A teatro nessuno è straniero | Ai margini la diversità, la libertà e la tragedia

23.03.24 | Al Piccolo Teatro per L'albergo dei poveri con Massimo Popolizio

Pubblicato il 23/05/2024 / di / ateatro n. 194 | A teatro nessuno è straniero

Per l’incontro con il Piccolo Teatro abbiamo scelto lo spettacolo che ci è sembrato più rappresentativo fra quelli in cartellone, quello che più di tutti ricorda le origini del teatro e ne rilancia i presupposti: l’attenzione per le tematiche sociali, per la drammaturgia internazionale, per un teatro di regia e di poesia. I bassifondi, il dramma di Maksim Gor’kij rappresentato per la prima volta a Mosca nel 1902, ribattezzato L’albergo dei poveri da Giorgio Strehler, inaugurò infatti il Piccolo Teatro di Milano nel maggio del 1947, e torna oggi diretto da Massimo Popolizio – anche in scena nel ruolo del pellegrino, Luka – che ha lavorato sul testo insieme allo scrittore Emanuele Trevi.

L’albergo dei poveri, regia di Massimo Popolizio (ph. Masiar Pasquali)

Come per gli appuntamenti precedenti lo spettacolo è stato introdotto a scuola e accompagnato da una scheda sintetica con la storia, i contenuti oltre alla funzione storica e attuale del Piccolo Teatro. Il testo è un classico del Novecento – l’autore è ben conosciuto dalle amiche ucraine presenti nel gruppo – lo spettacolo è corale e richiede un cast numeroso.

I protagonisti dell’Albergo dei poveri e il gruppo A teatro nessuno è straniero

La scheda preparatoria dello spettacolo

Nella scheda preparatoria abbiamo riassunto la trama e sottolineato i temi.

La vicenda è ambientata in un dormitorio per i poveri, gestito da Kostylev e dalla sua spietata consorte, Vasilisa, ai quali gli ospiti dell’ostello devono pagare una pigione. Si tratta di uomini e donne che vivono ai margini della società per guai con la giustizia – ladri, imbroglioni, bari, ex prostitute, ex detenuti, o perché alcolisti, disoccupati, persone affette da malattie mentali. Tra di loro, nell’adattamento di questo allestimento, anche una persona migrante. Molte sono le storie che legano i personaggi. In particolare, Vasilisa, ha come amante Pepel, uno degli ospiti del rifugio, del quale intende servirsi per uccidere Kostylev e liberarsi, finalmente, del marito. Ma Papel si innamora di Nataša, sorella di Vasilisa… Tra gli ospiti giunge Luka, un misterioso pellegrino, che porta nel rifugio parole di spiritualità e umana compassione. (…) I temi affrontati offrono la possibilità di riflettere sulla condizione di marginalità di alcune persone perse ai margini della società, persone illegali, disturbate, estremamente povere, e al tempo stesso animate da speranze tradite e che cercano il loro modo di sopravvivere. E quindi, di ragionare anche sui nostri privilegi e le ingiustizie sociali del nostro mondo contemporaneo e di domandarci come restare ancora umani davanti al dolore degli altri.

Dietro le quinte

La visita al Piccolo Teatro: il Teatro Studio

Il Piccolo riserva al nostro gruppo (sempre più numeroso: siamo una quarantina) un’accoglienza eccezionale e condizioni particolarmente favorevoli, davvero all’altezza degli obiettivi che sono presenti fin dalla fondazione del teatro: “un teatro d’arte per tutti”.
Lo spettacolo è preceduto da una visita alle strutture del teatro e seguito da un incontro con la compagnia al completo.
Ci accolgono Andrea Zaru e Silvia Milani, che lavorano nell’organizzazione del teatro. Dalla sala del Teatro Studio – dove si stanno riscaldando gli artisti impegnati nello spettacolo di Emma Dante, Re Chichinella – ci dicono dei diversi spazi di cui il Piccolo Teatro dispone per le rappresentazioni (il Teatro Strehler, il Teatro Grassi e il Teatro Studio Melato), delle caratteristiche e tipologia di programmazione di ciascuno. Un’articolazione che il gruppo non conosceva (del resto solo tre o quattro di loro sono stati in passato al Grassi o allo Strehler), come non immaginava il labirinto sotterraneo che collega le due sale. La visita è una scoperta continua: il retropalco e lo scarico dello Strehler, le attrezzature elettriche e i diversi spazi di servizio, scendendo diversi piani sottoterra l’attrezzeria e risalendo fino al sottotetto la sartoria.

La visita al Piccolo Teatro: la sartoria

E’ sabato e non incontriamo lavoratori impegnati in questi settori del teatro, ma in sartoria Andrea e Silvia ci mostrano le complessità che stanno a monte della progettazione e realizzazione di un costume come quello di Arlecchino, spettacolo e personaggio “simbolo” del teatro, che è esposto su un manichino: la scelta delle stoffe, la lavorazione artigianale, le caratteristiche che il costume deve avere rispetto al personaggio. E’ su questi aspetti in particolare che si moltiplicano le domande: il rapporto costume/personaggio/attore, l’alternanza degli interpreti e l’adattamento del costume. Anche i costi ci sorprendono.

La visita al Piccolo Teatro: l’attrezzeria

Incuriosiscono le caratteristiche delle diverse professionalità coinvolte: apprendiamo che la funzione del costumista non è solo progettuale, ma implica anche competenze e capacità realizzative, gli assistenti costumisti in particolare devono avere capacità artigianali (come vediamo per esempio in un paio di scarpe che sono state dipinte a mano per uno spettacolo per ragazzi). Apprendiamo poi che il lavoro della sarta (che qualcuno del gruppo ha sperimentato in prima persona) in teatro non è solo cucire, ma anche curare i costumi fra una replica e l’altra (lavarli, aggiustarli, stirarli) e aiutare gli attori a indossarli e a cambiarsi, spesso in tempi molto stretti.
Il deposito dell’attrezzeria sembra uno strano museo, anche un po’ commovente: ci sono stoviglie, ceste, armi, tanti oggetti vecchi che non si trovano più in giro. Ci dicono che il lavoro dell’attrezzista (una specializzazione particolare in teatro, di cui non avevamo mai sentito parlare) consiste nel cercare e spesso realizzare gli oggetti che servono in scena, a volte rifarli per ciascuna rappresentazione, come nel caso dell’ombrello che doveva bruciare ogni sera per Giorni felici di Samuel Beckett con la regia di Strehler.
Il racconto più sorprendente è quello del budino.

Arlecchino e il budino

La visita al Piccolo Teatro: i sotterranei

Noi vediamo su un piatto un budino di gelatina smisurato, che viene utilizzato per le prove, ma l’aneddoto vuole che per lo storico allestimento di Arlecchino servitore di due padroni, sempre con la regia di Strehler, tutti i giorni venisse preparato un budino vero, più grande di quelli che prepariamo in casa, ma che potesse sprigionare sul palco e in platea anche l’odore caratteristico di quel dolce…
Per prepararlo la compagnia girava con un fornelletto da campeggio, il fornelletto che oggi attira la nostra attenzione da uno scaffale.
Un partecipante del gruppo nota una corona di spine appese a un chiodo, un’altra si stupisce per il numero di valige di forme ed epoche diverse. Colpiscono i telefoni, tanti e di tutti i tipi, anche i telefoni di un tempo, con il filo… e poi giradischi, mangiacassette, vecchi walkman, cimeli elettronici che non vediamo più.
Nel deposito ci sono anche vecchie macchine per creare il rumore del vento o della grandine, lastre di metallo per rifare tuono e tempesta. Sono molto realistiche e in parte ancora funzionanti, le tocchiamo con cautela…
Di sicuro ci ricorderemo questo posto
Risaliamo di tre o quattro piani, sbirciamo i camerini e torniamo all’aperto. Il gruppo si riunisce nel piazzale davanti al teatro e arrivano altri amici: chi lavora anche il sabato fino a tardi non ha potuto partecipare alla visita del teatro.
Si ripete il rito della distribuzione dei biglietti, ed entriamo al Teatro Strehler. Chi non c’era mai stato (quasi tutti) è sorpreso dalla grandezza della sala.

Davanti al teatro: il rito della distribuzione dei biglietti

L’incontro con la compagnia

Alla fine dello spettacolo, ci siamo riuniti davanti al palco e abbiamo incontrato Massimo Popolizio e la compagnia quasi al completo che, oltre a Popolizio (Luka, il pellegrino), annovera Giovanni Battaglia (il Barone), Gabriele Brunelli (Aleska), Luca Carbone (l’Attore), Martin Chishimba (il Principe), Giampiero Cicciò (Bubnov, il pellicciaio), Carolina Ellero (Nastja, ragazza), Raffaele Esposito (Pepel), Diamara Ferrero (Natasa), Francesco Giordano (Kostylëv, il proprietario del dormitorio), Marco Mavaracchio (Medvedev, la guardia), Michele Nani (Klesc, il fabbro), Aldo Ottobrino (Satin, il baro), Silvia Pietta (Kvasnja, ex prostituta), Sandra Toffolatti (Vasilisa, moglie di Kostylëv), Zoe Zolferino (Anna, moglie di Klesc).

La compagnia dell’Albergo dei poveri incontra A teatro nessuno è straniero

Immaginiamo che gli attori siano stanchi e siamo grati e anche un po’ emozionati. Conduce l’incontro Oliviero Ponte di Pino, presidente di Ateatro, che abbiamo già incontrato nella presentazione del progetto e in precedenti incontri.
Lo spettacolo ci ha colpito e ci ha lasciato pensosi. E’ difficile pronunciarsi così a caldo.
Najma, coraggiosa, rompe il ghiaccio con una domanda sul personaggio di Luka: è un visionario e le è sembrato cieco, chiede se ha capito bene una battuta a questo proposito. In realtà Najma ha travisato (Luka ci vede benissimo), ma ha anche colto una particolarità nell’interpretazione che Popolizio sottolinea: in effetti il suo personaggio socchiude spesso gli occhi e sembra guardare lontano. Partendo da Luka, il regista racconta cosa ha affascinato lui e Emanuele Trevi nel testo di Gorkij e il percorso di costruzione dello spettacolo.
Fra gli spettacoli che abbiamo visto questo è quello più di tutti incentrato sulla specificità e l’importanza dei singoli personaggi, quindi sul lavoro degli attori. Marcia ha una domanda sul personaggio di Vasilisa, così terribilmente negativo: l’attrice Sandra Toffolatti spiega come il processo di immedesimazione non impedisca di mantenere una certa distanza critica dai personaggi.

L’albergo dei poveri: Raffaele Esposito (Pepel) e Sandra Toffolatti (Vasilisa)

Il rapporto attore/personaggio è in effetti l’aspetto che ha colpito di più: dobbiamo rifletterci, ma Celia chiede quanto gli attori si portino a casa, dopo lo spettacolo, di queste storie difficili e di queste personalità così complesse. Rispondono alcuni degli attori. Popolizio racconta il metodo e i tempi di lavoro, intensi e intensivi: la ricerca dei personaggi parte dal testo, ma è importante quello che l’attore crea in prova, e per questo le prove sono state lunghe e impegnative. Il regista spiega che questo è sempre il suo modo di lavorare, ma in questo spettacolo ancora di più. Gli attori approvano, si vede che è un gruppo affiatato e generoso.

La discussione e il laboratorio di scrittura

Per le discussioni e il laboratorio di scrittura, nel corso di questi mesi si sono tentati approcci diversi per ciascuno spettacolo.
Si sono dati fin qui input legati alla trama e ai temi. Ora per la prima volta che, lavorando in piccoli gruppi, partiamo dal testo dello spettacolo, da alcune battute che Giulia Tollis ha selezionato.
Ma prima abbiamo pensato di iniziare con un esercizio veloce, tutti assieme. L’esercizio “ di riscaldamento” parte da uno spunto che Mimma Gallina ha scovato su facebook:

Dopo un paio di minuti di concentrazione, dobbiamo dire una parola (una sola) che risponda alla domanda:

Come è stato L’albergo dei poveri per me?

Non è facile trovare la sintesi, ma alla fine l’esercizio risulta molto stimolante. Le parole che troviamo sono:

Coinvolgente
Indimenticabile
Molto attuale
Vivace
Tragico
Miserabile
Consapevole
Di grande professionalità
Narrativo
Talentuoso

Segue il laboratorio di discussione e scrittura collettiva.
# ci dividiamo in quattro gruppi, ciascuno riceve due input ricavati da passaggi del testo: sono battute che sollecitano riflessioni sui temi centrali dello spettacolo (filosofici, etici, sociali, esistenziali…), spesso legate alle caratteristiche dei personaggi;
# all’interno dei gruppi li leggiamo, e dopo breve discussione ne scegliamo uno solo;
# ci concentriamo individualmente per qualche minuto (anche con eventuali appunti scritti);
# ci confrontiamo, discutiamo;
# un portavoce riferisce.

La discussione nei gruppi è vivace, tutti i passaggi suggeriti sono stimolanti e profondi. Le scelte alla fine si orientano prevalentemente sui passaggi più concreti, quelli più direttamente collegati alle caratteristiche dei personaggi. Tutti i gruppi lavorano con impegno per trovare una sintesi, scritta o affidata ai portavoce, La riportiamo di seguito assieme al passaggio del testo scelto dal gruppo.

Gruppo 1, composto da Annamaria, Danni, Liudmiyla e Markgi
Il lavoro è la forza che dà stabilità emozionale e sociale

L’albergo dei poveri: Michele Nani (Klash) e Carolina Ellero (Nastja) (ph. Masiar Pasquali)

Klesc, il fabbro: Ma questi non sono uomini! Un mucchio di straccioni, pezzenti e ladri sono. Senza offesa. Io sono un lavoratore! Io lavoro da quando ero un bambino. Tu credi che non riuscirò ad andarmene di qui? Dovessi strapparmi la pelle, io da qui me ne vado! Lascia prima morire mia moglie e poi… Poi… Sto qui da sei mesi, e mi sembrano sei anni… […] Questi qui vivono senza onore, senza coscienza.

Portavoce è Danni.

Il Gruppo 1 con Annamaria, Danni, Liudmiyla e Markgit

Klesh, il fabbro, capisce dove si trova, crede di essere stato un onesto lavoratore durante tutta la sua vita e crede di avere un’altra opportunità. E’ vero che si ubriaca un po’ per dimenticare le cose brutte di questo posto, ma comunque non perde la voglia di vivere e di uscire. Ha un sogno, il sogno di uscire da questo povero albergo perché dentro di sé c’è un uomo con la speranza. Come ogni uomo nasconde i veri sentimenti e non vuole mostrare le sue debolezze, ma alla fine lo si vede piangere per la morte di sua moglie. Sappiamo che il lavoro è la fonte e la forza che spinge a una stabilità emozionale e sociale.

Liudmiyla precisa.

E’ un uomo forte e robusto che nasconde tutto il suo dolore, ma ha forza, volontà, credibilità rispetto agli altri. Credibilità in quanto era un lavoratore e non era un disgraziato. Ha avuto un sogno e voleva uscire da quella vita brutta, sporca, senza futuro. Voleva avere il suo futuro, ci credeva e faceva di tutto per uscire da questa vita brutta.

Gruppo 2, composto da Anna, Medalit e Najma
La pace è una cosa CHE racchiude la felicità, la santità, la libertà, tutte queste cose

Backstage: Massimo Popolizio diventa Luka (ph. Masiar Pasquali)

Luka, il pellegrino: Sai Anna, è tutta la vita che cerco di ricordare una parola. Dev’essere una parola importante, perché da lei sembra dipendere tutto: felicità, soddisfazione, pienezza, santità. A volte la senti vicina vicina e quando pensi che finalmente sarà tua, qualcosa dall’esterno la riporta via. O perché devi mangiare, o perché hai mangiato male, o perché non hai dormito abbastanza, o perché hai dormito troppo, o perché qualcuno vuole qualcosa da te. È come se avessi dimenticato un sogno bellissimo, come se nel sogno avessi udito quella parola. Ed è così bella che anche il solo ricordo è dolce e porta con sé una nostalgia che viene voglia di piangere.

Il Gruppo 2, con Anna, Medalit e Najma

Medalit, la portavoce del gruppo, precisa che non ha visto lo spettacolo ma ha partecipato anche lei alla discussione riflettendo sulla frase.

Penso che la parola che il pellegrino non ricorda sia “pace”, e in conseguenza “libertà”. Perché lui parlava a una persona in fine di vita e intendeva far uscire in quel momento il suo stato interiore. Questa ricerca che sogna con nostalgia intende proprio le problematiche che ci sono al mondo. Soprattutto penso alla guerra, a tutto il caos che c’è al mondo.

Medalit parla in prima persona singolare, Mimma le chiede se sta parlando per sé stessa o se parla per tutti.
Siamo tutti d’accordo. Nella discussione Najma – che non è cristiana – mi ha chiesto cosa vuol dire per la nostra religione la parola “santità”. La parola che Luka sogna è pace e amore, di conseguenza la libertà, perché essendo un figlio di Dio, uno che porta in giro la parola di Dio, la parola è amore e pace, amore per il prossimo.

Najma precisa:

Anche secondo me la parola che cerca si riferisce alla pace. Abbiamo visto il pellegrino arrivare, e non sappiamo da dove è venuto. E alla fine è sparito. Però nel momento in cui stava parlando con la signora che alla fine è morta, parlava con lei per darle la pace, lei stava per morire e anche nel morire si trova la pace. La pace e la libertà, perché l’ambiente in cui tutti loro si trovavano non era un ambiente di pace, nessuno di loro aveva la pace, e secondo me, sia al di fuori che dentro di sé, erano in uno stato di caos, in uno stato di non calma, per questo la parola che cerca è pace. La pace è una cosa che racchiude la felicità, la santità, la libertà, tutte queste cose.

Sul personaggio del Pellegrino anche Jaqueline ha mandato un contributo scritto.

È un personaggio misterioso che arriva in quel posto di degrado per dare una speranza, una risposta agli altri inquilini, con il suo carisma, la capacità di ascoltare e farsi ascoltare usando un linguaggio biblico facendo credere e sperare in un mondo migliore. Era talmente coinvolgente e credibile che gli altri pendevano delle sue labbra, al punto che uno dei personaggi si toglie la vita per delusione.

Gruppo 3 composto da Isbana e Silvana Fuschino
Tutti assieme, liberi, diversi… si deve rispettare la scelta di ognuno

Satin, il baro delle carte: Lascialo in pace. Se prega è affar suo. Può credere o non credere. L’uomo è libero. Deve poter decidere della sua religione, della sua incredulità, del suo amore, della sua ragione. L’uomo è libero. Sai cos’è l’uomo? Io non lo sono, non lo sei tu, non lo sono loro, non lo è il Pellegrino. Ma io, tu, loro, il Pellegrino, Napoleone, Maometto, tutti insieme lo siamo. È una cosa magnifica, l’uomo! Uomo! Uomo! Uomo! L’uooooomo! Suona maestoso. Bisogna rispettarlo, non umiliarlo con la compassione. Rispettarlo. Rispettarlo…

Il gruppo ha sintetizzato la discussione in una frase

Il tema affrontato è la libertà. L’uomo – come essere umano – fa parte di un unico mondo, tutti assieme, liberi, diversi. Devono rispettare e essere rispettate sia le idee politiche, la religione, l’amore… si deve rispettare la scelta personale di ognuno

Gruppo 4 composto da Marlon, Nicolas s Salah
La libertà di scelta, è un cambiamento profondo

Pepel, il ladro: Smetto di rubare, quanto è vero Iddio. Ho imparato a leggere e a scrivere, troverò un lavoro. Lui dice di partire, partiamo! Io non sono una persona che si pente e non so nemmeno cos’è la coscienza! Ma di una cosa sono sicuro: ho bisogno di vivere in un altro modo. Sin da bambino io non ero che il ladro. Ed era giusto, perché così volevo anche io, ed eccomi ladro. Pepel il ladro, nessuno mi vuole chiamare in altro modo. Chiamami diversamente almeno tu.

Portavoce è Nicolas:

Noi abbiamo scelto il ladro, che è una persona che vuole cambiare, ma non riesce a farlo, perché nessuno lo aiuta. Poi arriva il pellegrino che gli da il coraggio per fuggire con la ragazza e avere una vita nuova, migliore. Lui ha voglia di scappare da questo sotto-mondo. Pensiamo che sia un messaggio sulla lotta fra il determinismo (quello per cui il ladro che è stato un ladro tutta la vita sarà sempre un ladro) e il libero arbitrio, che è l’opposto, la libertà di scelta, e questa scelta molto spesso è un cambiamento profondo nella vita di una persona, una grande sfida o la fuga da un trauma.

Anche Celia ha mandato un contributo sul personaggio di Pepel, il ladro.

È sempre difficile cancellare il passato.

Il confronto con la compagnia

Walter e Luka

Siamo abituati a vedere il teatro identificando un dramma con una trama. Nell’Albergo dei poveri invece non c’è trama, ma siamo di fronte a un’opera tanto reale quanto cruda, dove ogni personaggio, senza nessuna gerarchia, ma uguale agli altri nella miseria mette in scena sé stesso, i propri turbamenti e la propria evoluzione. In quest’opera il personaggio che mi ha maggiormente colpito è Pepel per il contrasto tra il suo apparente vigore e la sua forza, rispetto agli altri personaggi, e l’incapacità di scrollarsi di dosso quel destino che sembra predeterminato dal suo passato.
Tutti i personaggi del dramma vivono nel passato, al punto che il dramma stesso è un riportare in scena il passato dei vari personaggi attraverso i ricordi, ma nel caso di Pepel questo passato è un marchio incapacitante che rende il personaggio prigioniero del passato. Pepel cerca il proprio riscatto, provando a scappare da quella vita con la bella e innocente Natalia. Purtroppo però il suo destino è segnato, e proprio quando pensa e chiede che lo si guardi in modo diverso le circostanze lo mettono a commettere un delitto e così rimane intrappolato nel suo passato, da ladro a omicida.
Quella di Pepel, è la storia di tanti, che cercando di migliorare la propria vita e che per vicissitudini varie, per errori o semplicemente per sfortuna si trovano nel posto sbagliato al momento sbagliato.
È sempre più difficile cancellare il passato e cambiare in un mondo che ti chiede di esibire la tua immagine. Così penso agli esclusi di oggi, poveri, carcerati, immigrati, gli “invisibili di strada “, che si portano sempre addosso il marchio di ciò che è stato in una società che corre tanto in avanti ma poi ti chiede sempre conto di ciò che sei stato o fatto.
Così penso anche agli amici di strada della comunità Sant’Egidio, penso a Walter, il dolce Walter che con il suo gentile sorriso poteva essere benissimo Luka il pellegrino. Con lui che prova a calmare l’anima tormentata dei personaggi. Walter era un amico speciale che frequentava la caffetteria di via Olivetani, aveva capelli e barba bianca. Era dolce e gentile, parlava poco e sorrideva sempre. Il suo sorriso era sincero e dava serenità a chi parlava con lui. Per me è stato una specie di ” pellegrino”, e anche se abbiamo condiviso poco, ero contenta di vederlo ogni sabato per il breve periodo che ho frequentato la caffetteria di Olivetani.
Con questo spettacolo mi è tornata la voglia di tornare a sentire le tante storie degli amici di strada, preparare la colazione, e regalare loro momenti di “normalità “. Ciao Walter ovunque tu sia!




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