Per un nuovo calendario laico: Santa Raffa e Santa Britney
La gioiosa patrona della liberazione sessuale e la martire ribelle del maschilismo tossico
Miti d’oggi
Il calendario laico non ha più i santi e le sante del giorno, ma il nostro olimpo continua a ospitare le sue divinità, grazie ai “miti d’oggi” indicati da Roland Barthes (1957): personaggi (od oggetti) in cui tutti possiamo riconoscere noi stessi o proiettare le nostre aspirazioni.
La santificazione di Raffaella Pelloni (in arte Carrà) era già in atto prima della sua scomparsa. Il martirio di Britney Spears, regina e vittima dello star system, prosegue da decenni, tra ricoveri e processi, provocazioni e crolli, in una carriera che continua a inanellare successi planetari e fatturati milionari.
Raffa e Britney sono due icone, amatissime e discusse, ma sono anche due potenti motori di cambiamento in uno show business che non è solo intrattenimento e “arma di distrazione di massa”. Hanno modellato e continuano a modellare il nostro immaginario, e dunque le nostre relazione interpersonali, in maniere spesso imprevedibili.
Una rivoluzionaria pop
Il 5 luglio 2021, a 78 anni, Raffaella Carrà viene stroncata da un tumore ai polmoni. Era da decenni un’icona pop internazionale, con oltre 60 milioni di dischi venduti in tutto il mondo. Aveva debuttato negli anni Sessanta nella bigotta televisione di Stato italiana, la RAI, e aveva ottenuto il successo nei seguitissimi varietà del sabato sera.
Non era una bellezza mozzafiato e non aveva certo il fascino della femme fatale. Anzi. Era la ragazza che potevi incontrare sull’autobus, alla cassa del supermercato, nell’ombrellone accanto alla tua sdraio. Semplice, simpatica, spigliata, ottimista, come tanti ragazzi dell’Italia del boom. E poi sapeva cantare e ballare, dote che nonne e zie apprezzavano.
Eppure con le sue canzoni e le sue coreografie è stata una della grandi rivoluzionarie pop. Perché aveva un corpo. Sapeva di averlo e ci voleva giocare, con sensualità e ironia.
Il celebre Tuca tuca firmato da Gianni Boncompagni e Francesco Pisano (1971) ruppe un tabù rendendo gioiosamente palpabile quello che ogni danza a due evoca, ma riuscì a superare la censura televisiva solo quando le trovarono come partner “tattile” l’arcItaliano Alberto Sordi.
Si chiama Tuca Tuca, Tuca
L’ho inventato io
Per poterti dire
Mi piaci, mi piaci, mi piaci, mi piaci, mi pia!
(Tuca tuca)
Il testo era ironico, ma il linguaggio del corpo non lasciava dubbi: i palpeggiamenti erano solo il prologo. Perché fare l’amore le piaceva, come spiegava con la complicità di Daniele Pace e Gianni Boncompagni, autori delle sue maggiori hit:
Com’è bello far l’amore da Trieste in giù
Com’è bello far l’amore io son pronta e tu
Tanti auguri
A chi tanti amanti ha
Tanti auguri
In campagna ed in cittàCom’è bello far l’amore da Trieste in giù
L’importante è farlo sempre con chi hai voglia tu
E se ti lascia lo sai che si fa?
Trovi un altro più bello
Che problemi non ha.
(Tanti auguri, 1978)
È vero che nelle canzoni popolari l’amore lo si faceva, magari mentre si vendemmiava l’uva fogarina. Ma grazie a queste canzoni in prima serata televisiva, la rivoluzione sessuale e il femminismo hanno preso una forma spensierata e pop. L’amore non era più un sentimento ineffabile, ma un’attività, una performance da valutare in termini tecnici dopo aver trovato il partner più efficiente. Se Raffaella faceva l’amore, voleva farlo come piaceva a lei (e non a lui). Lo comunicava prima di tutto alle altre donne, che rivendicassero il loro diritto al piacere sessuale.
A far l’amore comincia tu
(Aahaha) A far l’amore comincia tu
Se lui ti porta su un letto vuoto
Il vuoto daglielo indietro a lui
Fagli vedere che non è un gioco
Fagli capire quello che vuoi
(A far l’amore comincia tu, 1977)
La melodia rimbalzava da quel corpo minuto e scattante, sempre sovraccarico di energia. E quando metteva in mostra l’ombelico, in diretta su Rai, scatenava brividi oggi impensabili… Quei versi stupidini si sono impressi nella memoria di intere generazioni. E ricordiamo quel suo gesto inconfondibile, buttare la testa all’indietro per dare una scossa al caschetto biondo, inarcando la schiena, quasi a evocare gli orgasmi spensierati che scintillavano nelle sue canzoni. E’ lo stesso gesto delle Menadi che si abbandonavano all’estasi dionisiaca:
L’estasi dionisiaca significa anzitutto il superamento della condizione umana, la scoperta della liberazione totale, il raggiungimento di una libertà e di una spontaneità inaccessibili ai mortali. Che tra queste libertà ci sia stata anche la liberazione dalle proibizioni, dalle regole e dalle convenzioni di tipo etico e sociale, sembra essere certo; e questo spiega in parte l’adesione massiccia delle donne. L’esperienza dionisiaca però raggiungeva livelli più profondi. Le baccanti che divoravano le carni crude ritornavano a un comportamento rimosso da decine di migliaia d’anni; sfrenatezze di questo tipo rivelavano una comunione con le forze vitali e cosmiche che si poteva interpretare soltanto come possessione divina.
(Mircea Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose, vol. I: Dall’età della pietra ai Misteri Eleusini, Sansoni, Firenze, 1979, pp. 395-396).
Raffaella Carrà è stata anche l’idolo delle casalinghe disperate nelle trasmissioni dell’ora di pranzo, dove è diventata l’eroina delle televisione trash, con le telefonate da casa per indovinare il numero di fagioli contenuti nel grande vaso che troneggiava in primo piano sullo schermo. E nello stesso momento è diventata un’icona gay, come ha sintetizzato Nick Cerioni:
A mezzogiorno su Raiuno c’era Raffaella vestita di pelle, circondata da ballerini muscolosi. Un’immagine piena di riferimenti alla scena gay. Come certi balletti, pensiamo a Caliente Caliente, lei, ancora vestita di pelle, coi dodici ballerini vestiti di pelle, occhiali da sole, cappellino da poliziotto americano: dentro ci sono i fumetti erotici gay di Tom of Finland, l’immaginario leather dei club berlinesi e newyorkesi, tutto un mondo di cultura gay underground molto forte. (…) tu stai dicendo alle casalinghe: guarda che bello. Consegni alle persone normali delle bombe che scoppiano loro in mano senza che se ne rendano conto. L’accettazione del movimento gay è indubbiamente passata attraverso l’estetica della Carrà e di Madonna. Dobbiamo tanto a queste due donne.
(intervista di Teresa Ciabatti, Devo tutto alla Carrà, “7 – Corriere della Sera”)
Explota Explota: il film di Nacho Álvarez
Poco prima della scomparsa, Raffaella Carrà aveva ispirato il musical italo-spagnolo Explota Explota (Ballo ballo, 2020) di Nacho Álvarez. Il film (da cui è stata poi tratta anche una versione teatrale) è ambientato negli anni Settanta, quando in Spagna il regime franchista governava ancora con la censura.
E’ la vicenda della giovane Maria, che vuole avere successo in televisione e si innamora di Pablo, figlio dell’anziano (e franchista) censore della rete, Calcedonio. Con le sue canzoni, che punteggiano il film, e la sua ultima apparizione, Raffaella Carrà è la madrina della lotta contro la stupidità della censura e per la liberazione dal moralismo repressivo e bigotto.
Come ha ha spiegato Angelica Frey, quando ha recensito su “The Guardian” lo sgangherato ma pungente Explota Explota, è “la pop star italiana [che] ha insegnato all’Europa le gioie del sesso”.
Raffa in the Sky: l’opera lirica al Teatro Donizetti di Bergamo
Pochi anni dopo è addirittura protagonista di un’opera lirica, Raffa in the Sky (libretto di Renata Ciavarino e Albero Mattioli, musica di Lamberto Curtoni, da un’idea di Francesco Micheli, scene di Edoardo Sanchi, costumi di Alessio Rosati), che debutta al Teatro Donizetti di Bergamo il 29 settembre 2023. Per il sottotitolo è una “fantaopera”, un biopic immaginario e inventivo sulla scia dei film di Pablo Larrain.
La protagonista viene inviata dal pianeta Arkadia sulla Terra “a predicare Peace & Love”. Per Alberto Mattioli, lasciando in secondo piano la vita privata, si trattava di
mostrare come Carrà, nel suo modo gentile e sensuale, sorridente e inclusivo, senza proclami né teorizzazioni, ma con una determinazione formidabile sotto il caschetto biondo, abbia predicato valori, incoraggiato autocoscienze, denunciato ipocrisie e, insomma, cambiato il mondo.
Mentre l’Italia e l’Europa scivolano senza un sospiro verso nuove forme di fascismo, Raffaella Carrà incarna i valori di una sinistra tollerante, che punta all’allargamento dei diritti. Le canzoni diventano allora manifesti politici, in una vicenda “terrena” politicamente corretta e abbastanza prevedibile, con la famigliola di immigrati dal Sud alle prese con gli sconvolgimenti sociali del boom. Protagonista è una ventitreenne cantautrice astigiana, Chiara Dello Iacovo (che non può avere ovviamene il carisma dell’originale), che ha scoperto la Carrà “molto tardi, grazie alla comunità Lgbt e alle mie amicizie queer nel mondo” (Elvira Serra, “Io, Carrà nella fanta opera. L’ho scoperta tardi grazie alla comunità Lgbt”, “Corriere della Sera”, 3 ottobre 2023).
Per il compositore Lamberto Curtoni si è trattato di inserire i motivi pop delle “canzonette” nel tessuto musicale di una partitura operistica:
Lavorando alla musica, il confine, il tratto, fra la musica concepita ex novo e la canzone è diventato via via più labile. È stato questo il gioco: far perdere un po’ il contorno della canzone e farla entrare in un contesto assolutamente estraneo alla sua natura e forma originale. (…) Il procedimento che ho seguito ha fatto sì che le canzoni diventassero quasi come arie, come delle apparizioni piuttosto concrete, anche se sottoposte a una trasformazione. In effetti, tutte le canzoni sono presenti in forma di embrioni e si trovano già nelle prime note della sinfonia. E ritornano poi in un continuo processo di modificazione e di crescita, fino a maturare in quella che è la canzone vera e propria. Ma il processo non si arresta lì, poiché evolvono ancora fino a una sorta di disgregazione.
Raffa, il documentario di Daniele Lucchetti
Il 27 dicembre 2023 approdano su Disney+ (dopo un breve passaggio nelle sale) le tre puntate del documentario Raffa, realizzato montando 1500 spezzoni, con molte testimonianze e video inediti, con il desiderio di raccontare qualcosa di più della vita privata di una diva che è sempre stata assai riservata sulle sue vicende personali. Secondo il regista Daniele Lucchetti, passato imprevedibilmente al pop, “di Raffaella ci si può solo innamorare, arrendendosi senza riserve alla sua grazia energetica, dichiarandola ufficialmente una innovatrice”.
Per dirla con Pedro Almodóvar, che le ha dedicato il suo film Madres Paralelas, “Raffaella non è una donna, ma uno stile di vita”.
Britney Spears, la martire del maschilismo tossico
Se Raffaella Carrà è stata la paladina della gioiosa liberazione sessuale, Britney Spears è la martire del maschilismo tossico. Lo testimoniano la lunga battaglia giudiziaria per emanciparsi dalla tutela di un padre-padrone (e impresario), gli scontri con i suoi ex, i crolli e i ricoveri, le maternità, gli aborti, i figli contesi, che punteggiano la sua carriera. Ed è incredibile come una persona considerata incapace di badare a sé stessa, perennemente sull’orlo di una crisi di nervi, abbia continuato a innovare il pop con dosi gigantesche di personalità, professionalità e creatività.
It’s Britney, Bitch! con Sina Martens al Berliner Ensemble
Tutto questo viene raccontato, anche in questo caso usando le canzoni come filo conduttore, in It’s Britney, Bitch! (E’ Britney, troia!), opera rock in forma di monologo-confessione. Lo spettacolo di Lena Brasch e Sina Martens (che ne è anche la bravissima protagonista) è in scena da qualche tempo al Berliner Ensemble, con grande successo di pubblico (soprattutto ragazze, com’è ovvio) e le riserve dei brechtiani ortodossi.
Il materiale arriva dalle cronache che hanno visto la giovane star come protagonista, ma anche da una rilettura delle sue canzoni. Sono i temi della sua recente autobiografia, The Woman in Me, appena pubblicata da Longanesi.
Lo spettacolo parte dal testo che Britney Spears ha letto in tribunale nel novembre 2021, quando cercava di emanciparsi dalla tutela di suo padre: “Non sono qui per essere schiava di nessuno”, dichiara. Confessa: “Sono depressa”. E poi: “Rivoglio solo la mia vita.”
“Volevamo trasformare Britney in tonalità minore”, spiega Sina Martens. Una volta chiarito il contesto patriarcale, cantati con un accento diverso, i brani dall’apparenza pop lanciano messaggi scomodi e tragici. Non sono canzonette, sono denunce.
With a taste of your lips, I’m on a ride
You’re toxic, I’m slippin’ under
With a taste of a poison paradise
I’m addicted to you
Don’t you know that you’re toxic?
And I love what you do
Don’t you know that you’re toxic?
(Toxic)
Siamo nel 2003 e all’epoca non erano in molte a parlare di mascolinità tossica. E il messaggio è chiaro, non c’è nemmeno bisogno che intoni
Womanizer, woman-womanizer, you’re a womanizer
Oh, womanizer, oh, you’re a womanizer, baby
You, you-you are, you, you-you are
Womanizer, womanizer, womanizer
(Womanizer)
Le crisi e le ribellioni che ricorda, le sue sofferenze, il bacio con Madonna, il taglio dei capelli a zero, le interviste in cui le chiedono quando e come la ragazza Disney ha perso la verginità, diventano tappe di un percorso che è insieme sofferenza, esibizionismo, consapevolezza, esempio. La distanza tra gli episodi di una biografia convulsa e le sue canzoni – al di là della confezione pop – diminuisce e quasi si azzera, mentre sulla scena il gioco di straniamento brechtiano tra l’attrice e il personaggio offre nuovi chiave critiche.
Quello della giovane star intrappolata dal patriarcato diventa la parabola di un’artista che nutre la sua opera di questa sofferenza e offre a una generazione di donne l’occasione di vedere sé stesse in una nuova luce. Per il giovane pubblico del Berliner Ensemble si tratta di capire che dietro la fascinazione per la giovane star c’è un disagio a cui è ora possibile dare un nome,
Come si legge nella presentazione dello spettacolo, “per comprendere il mondo in cui viviamo, dobbiamo sapere come amiamo, perché se sappiamo come amiamo, comprendiamo come possiamo salvare il mondo”.
Musica leggerissima
Non è solo musica leggera, anzi leggerissima. Le mitologie pop possono essere un’arma potente contro il patriarcato: sono indispensabili per capire il mondo in cui viviamo. Per prendere consapevolezza e provare a cambiarlo, il mondo, a partire dalle nostre relazioni tossiche.