Il mio amore è un Bambolo gonfiabile
Il Bambolo di Irene Petra Zani con Linda Caridi al Teatro Franco Parenti
La spiaggia, la sabbia, una ragazza seduta sulla riva del mare con il suo Bambolo gonfiabile. Entrambi guardano l’orizzonte, nessuno dei due sa nuotare. Lei indossa occhiali da sole brillantinati, un cappello bizzarro, i sandali in gomma e un impermeabile colorato da cui si intravede un giubbotto salvagente. Lui è un individuo bianco di plastica a grandezza d’uomo, statico e indistruttibile. Come il loro amore che “esiste da più di diecimila anni”, come direbbe un bambino che non conosce i limiti dello spazio e del tempo. E con la sua parlantina frizzante e sopra le righe, i suoi atteggiamenti goffi e modi di fare impacciati, anche Donna sembra una bambina che fatica a crescere. Ferma e immobile – come il suo Bambolo – a quell’episodio tragico e incancellabile: l’abuso sessuale subito e perpetrato dal padre. Una ferita impossibile da rimarginare che ha stravolto la sua infanzia e segnato in modo indelebile la sua intera esistenza, rendendola una eterna bambina con la paura di diventare grande. E cadere nel baratro è stato semplice quando, non ancora adolescente, è stata abbandonata dalla madre. E precipitare sempre più in basso non è stato difficile dopo che la malattia autodistruttiva dell’anoressia ha cancellato i colori rendendo la sua vita in bianco e nero.
Realizzato grazie al supporto di Fabulamundi Playwriting Europe e alla relazione con Associazione Erika Onlus e Officine Buone, con cui Linda Caridi – unica interprete in scena – conduce dal 2015 un laboratorio teatrale presso il reparto di Disturbi del Comportamento Alimentare dell’Ospedale Niguarda di Milano, Il bambolo – vincitore del Premi Born de Residencia Teatral 2020 – è un potente e profondo monologo per un’attrice e il suo bambolo gonfiabile che nasce dalla penna di Irene Petra Zani per la regia di Giampiero Judica.
E se Donna perde l’amore del padre, della madre e per se stessa, cosa resta? Resta il Bambolo, lo specchio delle sue insicurezze e fragilità, la proiezione delle sue paure e del suo io più intimo che non ha il coraggio di vedere e affrontare. La distorsione della percezione di sé stessa che è propria dell’anoressia. Ma non solo. Il Bambolo è una risposta ad una richiesta d’amore che non implica e non pretende la sessualità, che nell’esperienza di Donna è legata al trauma dell’abuso del padre. Il Bambolo è quel compagno di vita capace di amarla, di proteggerla. Quell’esempio di amore puro e incondizionato che non necessita di parole per comprendere e scegliere di restare.Una relazione che non conosce tempo, un legame faticosamente deteriorabile, come la plastica appunto. O forse no, perché ora tra la Donna e il Bambolo si è inserito un terzo personaggio: l’istruttrice di nuoto nell’immaginario di Donna, la psicologa nella realtà. Una figura determinante che pian piano spezzerà il rapporto simbiotico della coppia.
E così in una potente confessione a cuore aperto e in lacrime, Donna ci racconta la sua straziante storia di vita e ci mostra – senza paure – le sue ferite dell’anima. Un atto di coraggio e liberazione che la porterà a prendere sempre più consapevolezza di sé, ad imparare ad abbracciare e non a respingere il suo passato doloroso, fino ad abbandonare l’amore per il suo Bambolo per iniziare ad amare sé stessa, tuffandosi nel mare della vita ora che è finalmente in grado di nuotare.
Il bambolo
di Irene Petra Zani
Con Linda Caridi
Regia Giampiero Judica
Aiuto regia Anna Zanetti
Scene e costumi Lucia Menegazzo
Luci Giacomo Marettelli Priorelli
Produzione Pierfrancesco Pisani e Isabella Borettini per Infinito Produzioni e Argot Produzioni
In collaborazione con PAV/Fabulamundi Playwriting Europe con il contributo di Associazione Erika Onlus e Officine Buone
Si ringrazia Teatro i per il sostegno al progetto, si ringraziano inoltre mare culturale urbano e Campeggi Design
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