Quer pasticciaccio brutto de Piazza Argentina
La destra nomina Luca De Fusco, la sinistra insorge e non riconosce il nuovo direttore
Il cadavere sembra quello del Teatro di Roma, chi l’abbia ucciso non si sa.
In effetti l’avevano appena resuscitato, il teatro nazionale della capitale, che gestisce oltre all’Argentina anche India, Valle (scandalosamente chiuso da temnpo) e altri teatri.
Dopo una serie di vicissitudini antiche (le dimissioni dei direttori Mario Martone e Giorgio Barberio Corsetti, e quelle di Francesca Corona, fuggita da India a Parigi, per la precisione al Festival d’Automne) e recenti (il comunicato stampa sindacale contro l’eventuale nomina di Franco D’Ippolito alla direzione), il Teatro di Roma era stato commissariato. Si diceva che la trasformazione in fondazione avrebbe risolto i problemi, trasfromando il rospo in principe. Il commissario Giovanna Marinelli, grazie alla grande esperienza politico-amministrativa, era riuscita nel difficile compito. Con qualche lentezza era stato nominato il consiglio di amministrazione della neonata Foindazione con un rappresentante del Comune (sinistra), due di Regione e uno del Ministero (destra). Al Comune tocca la nomina del Presidente del CdA: è Francesco Siciliano (figlio di Enzo, scrittore e Presidente RAI tra il 1996 e il 1998).
A quel punto si tratta solo di nominare il direttore generale del teatro. Al bando rispondono decine di candidati e candidate, un’apposita commissione sceglie una rosa di tre nomi (tutti maschi di una certa età). A quel punto la palla torna al CdA.
I candidati sono Ninni Cutaia, dirigente del Ministero della Cultura, direttore generale dell’Eti dal 2007 fino alla soppressione nel 2010, poi direttore dello Stabile di Napoli dal 2010 al 2012, di recente direttore generale per la Creatività Contemporanea al MiC, e attualmente Commissario al Maggio Musicale Fiorentino, dove è riuscito a risistemare un drammatico dissesto. Poi c’è Luca De Fusco, regista napoletano apprezzato da Franco Cordelli, anche lui passato dalla direzione dello stabile napoletano (e del Napoli teatro Festival) a quella (meno prestigiosa) di Catania. Infine Marco Giorgetti, da tempo direttore della Pergola a Firenze, altro teatro nazionale in perenne crisi, che di recente starebbe attraversando una sorta di catastrofe finanziaria.
Nel gioco delle poltrone bisogna però inserire anche Carlo Fuortes, già direttore del Parco della Musica e del Teatro dell’Opera di Roma, commissario straordinario al Petruzzelli di Bari, e nel 2021 nominato per le sue doti di manager della cultura addirittura Presidente della RAI. Con il cambio di governo, per la destra quella poltrona però diventa strategica.
Nessun problema. Fuortes viene nominato direttore del San Carlo di Napoli, dopo che una norma praticamente ad hoc aveva esautorato il sovrintendente Stéphane Lissner, stabilendo che oltre i settant’anni quelli come lui devono andarsene in pensione. Colpo di scena: Lissner ricorre alla magistratura e vince la causa. Fuortes resta disoccupato.
A quel punto, l’idea geniale: sistemare Fuortes al Maggio Musicale, a patto di trovare una sistemazione adeguata a Cutaia, che con lo stabile romano ha un conto in sospeso: nel 2014 era stato nominato direttore dello stabile romano, ma la nomina era stata bloccata perché incompatibile con il suo ruolo di dirigente del Ministero (anche se in aspettativa).
Il lodo Fuortes-Cutaia avrebbe segnato un accordo storico tra destra e sinistra, su un punto delicato come l’egemonia culturale attraverso la sisematica occupazione delle poltrone culturali. Ma pochi giorni prima della ratifica dell’accordo, l’onorevole Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura della Camera e meloniano di ferro, boccia l’accordo.
Oggi lo scontro finale. I tre consiglieri nominati dalla destra, i due nominati dalla Regione (l’avvocato Danilo Del Gaizo e Daniela Traldi), l’altro nominato dal ministro Sangiuliano (l’attore e regista Marco Prosperini) si riuniscono e votano De Fusco, in assenza del consigliere del Comune di Roma Natalia Di Iorio e del presidente Siciliano, che dichiara immediatamente che quel CdA è illegittimo perché lo aveva annullato e dunque non riconosce il nuovo direttore. Anche l’assessore alla Cultura del Comune di Roma Miguel Gotor si scaglia contro la nomina:
«Questa mattina è avvenuto un fatto molto grave. I consiglieri di amministrazione nominati dal Ministero della Cultura e dalla Regione Lazio hanno deciso di svolgere una riunione che ha come oggetto la nomina del nuovo direttore generale della Fondazione Teatro di Roma e hanno proceduto alla sua nomina senza che fossero presenti il presidente del Cda della Fondazione Francesco Siciliano e la consigliera designata dal Comune Natalia Di Iorio. Questo incontro è, nei fatti, abusivo perché non rispetta le prerogative del Presidente Siciliano che ieri sera aveva disposto di aggiornare la riunione del Cda già da lui convocato, come previsto dallo statuto. Noi ci opporremo con tutte le nostre forze».
Per spiegare l’ira di Gotor, giova ricordare che il 9 gennaio 2024 il Comune di di Roma aveva destinato un milione di euro favore della Fondazione Teatro di Roma, per un totale di oltre 6 milioni di euro (il principale sostegno al teatro, più diel Ministero, molto più della Regione). L’assessore aveva spiegato:
“Il riconoscimento di questo importate stanziamento si perfeziona al termine di un percorso condiviso con la Regione Lazio, anch’essa nella Fondazione, e con la scelta di conferire un uguale apporto patrimoniale aggiuntivo dei soci, rispetto al fondo iniziale, che consenta alla Fondazione Teatro di Roma di operare e generare cultura. Questa decisione si inserisce in un percorso coerente con il disegno di riforma complessivo della realtà teatrale di Roma che, come Amministrazione capitolina, stiamo perseguendo e portando avanti, convinti dell’importanza della cultura nello sviluppo della città e nella crescita della comunità cittadina”.
Per la destra invece è tutto regolare.
Adesso è guerra totale, un po’ come accadde nel 2021 quando si trattò di nominare il successore di Sergio Escobar alla direzione del Piccolo a Milano.
In tutto questo il teatro e la cultura c’entrano poco. Ma solo in apparenza. Il vero spettacolo è nel CdA. E il teatro, che piaccia o no, è sempre lo specchio del paese. Nel bene e nel male.