Lo chiameremo FIS? La volata finale per il nuovo Codice dello Spettacolo

Gli incontri del sottosegretario Gianmarco Mazzi con gli operatori

Pubblicato il 27/03/2024 / di / ateatro n. 195

Il Codice dello Spettacolo, atteso da decenni, sembra aver iniziato la volata finale. Nell’incontro del 26 marzo 2024, con gli operatori del settore teatrale, il sottosegretario con delega allo spettacolo dal vivo Gianmarco Mazzi ha tracciato un serrato cronoprogramma: dopo gli incontri di questi giorni con i diversi settori dello spettacolo dal vivo, 40 giorni per la finalizzazione del testo da presentare in Consiglio dei Ministri ai primi di maggio, consultazione con Regioni e Comuni, e approvazione del provvedimento entro la scadenza del 18 agosto 2024, possibilmente a fine luglio.
Questa tornata di incontri conclude le consultazioni con gli operatori del settore iniziata nell’estate 2023, nelle quali era stata coinvolta anche l’Associazione Culturale Ateatro (Le proposte di Ateatro per il Codice dello Spettacolo).
In questi appuntamenti nella sede del Ministero della Cultura, il sottosegretario Mazzi, con il direttore generale Antonio Parenteha, hanno elencato le varie proposte (o meglio richieste) raccolte negli scorsi mesi: una lunga lista di richieste a volte contraddittorie, su una molteplicità di temi, che meriterebbe una più ampia e approfondita discussione (e non le poche domande e osservazioni espresse alla fine della presentazione, prima delle testimonianze di attori e attrici come Gabiele Lavia, Alessandro Preziosi, Monica Guerritore, Michele Placido…).
Alcuni problemi dell’attuale sistema teatrale erano già emersi con chiarezza nel 2015 dall’indagine Oltre il Decreto, a cominciare da

# iperproduzione e conseguente intasamento del mercato (e strettoie distributive),
# eccesso di burocratizzazione delle procedure FUS, con tempistiche inadeguate,
# mancata definizione delle funzioni delle varie tipologie di soggetti sostenuti dal FUS,
# grave sperequazione territoriale nella proposta e nella partecipazione culturale,
# scarsa promozione della cultura italiana all’estero,
# ruolo irrilevante degli Osservatori, indispensabili per progettare efficaci politiche.

Altro tema chiave è da sempre il lavoro, con l’emergenza esplosa durante la pandemia. Nelle stesse parole del sottosegretario, è emerso che il primo intervento sull’intermittenza del 2023 è inadeguato (Vedi Indennità o indeGNità di discontinuità? Il nuovo Decreto Legge su Riordino e revisione degli ammortizzatori e delle indennità e per l’introduzione di un’indennità di discontinuità in favore dei lavoratori del settore dello spettacolo di Debora Zuin). Arrivano richieste di salario minimo e rispetto dei contratti, anche se la risposta del mondo del teatro va piuttosto nella creazione di albi e registri professionali più o meno improbabili: per attori e attrici, sceneggiatori e drammaturghi, formatori, agenti…
E c’è grande attenzione alla parità di genere, da parte sia del governo sia degli operatori.
Come sempre, elenchi, minimi e quote sono animati dalle migliori intenzioni, che però non sempre si realizzano nella pratica: spesso spingono i decisori ad adeguarsi al minimo richiesto dalla norma, in operazioni di facciata che finiscono per vanificarne lo spirito.
Naturalmente una legge non è una wish list che accoglie i desideri degli operatori. Il testo del Codice dello Spettacolo, “pronto al 70-80%”, non è stato ancora reso noto e dunque è difficile immaginare come sono stati affrontati due snodi chiave: l’equilibrio tra teatro privato e teatro pubblico (dopo che la recente riforma del 2014 aveva cancellato il termine) e il rapporto tra lo Stato, Regioni e Comuni (anche nell’ottica della riforma delle autonomie locali: vedi Dossier | Le politiche regionali per lo spettacolo dal vivo: istruzioni per l’uso).
Sul primo versante, una soluzione può arrivare dalla leva fiscale, con forme di tax credit o di defiscalizzazione, che avvantaggiano i soggetti più forti sul mercato. Almeno in teoria, perché come abbiamo visto il sostegno allo spettacolo non arriva solo dal FUS, ma da mille altri rivoli. La soluzione più semplice sarebbe quella di spingere le iniziative commerciali verso il tax credit e l’art bonus, riservando ai progetti culturali il contributo diretto, ovvero quello che una volta era il FUS. Il governo gli aveva chiamato nome (senza cambiare la sostanza), e infatti – ha sorriso Mazzi – “continuiamo tutti a chiamarlo FUS. La mia proposta è di ribattezzarlo FIS, Fondo Italiano Spettacolo”. Vedremo se l’acronimo sciistico attecchirà, magari favorito dallo scioglimento della neve sulle piste…
Sul fronte delle risorse, ferma restando la difficoltà di ampliare l’investimento pubblico in cultura (e dunque ritenendo più praticabile la leva fiscale), Mazzi ha sottolineato l’incremento del sostegno al cinema (da 150 milioni nel 2016 a 800 nel 2023 e 750 nel 2024, secondo Mazzi), mentre lo spettacolo dal vivo resta sottofinanziato (423 milioni nel 2023, ma 200 vanno alle Fondazioni Lirico-Sinfoniche). Insomma, una promessa di riequilibrio (ma capiremo che ne pensa il sottosegretario con delega al cinema Lucia Borgonzoni).
Resta nell’attuale impostazione del FUS lo squilibrio tra il sostegno alla produzione (e dunque all’offerta) e il sostegno alla domanda, e dunque alla partecipazione culturale.Ma ampliare il pubblico può significare molte cose diverse. Per esempio, puntare al sold out e aumentare gli incassi delle “imprese culturali”. Così nel corso della mattinata, oltre che di Garinei e Giovannini e dell’operetta, di Zeffirelli e Fo, si è discusso a lungo del Biglietto d’Oro (anche se i più giovani hanno tutto il diritto di non sapere che cosa è).
Ma ampliamento della partecipazione culturale non vuol dire solo e tanto mettersi in concorrenza con le piattaforme e i megaconcerti. Vuol dire anche e forse prima di tutto lavorare sul riequilibrio territoriale, sull’inclusione e sulla coesione, prima che sul box office. Vuol dire valorizzare l’attività trasformativa del teatro nel sociale.Nella stesura del Codice dello Spettacolo vanno sciolti nodi politici e nodi amministrativi. Diversi provvedimenti devono coinvolgere altri dicasteri: bisogna parlare anche di lavoro e di welfare, di scuola e università. Ricordando che portare i giovani a teatro non deve significare obbligarli ad andare a teatro: la disaffezione al teatro nasce spesso dalla noi dei ragazzi di frointe alle recite per gli studenti delle scuole superiori.
A un settore strutturalmente fragile e devastato dalla pandemia, serve assolutamente una buona legge. Anche perché un provvedimento pasticciato e malamente finanziato rischia di affossarlo definitivamente.

Nota per i più giovani: il Biglietto d’Oro

Per diversi decenni l’AGIS, l’associazione degli imprenditori dello spettacolo, ha pubblicato il “Giornale dello Spettacolo”, nato nel 1945 a Milano come “Bollettino di Informazione”. In ogni numero, accoglieva una rubrica, “La Borsa dello Spettacolo”, con i dati sui biglietti venditi e sugli incassi (sulla base delle dichiarazioni di teatri e compagnie: i numeri “ufficiali” della SIAE venivano diffusi con maggiore ritardo, anche perché non esistevano ancora le biglietterie elettroniche)
A partire da questi dati, tra il 1984 e il 1997 su iniziativa dell’AGIS veniva assegnato il Biglietto d’Oro, un riconoscimento ai campioni d’incasso nei diversi generi e per le diverse tipologie di imprese di produzione, distribuzione ed esercizio (con il sospetto che giurati e premiati fossero più o meno le stesse persone). Ma negli anni Novanta il sistema teatrale stava cambiando, mettendo in difficoltà le antiche compagnie di giro (oggi ne sono rimaste pochissime). Quello che resta delle antiche tournée, sui cui era basato il sistema, è sotto gli occhi di tutti. Un meccanismo in apparenza meritocratico rischiava così di premiare sottoprodotti cinematografici e televisivi, con divi e dive in libera uscita dallo schermo alle scene. Infatti il tentativo di resuscitare l’iniziativa nel 2008 non ebbe seguito.
Il revival del Biglietto d’Oro è il sintomo di una tendenza in atto, che si può riassumere in un ritorno al mercato. Vanno infatti nella stessa direzione il tax bonus e altri provvedimenti che premiano le aziende che fatturano di più, a prescindere dal valore culturale della proposta. Un meccanismo utile, se davvero serve a sgravare il FUS-FIS dal sostegno alle realtà più commerciali, lasciando più spazio a progetti di più marcato valore culturale.




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