A teatro nessuno è straniero | Nel cuore di Milano per scoprire la storia della città vista dalla periferia

08.03.24 | Per la Festa della Donna al Teatro Franco Parenti con Ivana Monti protagonista di Una vita che sto qui

Pubblicato il 15/05/2024 / di / ateatro n. 194 | A teatro nessuno è straniero

Siamo a metà del percorso e per il quinto appuntamento del progetto A teatro nessuno è straniero ci accoglie il Teatro Franco Parenti, nella sede storica di via Pier Lombardo 14. È una sera di pioggia e nell’aria si sente il profumo dolce e pungente delle mimose: venerdì 8 marzo, Giornata Internazionale della donna.
Per l’occasione abbiamo scelto uno spettacolo che potesse dialogare con i temi della giornata, temi sentiti e discussi nelle classi di Lingua e Cultura della Scuola di Sant’Egidio: i diritti delle donne, la loro emancipazione, la lotta per il corpo, la salute, la casa, il lavoro, la formazione, l’autodeterminazione, la parità.
Abbiamo scelto un monologo, la voce e il corpo di un personaggio femminile: una donna anziana, Adriana, che da una vita abita a Lorenteggio, periferia della grande Milano. Quella delle case popolari, delle migrazioni di prima, quelle degli anni Cinquanta e Sessanta e di quelle di oggi; delle lotte di classe operaie e degli anni delle stragi, quelle del terrorismo degli anni Settanta e quelle dell’eroina degli anni Ottanta e Novanta; la periferia dell’emarginazione, degli sfratti, della gentrificazione.

Il testo: Una vita che sto qui di Roberta Skerl

Il testo dello spettacolo è di qualche anno fa, l’ha scritto Roberta Skerl e l’intensissima Ivana Monti, come si dice in gergo teatrale, se l’è cucito addosso, dando carne, colore e calore a un personaggio che rimane nei cuori. Nel presente della protagonista, una lettera dall’Aler l’avvisa che il quartiere dovrà essere riqualificato e le comunica un trasferimento, dice l’Aler, temporaneo. Tuttavia Adriana è certa che allontanarsi dall’appartamento in cui è cresciuta significa una cosa sola, non farci più ritorno, e lasciare assieme alla casa tutti i ricordi della sua vita passata.
Da sola in scena, nel cucinino fermo agli anni Cinquanta, tra oggetti quotidiani – molti oggetti personali dell’attrice – e scatoloni di cartone, Ivana Monti interpreta un personaggio commovente: una donna lucida, combattiva e piena di voglia di vivere, capace di accogliere le disgrazie, di lenire le ferite e di raccontare con parole semplici la storia di una e di tante vite ai margini della grande Storia. In alcune parti lo spettacolo è recitato in milanese, un dialetto che riesce ad alleggerire anche i racconti più duri, che fa sorridere anche quando l’emozione è tracimante.
Abbiamo scelto questo spettacolo anche perché ci permette, attraverso il teatro, di discutere e confrontarci sui temi dell’abitare e delle disuguaglianze economiche, delle condizioni delle persone più fragili, prime fra tutte le persone anziane.
Per la Comunità di Sant’Egidio il rapporto di vicinanza, amicizia e sostegno alle persone anziane nei quartieri decentrati della città è un tema di riflessione importante che si manifesta in azioni concrete di volontariato e di presidio sul territorio, in particolare nella zona del Corvetto. Come emerge dalla discussione e dalle parole delle e dei partecipanti, qualla di Adriana potrebbe essere la storia di tante donne incontrate nelle visite agli anziani della domenica o nei momenti di assistenza domestica da alcune persone del gruppo che impegnati in lavori di cura. Come se la protagonista Adriana cucisse insieme ricordi di gioie e di dolori universali che si possono ritrovare in ogni vita quando si arriva all’età dei bilanci e dei ricordi.

Il Teatro Franco Parenti: un grande spazio in trasformazione votato all’arte dell’incontro

Tra gli obiettivi del progetto c’è anche quello di scoprire i teatri della città, i loro spazi, la loro storia e le loro programmazioni. Il Teatro Franco Parenti, fondato e diretto dalla regista Andrée Ruth Shammah, non poteva mancare nella nostra mappa di teatri milanesi, per la sua storia culturale e per l’arte di rinnovarsi negli spazi, nella programmazione, nella relazione con la città.
Un teatro che al suo interno ne contiene tanti e nei suoi diversi spazi si presta a ospitare spettacoli, concerti, eventi, conferenze, mercati, laboratori di formazione, campus per pubblici di tutte le generazioni…
Prima dello spettacolo ci ritroviamo nell’ampio foyer del teatro, allestito per l’aperitivo. Veniamo accolte e accolti da Valentina Soci, che ci accompagna alla scoperta degli spazi del teatro in una visita informale.

Nella Sala Grande del Parenti

Il tour inizia dalla Sala Grande, che colpisce il gruppo per la sua ampiezza – i posti in platea sono 500 – e per le pareti in mattoni grezzi, nuovi nella parte inferiore, più vecchi nella superiore, a testimonianza della volontà del teatro di rinnovarsi sulla propria storia. Su palco si stanno ultimando le prove tecniche per lo spettacolo in scena alle 19 e 45, Come tu mi vuoi, e da questa informazione il gruppo comprende che contemporaneamente nella stessa sera si possono vedere più spettacoli nello stesso teatro, sul principio del cinema multisala. Ecco, il Teatro Franco Parenti è un teatro multisala, come l’Elfo-Puccini che ha ospitato la prima tappa del percorso A teatro nessuno è straniero. Il nostro spettacolo, Una vita che sto qui, inizia alle 19 e 15 nella sala A come A, che scopriremo più tardi.
Continuiamo la visita nel Café Rouge, allestito con pannelli di legno su cui sono dipinti sipari teatrali cremisi e dorati, un piccolo palcoscenico in fondo alla sala, raccolto e molto suggestivo, tavolini e sedie in quella che può essere la platea. L’immaginario è quello delle sale dei café chantant, caffè di inizio Novecento adibiti a sale da concerto, ballo e serate di intrattenimento. Ripassiamo dal foyer per visitare la Sala Tre, lunga e stretta, che si adatta a diversi tipi di allestimenti e spettacoli, non solo a pianta frontale. Può ospitare fino a 80 persone. Uno dei partecipanti, Alexander, nota che “in questa sala non c’è un palco” e questa osservazione fa emergere un nuovo elemento di comprensione della produzione teatrale: ci sono spettacoli dove c’è una distanza e una separazione tra platea e palcoscenico e spettacoli dove il pubblico è disposto diversamente nello spazio.
Le domande del gruppo sono indirizzate a capire quali sono le altre disposizioni possibili: scopriamo che, per esempio, in questa sala è possibile che il pubblico sieda su tutti e quattro i lati e lo spettacolo avvenga al centro, o ancora che si possano fare delle esperienze di teatro immersivo, dove il pubblico sta al centro della sala e lo spettacolo avviene tutto intorno o senza separazione tra interpreti e pubblico.
Anche questo spazio è abitato: dobbiamo lasciare la sala per permettere alla Compagnia Fettarappa di prepararsi per la replica di La sparanoia, ospitato nell’ambito della rassegna La nuova scena. Altra informazione per noi utile: ogni sala ha una sua linea di programmazione, che permette al pubblico di riconoscere le proposte e di seguirle: questa rassegna per esempio è dedicata alla drammaturgia contemporanea e alle compagnie emergenti del teatro italiano.
Quando usciamo dalla Sala Tre, Celia nota un pannello con le fotocopie di diversi articoli di giornale: la rassegna stampa dello spettacolo La sparanoia. Si tratta dei pezzi scritti da giornaliste e giornalisti che raccontano lo spettacolo, ne fanno una critica, mettono in luce punti di forza e di debolezza e aprono riflessioni sulle tematiche proposte dagli spettacoli e dalle compagnie. Commenta Nicolas:

“Un po’ come facciamo noi, nelle nostre discussioni della domenica. Siamo dei critici.”

La visita continua. Lasciamo il foyer e usciamo all’esterno, ai Bagni Misteriosi. Nonostante sia già buio, lo spazio esterno è illuminato e svela le due vasche in stile liberty delle piscine, di fronte a noi l’edificio che ospita l’ingresso da via Botta e gli spogliatoi, alla nostra sinistra la Palazzina che, come scopriremo, ospita gli alloggi per artiste e artisti e compagnie in residenza, una sala per incontri e conferenze, una biblioteca fornitissima e una suggestiva sala per installazioni e performance caratterizzata da due file di porte che si guardano e che, a inizio Novecento, era adibita agli spogliatoi della piscina.

La Biblioteca

Abbiamo la possibilità di visitare la struttura della Palazzina, uno spazio in continua trasformazione, composto da quattro sale contigue, adatto a mostre, feste, spettacoli itineranti e performance. Decidiamo di improvvisare un’azione performativa anche noi, approfittando della splendida scenografia strutturale della stanza delle porte.
Visitiamo la sala adibita a biblioteca, perfetta per studiare e leggere anche d’estate, aperta al pubblico con l’ingresso alle piscine. Salah è affascinato dagli affreschi sul soffitto, conservati nell’opera di ristrutturazione e appartenenti alla struttura originale, come ci spiega Valentina. I Bagni Misteriosi sono stati magnificamente rinnovati dall’architetto Michele De Lucchi (e la collaborazione di un gruppo di architetti) con la direzione artistica di Andrée Shammah e interventi scenografici di Gian Maurizio Fercioni. La riqualificazione da parte della Fondazione Pier Lombardo ha ricomposto il complesso originario degli anni Trenta, il Centro Balneare Caimi smembrato e ferito durante e dopo la guerra. Oggi gli spazi esterni sono integrati con gli spazi interni del Teatro e le piscine del 1937, sono ritornate ad assolvere alla loro funzione e diventate palcoscenici per spettacoli all’esterno durante il periodo estivo.
Per la maggior parte del gruppo questa visita rappresenta l’occasione di scoprire un luogo incantevole della città, sconosciuto, inaspettato, che racconta la storia di un quartiere il Vasari-Battisti e svela un angolo di Milano a cui tornare per un tuffo e uno spettacolo a bordo piscina in una sera di mezza estate. Gli ultimi, numerosi scatti, della visita guidata sono proprio a bordo piscina, poco prima di entrare rientrare in foyer – ormai gremito di pubblico, e in Sala A, l’unica che non abbiamo ancora visitato, per lo spettacolo che ci attende.

L’incontro con Ivana Monti

L’incontro con Ivana Monti

Al termine dello spettacolo, Ivana Monti raccoglie applausi caldi e accorati da parte del pubblico. Saluta, sorride, ringrazia. In sala rimaniamo noi per un incontro intimo, generosissimo e molto commovente. Ivana veste ancora i panni di Adriana, ma ora davanti a noi c’è l’attrice che si racconta.
La sua biografia, l’infanzia a Corvetto – ripete più volte l’espressione “noi, della periferia” -, il suo desiderio di intraprendere la professione d’attrice, il sostegno della famiglia, anche quella allargata del vicinato. Il tempo trascorso ad ascoltare i dialetti e a impararli sentendoli parlare in cortile, sulle rampe delle scale, fuori e dentro casa. È così che ha imparato il milanese ci dice, ascoltandolo e ripetendolo.
La formazione alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano, in corso Magenta 63 e l’incontro con l’arte del mimo e la commedia dell’arte e un linguaggio del corpo che attraverso il gesto racconta una storia. Dal gruppo arriva una domanda su una parola specifica che il personaggio ripete come intercalare in tutto lo spettacolo, “duca”: Che cosa vuol dire “duca”? “Dunca?” risponde Monti e per spiegarne il significato improvvisa un numero divertente di commedia che ci fa sorridere.
Ci regala poi una lezione sull’interpretazione delle maschere, dei personaggi tipici della commedia dell’arte, utilizzando il dialetto milanese e il corpo per sottolineare caratteri, temperamenti, classi sociali dei personaggi.

Ivana Monti è Adriana in Una vita che sto qui

La mia Adriana, per essere sicura di essere capita, usa anche le braccia e le mani, usa anche la mimica facciale. Adriana parla anche con le cose, come fanno normalmente le persone meno acculturate, più spontanee, più dirette, poi man mano che si sale nelle classi sociali, piano piano ci si controlla e quindi questa è anche una scelta per caratterizzarla, lei, Adriana, attenzione, ha studiato, fino a quattordici anni ha fatto l’avviamento commerciale e poi, dopo i 14 anni, via, si andava a laurà.

Quando parla dello spettacolo, racconta che il personaggio di Adriana se l’è cucito addosso, dalla pagina scritta, l’ha fatto diventare cosa viva, ispirandosi alle tante donne del Corvetto che ha conosciuto da bambina e da ragazza, e attingendo a ricordi della sua vita personale. Ci spiega, in poche toccanti parole, perché questo lavoro è commovente e perché è commovente per lei:

Perché sono cose che io conosco. Le ho viste davanti a casa mia al Corvetto, davanti a ca’ mia, si dis in milanes, davanti alla porta.” Fa riferimento a una domanda del gruppo relativa all’episodio dello spettacolo che racconta la morte di tanti ragazzi, compreso il figlio della protagonista, per droga. “Ho voluto metterci il nome di due bambini che ho visto nascere, il Daniele e il Robi, […] per me questa è l’unica occasione di parlare di loro, di ricordarli, di piangerli, almeno di ridire il loro nome. […] L’autrice, la Skerl, dice che nel suo cortile una ventina ne sono andati via, io non lo so nel mio cortile perché non abitavo più lì, facevo l’attrice ed ero via, però io quei due che ho conosciuto li ho voluti ricordare qui. È venuta a vedere lo spettacolo una maestra con i suoi allievi e le sue allieve e ha detto che anche nel suo cortile una ventina ne sono andati via. Allora, vedete che se facciamo la somma dei vari cortili per noi della periferia… tu mi devi dire quanti ne sono andati via, e mi devi anche dire se tra terrorismo e malavita, se non c’è stata anche una stradina che ha portato proprio in quegli anni la droga, perché prima non c’era, cioè era solo dei sciuri, dei ricchi, era la cocaina, ma lì è arrivata l’eroina e ne ha ammazzati tanti in grazia di Dio.

Questo rapporto diretto con degli episodi della storia della città che hanno toccato la vita delle persone comuni, delle famiglie, delle comunità, è il cuore dei confronti del gruppo e delle considerazioni a caldo subito dopo lo spettacolo. L’incontro con Ivana Monti riconferma l’importanza e il ruolo delle attrici e degli attori nel restituire la memoria dal punto di vista anche degli ultimi, degli umili, dei testimoni che altrimenti rimarrebbero senza voce.

L’incontro con Ivana Monti

Lo spettacolo e l’esperienza nelle parole del gruppo

Il laboratorio di discussione, scrittura e restituzione dello spettacolo si è tenuto domenica 10 marzo. Un lavoro a piccoli gruppi, a partire da una scaletta comune, una traccia per la discussione e la composizione del racconto orale. La scaletta poneva l’attenzione sulla storia raccontata dalla protagonista, sui temi affrontati nel racconto, sull’interpretazione dell’attrice e l’uso del dialetto milanese, sulla connessione con la storia di Milano e la grande storia in generale. Ogni gruppo aveva la massima libertà nello scegliere quali punti trattare e la possibilità di riportare anche altri contenuti riguardo all’esperienza vissuta, dalla visita al teatro, all’incontro con Ivana Monti.

Il gruppo di A teatro nessuno è straniero con Ivana Monti

Di seguito la trascrizione delle discussioni e delle restituzioni dei gruppi, quanto più fedeli possibili alle voci delle persone che hanno preso parola per raccontare. Ogni restituzione ha la sua forza anche nella forma usata, quella dell’elenco, quella dialogica che passa dall’io al noi, quella discorsiva e quella che procede per frammenti per restituire i momenti salienti dell’esperienza.

Il gruppo di Alexander, Markgit, Marlon, Salah

La storia: i momenti della storia che ci hanno colpito in maniera particolare sono… perché…

Quando Adriana pensa che sono quelli dell’Aler, che bussano alla porta. Questo è uno dei primi momenti della storia. Come si è sentita come figlia, come madre, soprattutto nel momento che è morto suo figlio a causa della droga. La quotidianità della sua storia è la storia di molte, non solo la sua. E storie simili alla sua le viviamo anche adesso.

I temi: tra i temi affrontati (abitare, vecchiaia, rapporto con la famiglia di origine, maternità, lavoro, relazione con gli uomini, classe sociale, rapporto personale con i grandi eventi della storia…) vogliamo approfondire questi due temi… perché ci portano a fare queste riflessioni sull’oggi…

Noi abbiamo scelto abitare e rapporto personale con i grandi eventi della storia.
Vecchiaia. In quel momento lei si trova da sola in quella casa. Non c’era nessuno al suo fianco. La fragilità della sua età: lei che non voleva andare via, affrontare tutto il percorso da sola, la paura di dimenticare. La vita di Adriana in rapporto ai grandi eventi della storia: i ragazzi che morivano per via della droga. Il concerto della ricostruzione della Scala, lei in piazza con i genitori e con Sergio – il suo primo amore, l’11 maggio del 1946. E quando hanno ingrandito lo Stadio di San Siro e c’era anche lei.

L’interpretazione: l’attrice ci ha fatto capire che… abbiamo apprezzato la sua capacità di… l’uso del dialetto milanese ci ha… il linguaggio fisico e del corpo…

L’attrice ci ha fatto capire che il posto, possiamo dire anche la casa, dove ha vissuto tutta la sua vita è tutto per lei. Che perdere la casa è come perdere tutto, perché è tutto quello che lei aveva, che le era rimasto. L’attrice esprime con le emozioni tutta la vita di Adriana e quella dei milanesi. Con il dialetto milanese l’attrice racconta un mondo che non c’è più come quello degli anziani che Salah va a trovare al Corvetto.

Milano: attraverso lo spettacolo abbiamo scoperto che… attraverso lo spettacolo ci siamo ricordati che…

Milano e la sua storia, attraverso lo spettacolo: noi abbiamo scoperto che Milano ha avuto una crisi di droga, abbiamo scoperto la ricostruzione della Scala e abbiamo scoperto che esiste Lorenteggio, un nuovo quartiere di cui non abbiamo mai sentito parlare prima.

Il gruppo di Medalit, Anna, Celia, Renata

Medalit

Ivana Monti è Adriana in Una vita che sto qui

Adriana è una donna anziana che ha voglia di raccontarsi. Ci ha colpito il modo particolare in cui lei si mette in gioco. A me personalmente ha colpito la scena in cui lei tiene fra le braccia i vestiti del suo bambino. I vestiti sono davvero del figlio dell’attrice da piccolo. Le avevano proposto di usare una foto e lei ha scelto i vestiti del figlio. Ci ha colpito anche il momento in cui Adriana racconta la morte di suo figlio e di altri ragazzi per la droga e il fatto che l’attrice in quel momento pensa a due ragazzi che lei ha conosciuto veramente e che sono morti per la droga, per questa ragione, in quel momento l’abbiamo sentita molto sincera, molto vera. […]
Ci sono venute in mente delle persone che abbiamo conosciuto, avevano gli stessi movimenti nel corpo di Adriana, quando andava a prendere il caffè e si preparava il caffelatte per esempio. Io ho conosciuto una signora, che è la nonna di un’amica italiana che quando andavo a trovarla e mi vedeva alla porta, era contentissima, euforica, e la prima cosa che mi offriva era il caffè, lo fa ancora adesso. E lei mi parlava in dialetto milanese, proprio come Adriana, per questo ho capito, non dico tutto con precisione, ma quasi. […]
L’attrice ci ha fatto capire che quella di Adriana è una storia ordinaria che potrebbe accadere a chiunque. Abbiamo apprezzato la sua capacità di usare il corpo, di parlare anche con il corpo. Usava il corpo, parlando il dialetto milanese, per essere capita meglio, diciamo. Il linguaggio fisico l’abbiamo trovato efficace e diretto. E l’uso del dialetto milanese ci è piaciuto. A me personalmente è piaciuto perché l’ho trovato molto realistico. […]
Attraverso lo spettacolo ci siamo ricordati che non è giusto sfrattare una persona anziana, da un momento all’altro. Perché comunque a quell’età deve venire aiutata dalla società. […]
Abbiamo apprezzato I‘attrice in tuttala sua interpretazione, nel mondo in cui lei ha interpretato il personaggio. Come ha detto lei stessa personaggio che non è suo, ma adesso è suo. Se l’è preso con sé.

Celia

Rispetto ai temi, abbiamo parlato di questo pregiudizio iniziale che molte persone, soprattutto anziane, hanno verso il nuovo. Si ha sempre paura del nuovo, di chi arriva da fuori, quindi dello straniero. Adriana chiama tutti i suoi vicini di casa “Africa”, nonostante abitino nelle sue stesse condizioni, nel suo stesso palazzo. Per lei sono persone molto lontane, invece sono molto vicine, sono i suoi vicini di casa, vivono nelle stesse case popolari. Quindi abbiamo parlato proprio di questo pregiudizio iniziale, che però piano piano lei cerca di smorzare perché conosce Fatima. Fatima è una dottoressa che può aiutarla, che sicuramente la cura, allora ha un po’ più di rispetto, la vede come una persona, non solo come “Africa”, quindi la chiama per nome. E infatti poi di lei dice spesso: “Lei sì che era brava”. Pensiamo che questo sia un argomento sociale molto attuale. Quando non conosci un popolo, non conosci le usanze, allora è facile avere paura. Però poi condividendo, conoscendo la persona, magari parlandoci, lavorandoci, allora è più facile sicuramente avere un’idea diversa. Abbiamo parlato anche di questo.” […] “Il pensiero del gruppo è che sarebbe bello, per chi di noi ha figli, che i nostri figli avessero una nonna così che raccontasse tutto il suo passato, tutto il suo trascorso d’esperienze in quel modo.”[…] “Della visita al teatro ci ha colpito la ristrutturazione della piscina comunale, che adesso fa parte del teatro.

Il gruppo di Olga, Annamaria, Liudmiyla, Virginia

Tra i momenti della storia che ci hanno colpito ci sono…

# uno, quando Adriana racconta alla sua mamma che aspetta un bambino e la mamma, che stava male dopo la morte del marito, non parlava, non mangiava, restava tutto il giorno davanti al frigo, a fissare il frigo, è come guarita, è rinata con emozioni molto felici;
# due, quando Adriana accarezza e bacia i vestiti del suo bambino – i vestiti erano veramente del figlio dell’attrice;
# tre quando Adriana è riuscita a trovare un lavoro in un quartiere di lusso, lei che era figlia di una famiglia di operai.
Ci hanno colpito tutte le scene di vita quotidiana del palazzo, le liti con i vicini, i rapporti con i vicini africani, abitanti che prima non accettava e poi accetta.

Tra i temi…

Nel primo, in vecchiaia, abbiamo visto l’incertezza sul futuro, la solitudine e la resilienza, la capacità di resistere a tutto. Lei rimane sola con una valigia di ricordi, e continua a vivere anche dopo che ha perso tutti i suoi cari. Che anche se il passato si presenta molto difficile la forza di vivere e resistere e andare avanti non finisce. Abbiamo visto la forza nella fragilità.
Secondo tema: rapporto personale con i grandi eventi della storia. Adriana ha vissuto la guerra, ha imparato la politica dal rapporto con il padre, ha lottato per i diritti della donna, ha visto morire suo figlio per la droga, ha vissuto l’immigrazione quella degli anni Cinquanta e quella degli anni 2000.

L’interpretazione…

L’attrice ci ha fatto capire che è un’anima senza frontiere, che la vita è bella e può ricominciare, nonostante tutto, e ci ha fatto vedere come si costruisce un personaggio che crede nel futuro. Abbiamo apprezzato la sua capacità di semplicità, anche grazie all’ incontro dopo lo spettacolo. Ci ha fatto sentire come se fosse la nostra vicina di casa e ci ha messo a nostro agio. Il suo corpo parlava e i suoi gesti spiegavano tutto senza parole. Il dialetto milanese ci ha incuriosito e divertito. Ci ha sorpreso sapere che ha usato tanti oggetti suoi personali per rendere vivo il personaggio.

Milano e la sua storia…

Attraverso lo spettacolo abbiamo scoperto che tanti figli sono morti di eroina negli anni Ottanta e Novanta a Milano. Oggi il figlio di Adriana avrebbe sessant’anni… E attraverso lo spettacolo ci siamo ricordati che la droga porta via anche oggi troppe persone.

I Bagni Misteriosi

Abbiamo scoperto che esiste a Milano un teatro moderno, con i Bagni Misteriosi e con la piscina… Ci ha colpito il fatto che sei in un teatro grande, con tanti spazi molto belli, con le piscine e che questo spazio grande ha favorito l’incontro. È un teatro accogliente, questo ci ha colpito.”

Il gruppo di Tzvetan, Marcia, Marisol

I momenti che…

L’incontro con Ivana Monti

Uno dei momenti che ci ha particolarmente colpito, è una cosa curiosa. E’ l’atteggiamento del papà al momento della presunta gravidanza della protagonista, che è molto esplosivo, irruento, protettivo e ci riporta in un’epoca patriarcale quando il padre della famiglia era quello che doveva prendersi l’onere e proteggere o educare. In più una cosa che colpisce particolarmente è la storia del bombardamento degli alleati che purtroppo ha provocato tanti bambini morti alla scuola di Gorla. Questo poi lo riprendiamo poi più avanti, perché sono cose delle quali abbiamo sentito parlare poco per svariati motivi e attraverso lo spettacolo si riscoprono anche questi momenti non tanto sereni.
Il ricordo della perdita del figlio svela il dolore, accompagnato dal pensiero della protagonista di essere stata una pessima madre. Quindi questo ci ha colpito, ci ha colpito parecchio. Cioè come una madre si incolpa di quello che successo col figlio, “colpa mia”, cioè sono stata io una mamma cattiva che non ha permesso al figlio di avere un futuro migliore. I ricordi della guerra associati al dolore scoprono la vulnerabilità e la sensibilità di una persona che vuole apparire apparentemente molto forte. Cioè lei con il suo linguaggio, con la sua voce un po’ grossa, vuole apparire come una donna molto forte. Donna sola ma forte, ma, nonostante ciò, con questi ricordi intimi, svela comunque sensibilità e vulnerabilità. Gli amori della gioventù associati alla consapevolezza di essere stata sfortunata, l’ha ripetuto più volte, “eh, sono stata sfortunata”. Questi contenuti sono accompagnati con espressioni tipicamente milanesi, nominando i vari morosi della gioventù, il Gianni, il Sergio…

I temi…

Abbiamo scelto l’abitare e il rapporto personale con i grandi eventi della storia. Il tema abitare perché? Perché il racconto, comunque, è ambientato nel quartiere dove abitava questa persona e mostra le difficoltà nell’abitare un quartiere periferico che si amplificano con l’avanzare dell’età, ma rimane comunque l’attaccamento e i ricordi di una vita passata lì.
I ricordi dei grandi eventi storici intrecciati con quelli personali riescono a dare un volto umano alla grande storia e non vengono raccontati in maniera distaccata, cioè da uno storico, ma da una persona che racconta la storia anche attraverso il proprio vissuto, attraverso le proprie emozioni.

L’interpretazione…

Abbiamo apprezzato l’uso del dialetto milanese. La storia è un insieme di espressioni, gesti e non solo parole. L’attrice ha utilizzato le sue esperienze personali per impersonificare Adriana. I suoi oggetti personali come oggetti del personaggio. Quindi lei ci mette del suo nell’interpretare la protagonista. Il dialetto milanese diverte e sdrammatizza nello stesso tempo i momenti più difficili. Alla fine, abbiamo scritto una domanda: come sarebbe stata la storia raccontata in italiano e non in milanese? Magari avrebbe perso più della metà del fascino.

Milano e la sua storia

Attraverso lo spettacolo abbiamo scoperto cose che, come dicevo prima, magari tanti di noi non sapevano o che col tempo si erano perse, per esempio il fatto che gli alleati comunque hanno provocato tante vittime civili nel processo di liberazione. Attraverso lo spettacolo abbiamo vissuto anche la ricostruzione di Milano – la Scala, la Galleria Vittorio Emanuele, dopo la distruzione e la costruzione della metropolitana che ha cambiato il volto della città. Il terrorismo in netto contrasto con la volontà di costruire una vita migliore. Lo spettacolo cioè abbina momenti della storia della città alla vita dei suoi abitanti: il testo si chiede nel momento in cui è stata ricostruita la Scala cosa è successo nella vita della protagonista e abbina i grandi eventi al suo vissuto.

Ivana Monti è Adriana in Una vita che sto qui




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