa stagione con (tra gli altri) Saverio La Ruina, Mario Perrotta, MenoVenti.
Ricordiamo anche il Festival estivo da loro ideato Terreni creativi; si tratta di un’iniziativa di spettacoli (con Oscar De Summa e Elena Bucci), conversazioni su energie alternative e musica live in tre aziende agricole albenganesi. Cominciato in sordina, il Festival ha dato frutti insperati e gli stessi imprenditori privati che hanno finanziato e ospitato la manifestazione, si sono detti entusiasti.

Oggi il tema urgente per la Liguria del teatro è quello del riordino e della definizione degli spazi per il progetto di residenze e per organizzare la rete dei teatri: quali sono le reali prospettive a vostro avviso?

Una rete intesa come insieme di compagnie di teatri regionali credo sia una necessità perché la Liguria non ha ancora una struttura del genere e le compagnie hanno sempre operato singolarmente, portando avanti un loro discorso senza collegarsi con altre realtà sparse nel territorio; certo, ci sono le compagnie genovesi, più legate tra loro forse perché possono utilizzare più agevolmente i teatri e gli spazi sono più disponibili. Ma in generale le compagnie anche se ospitate in strutture genovesi importanti, sono abbandonate a loro stesse, non viene fatto il minimo lavoro sulla promozione del loro lavoro sia a livello di pubblico ma anche rispetto alla critica. Occorrerebbe un supporto promozionale maggiore per farli conoscere sia all’interno della regione ma soprattutto all’esterno. La Regione Puglia e il Circuito Teatrale Pugliese per esempio, quest’anno hanno portato, sostenendone i costi di programmazione, alcune compagnie teatrali che lavorano sul contemporaneo in due prestigiosi teatri: al Teatro dell’Elfo a Milano e al Piccolo Eliseo di Roma intitolando le rassegne PUGLIA IN SCENA. Ecco, queste a noi sembrano iniziative valide da sostenere: dare visibilità e un aiuto sia promozionale che economico alle giovani compagnie in modo che possano presentare le loro creazioni in alcune grandi città. Le istituzioni regionali dovrebbero riuscire a dare a tutti visibilità non limitandosi a individuare le compagnie e a dargli una piccola sovvenzione, dovrebbero mettere in rete tutta l’attività da loro svolta nell’arco dell’anno, supportandola sul piano promozionale. E poi si dovrebbero decentrare le iniziative culturali.
Credo che le compagnie che operano a Genova siano più collegate tra loro anche perché i luoghi in cui operano non sono moltissimi e sono tutti ben conosciuti dal pubblico mentre la periferia ligure non ha questa possibilità di visibilità. Le compagnie dell’estremo levante o di ponente non sono conosciute e per giunta non c’è alcun interscambio tra loro. Il fatto che si cominci a parlare di rete e di circuiti è molto positivo. Tilt è una delle possibilità, altre possiamo immaginare che nascano sotto l’impulso dato dalla Regione o direttamente dai singoli operatori o dalle compagnie. Il discorso sulle residenze, poi, è importante perché non c’è un precedente: per la prima volta se ne parla e si spera si realizzi davvero. Proprio perché il territorio della provincia non ha le possibilità che hanno le grandi città, o il capoluogo di Regione. Se questa iniziativa del circuito e delle residenze si strutturasse in modo definitivo sarebbe molto utile: dove operiamo noi, ad Albenga, si potrebbero immaginare dei proficui scambi e sinergie tra le compagnie che possono lavorare insieme, ospitati nei vari spazi anche per brevi periodi.

Quale è il vostro luogo di lavoro?

Noi abbiamo come spazio di lavoro, una villetta, una vecchia casa nobiliare del 1600 in parte ristrutturata, in concessione dalla diocesi con un accordo in comodato d’uso; abbiamo un salone non molto grande, 6 metri per 7 dove proviamo e facciamo laboratori. Possiamo disporre di una palestra concessa dal Liceo Giordano Bruno, ci manca però, un nostro spazio teatrale, la possibilità di avere una struttura che ci permetta di lavorare in condizioni ottimali e non di precarietà come è successo sinora. Abbiamo ricavato anche un laboratorio di scenotecnica e il nostro magazzino per materiali e un salone con ufficio e una cucina. Stiamo insieme, viviamo insieme e lavoriamo come compagnia. L’idea della residenza è ciò da cui siamo partiti. Noi vediamo questa idea di residenza come una necessità, come potrebbe essere diversamente per il tipo di lavoro che facciamo? E’ necessaria e stimolante e stiamo tentando pur con mezzi limitati, di costruire un percorso comune d’arte e di vita. Abbiamo allestito vari laboratori non tanto per gli esterni quanto per noi, per la formazione continua della compagnia, ospitando colleghi e artisti: per Albenga è un percorso piccolo ma sta dando i suoi risultati. Abbiamo ospitato tra gli altri, la giovane compagnia Menoventi e siamo contenti che siano stati premiati da Rete Critica. Normalmente giriamo per Festival e conosciamo artisti e compagnie del teatro di ricerca.

Quale indicazione suggerireste a questa Fondazione della Cultura?

La Fondazione non dovrebbe essere un organo politico, dovrebbe essere costituita da esperti senza che ci sia neanche l’ombra del conflitto di interessi: critici, studiosi a livello nazionale, operatori che valutino la qualità del progetto senza averne un ritorno e una rappresentanza delle compagnie affinché le scelte siano trasparenti e affinché i teatranti possano essere dentro organi decisionali. I contributi sono sempre meno quindi bisogna selezionare i progetti e avere organismi e competenze per valutarli. Si deve aiutare, per esempio, chi ha progetti a lungo termine, di ampio respiro. Si parla molto di aiutare i giovani, gli emergenti ma tutto questo non è possibile se c’è un tappo che ostruisce il flusso di aiuti, se sono sempre gli stessi a beneficiare dei contributi e li percepiscono da 40 anni: non c’è alcun controllo della qualità effettiva del loro lavoro, ci si adagia su ciò che è stato fatto 20 o 30 anni fa e si continua a mantenere l’esistente senza mai metterlo in discussione, senza guardare se è nato dell’altro o se qualcuno nel frattempo, ha esaurito il proprio percorso.

Qual è la vostra idea di teatro?

Il nostro viaggio artistico è iniziato nel 2004 intorno a un progetto chiamato Familia. Per un po’ di anni abbiamo cercato di mettere a punto un percorso per capire che cosa ci interessava, quale era l’obiettivo da raggiungere e quale era la forma di teatro che si addiceva di più a noi, che sentivamo più vicina. Siamo in sette e nel gruppo ruotano persone molto giovani a cui io mi sono unito con il mio bagaglio di esperienza professionale con lo Stabile.

Il progetto Familia: che cos’è?

E’ una trilogia: scopriamo di appartenere a due generazioni diverse, lavoriamo sulle concezioni di vita diverse e partiamo con Orfani-la nostra casa nel 2009 e proseguiamo con Pater Familias_dentro le mura nel 2010 che si chiuderà compiendo la trilogia ipotizzata, con Hi Mummy_frutto del ventre tuo nell’estate 2012. La struttura del trittico è allo stesso tempo simbolo della configurazione minima del nucleo familiare e allegoria di una dimensione trascendente, spirituale e religiosa. L’analisi ruota per lo più attorno ai rapporti di potere e soggezione che s’instaurano tra i componenti delle differenti generazioni. Fondamentale per comprendere il concetto di famiglia è infatti l’idea del tempo, del mutamento e della costante evoluzione, di generazione in generazione, di modelli e stereotipi differenti, spesso contrastanti. La famiglia è quell’istituzione minima che prima prepara le nuove generazioni ad affrontare il futuro e poi le tiene legate al proprio passato. I protagonisti dei diversi spettacoli sono soggetti deboli, alla ricerca di un’identità antropologica e sociale. Sopraffatti dall’incessante flusso di linguaggi e realtà che non possono comprendere, cercano rifugio e sicurezza nell’unico elemento che sembra stabile e certo – la famiglia. Questa, soggetta a diverse conformazioni, da alcova e ventre materno si trasforma ora in prigione in grado di suscitare irrefrenabili desideri di evasione, ora in gabbia dorata, fonte di protezione e sostituto di una vita realmente vissuta.
Debuttiamo ad Albenga e partecipiamo nel 2009 al Fringe di Edimburgo; da lì la decisione di continuare con una trilogia, e quindi allarghiamo il tema ai rapporti generazionali, rapporti anche di scontro.
Fu Franco Quadri a spingerci ad andare al Fringe e ci recensì, una breve cosa ma significativa che c’è molto cara, e quell’attenzione nei nostri confronti ci colpì molto. Ci immaginammo che bisognava proseguire il percorso, che la direzione era giusta.
Pater familias, che è lo spettacolo che ci ha portato fuori, ci ha permesso di uscire da Albenga, ed è tra le nostre produzioni quello più visto: siamo stati a Bologna da Teatri di vita confrontandoci con realtà del teatro di ricerca già affermate.
Il nostro è un percorso molto libero e personale, quasi naif, ed è voluto, perché in questa libertà ho trovato una linfa che avevo perso in anni di professionismo attoriale, di tournée con gli Stabili con i quali ho lavorato e con il Cargo; ho riguadagnato spontaneità rispetto all’atto teatrale, sfruttando altre caratteristiche del linguaggio teatrale.
Il nostro teatro coniuga tutto, ma soprattutto è concentrato sul corpo, la parola influenzata dal movimento scaturisce dal corpo come ne fosse un’appendice; non c’è una prevalenza, lavoriamo su un testo che nasce nel tempo e subisce variazioni. C’è questa nostra componente maschile, ma ci teniamo a dirlo, non maschilista, del nostro lavoro, che un po’ ci contraddistingue.

Curate anche una programmazione teatrale…

La programmazione è cominciata perché la città non aveva una stagione teatrale; quello è stato un modo per avere dei contributi e fare le produzioni, successivamente, sebbene ci sia stato un cambio dell’amministrazione, siamo andati avanti con la programmazione perché con nostra grande gioia, avevamo vinto il bando della Compagnia di San Paolo insieme al Teatro Cargo, alla Tosse e all’Archivolto. Noi eravamo gli unici non genovesi e quello è stato un modo per portare spettacoli di qualità sul territorio e cercare anche di fare produzione. Ma per noi era importante avere uno spazio ed essere riconoscibili.

Il festival Terreni creativi è molto originale. Come è nata l’’idea?

E’’ il secondo anno e siamo molto soddisfatti, abbiamo collaborato con aziende agricole che esportano all’’estero; dopo una visita alle loro serre di piante aromatiche abbiamo fatto una proposta perché d’estate sono vuote; è stato stimolate. Loro mettono gli spazi, qualche soldo e il personale ma la cosa interessante è allestire questi spazi così particolari e farli diventare luoghi teatrali, conviviali in genere.

Anna_Maria_Monteverdi

2012-01-30T00:00:00




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