Focus AdoleScen[z]a | È (ancora) possibile parlare di sessualità nelle scuole?
Un'intervista a Enrico Baraldi su Comizi d'amore di Kepler 452
Nel 1963 Pier Paolo Pasolini e il produttore Alfredo Bini savano girando l’Italia alla ricerca di luoghi e volti per Il Vangelo secondo Matteo. Decisero di approfiare dell’occasione per chiedere agli italiani che incontravano le loro opinioni su sessualità, amore e buon costume. Microfono alla mano, Pasolini chiedeva agli italiani di “invertiti”, di “prima volta”, di “prostitute” e “divorzio”. Raccolse anche le opinioni di alcuni auorevoli amici, tra cui Alberto Moravia, Cesare Musatti, Adele Cambria, Camilla Cederna, Giuseppe Ungaretti e Oriana Fallaci. Quasi mezzo secolo dopo la realizzazione del documentario Comizi d’amore, la compagnia Kepler 452 ha realizzato una rielaborazione dei Comizi d’amore pasoliniani, che ha sperimentato in diverse situazioni. Nella primavera del 2023 ha portato il progetto in alcune scuole superiori di Bologna, partendo da una serie di colloqui con i ragazzi e le ragazze.
Chi si affaccia alla vita adulta in questo momento, in una città del nord di un piccolo paese mediterraneo, in un enorme istituto tecnico professionale in periferia, mandato avanti con entusiasmo da persone appassionate, come vede il proprio futuro affettivo, sentimentale e come lo costruisce, nel presente turbolento della propria crescita individuale, al centro di un vasto incendio sociale che si annuncia e che è all’origine, e alla fine, dell’incendio fisico della biosfera?
Come vedono gli esordienti alla vita adulta, in questo contesto, il loro presente e il loro futuro di amanti?
Che amore serve a loro, a noi, che amore ha ancora senso?
Pornografia, famiglia, matrimonio, lavoro, religione, politica, questi temi come si declinano nel presente di queste persone di 15, 16, 17 anni?
Il percorso ha portato a una restituzione in due istituti:
Comizi d’amore #AldiniValeriani. Sembra che il mondo stia cadendo. Un talk show, a cura di Alessandro Berti, Francesco Maruccia, Matilde Vigna con un gruppo di studenti e studentesse dell’Istituto Aldini Valeriani.
Comizi d’amore #Minghetti. Abbiamo finito i buoni sentimenti. Non ne abbiamo mai avuti, regia di Niccolò Fettarappa, con Nicola Borghesi, Maria Chiara Arrighini, Niccolò Fettarappa e un gruppo di studenti e studentesse del Liceo Classico Minghetti).
Enrico Baraldi è con Nicola Borghesi direttore artistico di Kepler 452.
Quando nasce Comizi d’amore?
È un format nato nel 2015/2016 per indagare le comunità attraverso le domande del documentario di Pasolini. Nella prima edizione le tre comunità indagate erano l’ospedale Sant’Orsola di Bologna; il Galaxy, un grande palazzone dove il Comune di Bologna aveva messo varie famiglie in emergenza abitativa, dove abbiamo conosciuto Giuliano e Annalisa del Giardino dei ciliegi; e la terza Piazza Verdi, per indagare il cuore dell’Università di Bologna.
L’anno successivo Elena Di Gioia ci ha chiesto un progetto appositamente per le scuole, e la prima tappa è stata l’istituto superiore Keynes di Castel Maggiore. L’anno scorso abbiamo ripreso il progetto lavorando con il liceo classico Minghetti, e gli istituti Aldini Valeriani e Belluzzi, tutti di Bologna.
Qual è stato il processo di coinvolgimento degli adolescenti e come siete poi arrivati alla restituzione finale?
Per la prima volta abbiamo coinvolto artisti che non avevano mai lavorato con i Kepler. Tre scuole gestite da tre squadre artistiche diverse, con tre approcci e metodi differenti, che hanno portato a esiti molto diversi. In nessuna scuola c’è stata una adesione prescrittiva. I ragazzi partecipavano su base volontaria. Quella del Minghetti è stata guidata da Niccolò Fettarappa, che con Nicola hanno deciso di dedicare la loro ricerca al tema dell’occupazione, perché la scuola era stata occupata, quindi hanno avuto la possibilità di vivere insieme agli studenti l’occupazione facendo un grande gruppo e intervistando i ragazzi. Anche la restituzione è andata in questa direzione.
Alle Aldini Valeriani c’era Alessandro Berti, che ha lavorato molto nelle ore di religione e nelle ore buca, mettendosi d’accordo con i professori e poi organizzando un banchetto nei corridoi. Durante il periodo di lavoro però c’è stata l’autogestione e hanno proposto dei gruppi in cui tramite le domande di Pasolini aprivano degli argomenti. Questa cosa è piaciuta talmente tanto che anche la restituzione è stata in una forma assembleare, per dare continuità al lavoro portato avanti coi ragazzi.
Al Belluzzi, dove c’ero io, è stato un lavoro molto complesso: è stato l’unico istituto dove eravamo stati invitati dalla scuola a iniziare il lavoro nelle classi durante le ore di alcuni professori. Facevamo vedere alcuni pezzi del documentario di Pasolini e proponevamo poi alcune delle domande, chiedendo anche a loro un parere su quali fossero e domande più interessanti per loro. Questo ha generato momenti anche spiazzanti e spaventosi. C’era anche chi si lamentava dicendoci: “Fare le ore di lezione su Pasolini è una perdita di tempo perché noi dobbiamo imparare a lavorare. Io voglio fare meccanica perché voglio andare in azienda guadagnare i soldi per comprarmi la moto”. E purtroppo la restituzione finale non c’è stata.
Invece al Keynes era stato un mix di queste tre modalità, dove avevamo provato a infilarci negli spazi liberi degli studenti, nelle ore buca, all’uscita, e andavamo in giro e fermavamo gli studenti e le studentesse e chiedevamo loro se potevamo fargli qualche domanda sul tema amore e sessualità. L’impatto non è sempre stato facile, ma volevamo attivare un rapporto il più informale possibile.
Quando siete andati in queste classi a proporre questi temi, come hanno reagito i ragazzi?
I contesti in cui abbiamo lavorato sono stati diversi. Il Minghetti è il liceo classico della sinistra progressista di Bologna, dove parlare di sessualità e identità è consuetudine, e riportare Pasolini può risuonare quasi obsoleto. Negli altri istituti invece abbiamo visto che parlare di sessualità non è la norma, anzi c’è chi confonde i termini “omosessualità” con “omofobia”, o trovi qualcuno che pensa che l’omosessualità sia assimilabile alla pedofilia – peraltro senza sapere che Pasolini era stato processato per pedofilia – portando avanti anche atti di bullismo per chi manifesta diversi orientamenti.
È stato spiazzante rendersi conto della brutale separazione di questi mondi. Da un lato gli istituti professionali, frequentati in larga parte da seconde generazioni con visioni molto conservatrici – in alcuni contesti non potevamo parlare di certi argomenti – e dove l’unico scopo è imparare un mestiere e andare a lavorare. Dall’altra parte c’è la borghesia del centro città, che forse a volte dimentica dell’esistenza di quell’altro mondo.
Alla fine del percorso i ragazzi li hai visti cambiati?
La cosa che mi porto nel cuore più di ogni altra è A., una ragazza del primo anno del Belluzzi. Mi aveva colpito perché indossava la mascherina. Io pensavo fosse per paura del Covid, allora un giorno le propongo un’intervista all’aperto fuori dall’orario scolastico, così da potersi togliere la mascherina. Ma poi, una volta seduti mi ha raccontata che la mascherina non la indossava per paura del Covid, ma perché da quando c’è stata la pandemia non riusciva più a toglierla, come se fosse diventata una protezione alla sua vergogna. Non si era mai tolta la mascherina né davanti ai compagni di classe, né davanti al suo fidanzatino.
Allora le avevo proposto, durante lo spettacolo, di andare in fondo al campo da calcio, con il pubblico lontano, e là in fondo avrebbe potuto togliersi la mascherina solo per un attimo e finalmente respirare. Ma poi lo spettacolo non si è fatto.
A settembre però mi ha scritto dicendomi che era stata in quel punto, quello in cui si sarebbe dovuta togliere la mascherina durante lo spettacolo, e si era tolta la mascherina. E da quel momento ha cominciato a togliersela anche in classe.
Per me è stato commovente. Con il nostro lavoro abbiamo dato una minuscola spinta a una ragazza che ha così iniziato a mettersi in discussione.
Come hanno reagito gli adulti al fatto che avete provato a far parlare gli adolescenti di queste tematiche?
In alcuni contesti molto male. Già nel 2018 all’Istituto Keynes c’erano state alcune incomprensioni. L’anno scorso al Belluzzi abbiamo pubblicato un volantino riportando alcune delle frasi spiazzanti emerse durante i laboratori. Il lavoro è stato sospeso però i genitori hanno ribadito che se i ragazzi manifestano un disagio, magari anche in maniera inconsapevole attraverso le loro affermazioni, forse è giusto indagarlo.
Comizi d’amore di Pasolini ha ormai sessant’anni. C’è ancora l’urgenza di parlare di sessualità?
Secondo me c’è una separazione marcata della popolazione. Da un lato c’è stato un avanzamento rispetto ad alcune tematiche in ambito civile, ma questo avanzamento riguarda una determinata fascia sociale. C’è un’altra porzione che non è stata minimamente toccata da questa sensibilizzazione. E purtroppo i risultati elettorali ce lo confermano.
Un progetto di questo tipo ci ha mostrato come sia difficile lavorare in certi contesti sociali e culturali. Soprattutto dopo il Covid, che ha accelerato dei processi di regressione, sulle questioni reale e virtuale e sulla consapevolezza della propria emotività. Per questi progetti ci vuole una grande forza e soprattutto un appoggio da parte delle istituzioni.
Tag: kepler-452 (7), Pier Paolo Pasolini (22), sesso (19)