Il teatro e la prova del mosto

La messin(s)cena di Giancarlo Bloise Cucinar ramingo alla Casa degli Artisti di Milano

Pubblicato il 05/12/2021 / di / ateatro n. 180

L’8 e il 9 dicembre 2021 il Teatro Cucina Vagante di Giancarlo Bloise approda alla Casa degli Artisti di Milano.
Giancarlo Bloise è uno chef di grande classe, che si è formato in un ristorante kosher di Firenze; di recente ha reimpostato la ristorazione del Bistrot della Casa degli Artisti. In parallelo, la sua vocazione teatrale lo ha portato a incontrare diversi maestri, in Italia all’estero.
La sua pratica performativa incrocia le passioni per il cibo e la cucina, ma anche una attenzione agli oggetti, con una “cucina-scena” realizzata e utilizzata con passione e puntiglio artigianali.
Nel suo Cucinar ramingo, Giancarlo Bloise parte da un ricordo d’infanzia, le “veglie dicembrine”:

Dall’8 dicembre, nella piana di Sibari Magnogreca, si rinnova ogni anno la prova del mosto, oramai trasformato in vino. Nel degustare insieme la dolce bevanda, ancora leggermente cruda, ci si riunisce nei giorni a seguire e si osserva dapprima colore e trasparenza, mettendo il bicchiere controluce, osservando attraverso il vetro la presenza o meno di eventuali residui, dopo l’assaggio, gli anziani – a volte – dicono che il vino sta sfogliando, diventa vino fine e poi chiacchierando e valutando, s’appronta una cena frugale, prima pane abbrustolito al camino e olio nuovo, poi altri racconti e altri manicaretti ad allietare gli animi, e così per i giorni a seguire fino alla notte del 13 dicembre, considerata dalle nonne la notte più lunga dell’anno.
Ed ecco che nel viaggio verso il buio più scuro dell’anno, il teatro cucina vagante recupera dalla tradizione la struttura che caratterizza gli incontri dicembrini e propone un ciclo di veglie performance che in dialogo con il ristoro della casa, possano abbinarsi a degustazioni di vini e cene leggere e conviviali.

Giancarlo, come ti sei avvicinato all’arte del cibo e quali sono stati i tuoi maestri?

Giancarlo Bloise, Cucinar ramingo

Nel 1996, da Sibari – costa nord orientale calabra da cui provengo – mi sono iscritto all’università di architettura di Firenze, dopo quasi quattro anni capii bene che non mi immaginavo architetto nel prosieguo del cammino; intanto bazzicavo ristoranti come cameriere il fine settimana, fare gli esami di architettura era dispendioso, vivere nella bella Florentia anche. Fu dopo il servizio civile a Palazzo Pitti nel 2000. Smisi con gli studi in architettura e cominciai da aiuto cuoco al Ruth’s. Entrai per una sostituzione di un giorno, rimasi per 12 anni. Per i primi quattro anni, imparai sotto la guida di cuochi provenienti da più parti del mondo, poi diventai il responsabile della cucina, fino al 2012.

E come ti sei avvicinato all’arte del teatro e quali sono stati i tuoi maestri?

A teatro sono approdato dopo un lungo attraversamento di interessi e mestieri, a volte ho detto per caso, non so se vero fino in fondo. A ogni modo, in cucina ho incontrato il teatro. Al kosher Ruth’s di Firenze, lavoravo con il burattinaio praghese Tomas Jelinek, gestore del ristorante e tavola rituale ebraica; oltre a un pubblico molto eterogeneo: ortodossi in tenuta d’ordinanza, studenti giovani e curiosi, professionisti in cerca di esotismi culinari, rabbini provvisti di Tefillin, turisti d’ogni dove nel mondo – d’estate – vegetariani e vegani nostrani – d’inverno.
Spesso anche il teatro veniva a mangiare da noi. La grande fortuna è stata che Giuliano Scabia abitasse di fronte. Nel percorso di formazione teatrale ho avuto modo di seguire nel tempo e in ordine cronologico: Tomas, Renata Palminiello, Luca Camilletti, Mimmo Cuticchio, Tage Larsen, Tommasella Calvisi. Da ognuno di loro ho ricevuto delle conoscenze importanti sugli strumenti del mestiere teatrale, Giuliano Scabia mi ha aiutato a capire come trasformare in una mistura magica tutti gli insegnamenti. Soprattutto, mi ha fatto scrivere. Io scrivo a fatica, evito, procrastino all’infinito prima di scrivere, mi rendo conto infine, che la scrittura, sia stata una parte importante dell’evoluzione del viaggio del cucinar ramingo.

Giancarlo Bloise, Cucinar ramingo

Ti ritieni uno chef prestato al teatro?
O un teatrante prestato alla cucina?

Mi sento prestato a tanto. Anche se poi non mi sento né troppo da una parte, né troppo dall’altra. Mescolo le cose in maniera pratica e istintuale, accompagno volentieri le conseguenze di un’abitudine, frutto di un allenamento particolare, che rende automatici certi comportamenti, come se ci fossero stati conferiti in modo innato, lo faccio. Viene bene. Non sempre. Oscillo, non mi presto.

Preparare un piatto, raccontare una storia. Perché funzioni, i trucchi sono gli stessi o sono diversi?

Da poco, un giovane e molto ben qualificato cuoco riassumeva – a pare mio in maniera efficace – gli ingredienti per fare un buon piatto: materia prima di alta qualità, passione e meticolosità per quello che si va a fare, conoscenza delle tecniche, tutto il resto è pirateria. Si usa quello che c’è. Nei racconti, credo sia un po’ lo stesso. Mi viene in mente che una volta Giuliano Scabia commisurò il racconto a una ribollita toscana, preparata il giorno prima, e che nel suo sobbollire lascia affiorare a volte la patata, a volte il cavolo nero, poi la verza, il fagiolo. Mi sembra molto reale come visione, non c’è trucco.

Che oggetti usi in queste Storie Raminghe? Da dove vengono?

Giancarlo Bloise, Cucinar ramingo

Oggetti che ho realizzato nel tempo, a Firenze, sono nati insieme ai testi, per esigenze pratico|scenico|drammaturgico|gastronautiche. Sembra uno scioglilingua, ma sono nati per questo. Il tavolo valigia è apparso nel 2008, il Cilindro prometeico o Albero tamburo nel 2010, il Tempio armadio nel 2012, la Sedia differenziata nel 2013. Ho fantasticato|progettato strumenti utili alla messin(s)cena. Intanto, mentre a poco a poco costruivo gli attrezzi necessari, dall’altro affinavo testi, scrivevo, riscrivevo, andavo in falegnameria a lavorare o a modificare gli oggetti; provavo ricette, tempi di cottura; pensavo ad altre macchine sceniche, poi scartavo i disegni, quantificavo i costi, molti non sono riuscito a realizzarli.
Ero pronto? Forse sì, diedi le dimissioni al lavoro e dopo nove mesi di vuoto vinsi il Premio Tuttoteatro alle arti sceniche Dante Cappelletti. Poi è cominciata l’avventura. Le storie invece sono nate in giro, dagli incontri avuti durante la formazione, nel tempio archeologico di Selinunte è nato Vitelli e mageiros, tra via delle Conce e via dell’Agnolo a Firenze è apparso Sibari gentile, dai testi letterari di Scabia son stati estratti un racconto breve e una comica operina deliziosa, in Danimarca sono germogliati gli apologhi popolari. Un ultimo cameo, Piccola cantica del cece a Milano, l’ho aggiunto dopo due anni dal debutto, frutto della collaborazione con lo scrittore meneghino Maurizio Meschia e della sua penna.

La degustazione di un tuo spettacolo, o di un tuo piatto… Cosa chiedi a chi li incontra?

Di affidarsi, l’incontro avrà un buon sapore.

Menu

Ore 19.30 – 21.00 | Spettacolo con piccola degustazione del cucinato, pane e olio nuovo.

Ore 21.00 – 22.30 | Cena Ristoro per la tavola di Casa Degli Artisti con il seguente menu:

Fregola sarda tenuta coda di lupo con cavolo nero e due opzioni:
– lampredotto in zimino e Harissa dolce
– verdure al cartoccio e tzatzicki di robiola di capra.
Calice di vino tenuta Sforza Monferrina

La serata dell’8 dicembre sarà introdotta da una breve presentazione di Oliviero Ponte di Pino.

info




Tag: cucinaeteatro (2)