Attore… ma di lavoro cosa fai? Sei un professionista o un dilettante?
I progetti di Registro delle attrici e degli attori italiani
Quanto sono in Italia gli attori professionisti? E quanti sono i professionisti dello spettacolo?
A giudicare dalle domande presentate per il bonus di 600 euro – che richiedeva un minimo di 7 giornate lavorative nell’ultimo anno – sarebbero 73.000. Un esercito beneficiato dalla più classica delle sovvenzioni a pioggia, o dalla helicopter money di cui parlano alcuni economisti post-moderni.
Da un lato l’asticella era molto bassa: qualcuno definirebbe “professionista” chi fa un mestiere solo 7 giorni su 365? Dall’altro, hanno lamentato in molti, diversi professionisti sono rimasti esclusi da questo criterio, mentre ne avrebbero usufruito tanti dilettanti: “I filodrammatici!”, pronunciato con ottima dizione e un filo di disprezzo.
Dietro il paradosso si nascondono la fragilità strutturale del settore, il fatto che le professioni culturali in Italia non vengano riconosciute come tali ma considerate simpatici passatempi, la precarietà e la discontinuità del lavoro nello spettacolo (e la necessità di sostentarsi con “lavoretti” più o meno attinenti al settore culturale), il sistematico autosfruttamento e la mancata applicazione dei Contratti Nazionali (a cominciare dalle prove pagate), le forme di riconoscimento dei percorsi formativi alle professioni dello spettacolo (su tutto questo vedi Attore… Ma di lavoro cosa fai?).
Il tema del lavoro è centrale nello sviluppo del settore, soprattutto in una fase resa ancora più difficile dall’emergenza sanitaria e dalla chiusura dei luoghi di spettacolo. In occasione della Audizione per l’Indagine conoscitiva delle Commissioni Lavoro e Cultura della Camera (27 ottobre 2020), l’Associazione Culturale Ateatro ha presentato il documento Una riforma organica per il lavoro culturale e nello spettacolo.
Nel frattempo è stato presentato un Progetto di Legge a tutela dei lavoratori dello spettacolo, che ateatro.it ha commentato.
Nel dibattito di questi mesi, particolare attenzione (o un ruolo da protagonista) lo hanno preteso e ottenuto le attrici e gli attori. Questa rinnovata mobilitazione risponde a esigenze che già si avvertivano prima della pandemia, ma che hanno assunto nuove urgenze. Ci sono stati movimenti variegati e importanti, anche se già traspare il rischio di divisioni fra grandi e piccoli, famosi e no, tra chi è inserito nel tradizionali meccanismi di mercato (o industriali) e chi invece lavora in strutture più piccole, spesso come imprenditore di sé stesso.
In questi mesi ha preso forza e forma Unita (Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo), Presidente Vittoria Puccini, Vice presidenti Giorgia Cardaci e Fabrizia Sacchi, Tesoriere Cristiana Capotondi. Nel suo Manifesto questa “associazione di lavoratori e professionisti dello spettacolo” esplicita una serie di obiettivi:
# collaborare con tutte le realtà associative, le rappresentanze Sindacali e le Istituzioni, sui temi di interesse del settore, attraverso un diretto coinvolgimento della categoria nei processi decisionali che attengono alla professione;
# collaborare attivamente al raggiungimento della stesura e della approvazione di un Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per l’Audiovisivo e alla revisione del CCNL del 2018 per gli scritturati della prosa;
# monitorare, sui luoghi di lavoro, la protezione della salute e dell’integrità psicofisica degli interpreti e collaborare al pieno raggiungimento di un sistema di sicurezza sociale;
# divulgare e promuovere il lavoro e la professione attoriale, nello spettacolo dal vivo e nell’audiovisivo, con particolare attenzione ai giovani nelle scuole e nelle università;
# promuovere l’eliminazione di ogni fattore che limiti il ruolo della donna nella società e sul luogo di lavoro, sia in termini economici che di tutela della dignità personale;
# sostenere il lavoro già avviato per l’istituzione di un Registro degli attori, che consenta di poter finalmente inquadrare la nostra categoria con esclusivo riferimento a criteri lavorativi e professionali;
# promuovere la difesa dei diritti di immagine, di autore, di riproduzione, di replica e di ogni altro diritto connesso dell’attore affiancando e supportando l’attività già intrapresa dalle altre società di intermediazione collettiva;
# sostenere gli artisti associati nella difesa dei loro interessi morali, economici e professionali con un supporto di consulenza legale;
# intrattenere rapporti e condividere esperienze con altre organizzazioni di categoria estere perché riteniamo che la nostra professione costituisca un fondamentale elemento di dialogo e arricchimento culturale dei popoli.
Il 18 novembre 2020 è iniziato presso la VII Commissione della Camera l’esame della Proposta di legge MADIA ed altri, “Riconoscimento della qualifica di attrice o attore professionista e istituzione del registro nazionale” (2568), presentata il 2 luglio 2020. Al registro potranno accedere “coloro che esercitano tale attività in via esclusiva o prevalente rispetto ad altre attività lavorative o professionali”, anche se “il registro non costituisce, in alcuna forma, un albo professionale e la mancata iscrizione al registro non preclude in alcun modo la possibilità di esercitare la professione di attrice e di attore.”
Questi, nel progetto di legge caldeggiato tra gli altri da Monica Guerritore, i requisiti per essere ammessi al registro:
1. La qualifica di attrice e di attore professionista è riconosciuta a coloro i cui redditi derivanti dalla professione di attrice e di attore costituiscono più del 50 per cento del loro reddito complessivo da lavoro, per un periodo di almeno cinque anni, e che sono in possesso di almeno uno dei seguenti requisiti:
a) un diploma rilasciato da istituti pubblici o privati autorizzati alla formazione di attrici e attori, riconosciuti a livello nazionale o regionale, di durata almeno triennale e che rispettano gli orari scolastici nazionali o regionali;
b) aver versato un numero minimo di contributi previdenziali, secondo quanto previsto ai sensi dei commi 2 e 3.2. In sede di prima applicazione della presente legge, il numero minimo di contributi previdenziali di cui al comma 1, lettera b), è di 150 versamenti effettuati nel corso della vita lavorativa, con i codici di categoria ex-Enpals 021, 023, 024 e 025, stabiliti ai sensi del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708, o di 50 versamenti con codice di categoria 022. In caso di attività combinata con i diversi codici, al fine del calcolo per il raggiungimento di 150 versamenti ogni contributo con codice di categoria 022 ha il valore di 3 versamenti.
3. Il numero minimo di contributi previdenziali e i criteri di calcolo di cui al comma 2 possono essere modificati, entro un minimo e un massimo del 10 per cento, con regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e le organizzazioni maggiormente rappresentative dei lavoratori e degli operatori del settore.
Questi requisiti dovrebbero consentire l’accesso al “registro nazionale delle attrici e degli attori professionisti” presso Ministero del lavoro e delle politiche sociali,
In parallelo si è sviluppato il progetto “autogestito” del Registro delle attrici e degli attori italiani (in collaborazione con Unita), al quale hanno finora aderito circa 2000 professionisti, promosso dall’intervista di Alessadra Arachi ad Alessio Boni sul “Corriere della Sera” del 23 novembre 2020.
L’autodefinizione della categoria prevede anch’essa una serie di requisiti per l’ammissione:
Per accedere al Registro bisogna aver maturato 150 contributi previdenziali con codici di categoria, tenendo conto che:
– Il parametro dei 150 contributi si abbasserà di 3 per ogni giornata lavorativa maturata nel settore cinema e audiovisivo: per cui 50 giornate lavorative equivarranno al raggiungimento del requisito. Ciò per la sostanziale differenza delle dinamiche realizzative rispetto al teatro.
– Una scuola d’arte drammatica riconosciuta a livello nazionale o regionale abbassa il parametro dei 150 contributi di 30 per ogni anno di frequenza.
– L’anzianità contributiva (anni passati dal primo contributo previdenziale versato con codici di categoria) abbassa il parametro dei 150 contributi di 2 ogni anno.
– Premi per l’interpretazione, nazionali o internazionali, “di prima fascia” abbassano il parametro dei 150 contributi di 100 e quelli di “seconda fascia” riconosciuti dal settore lo abbassano di 40.
– Saranno penalizzati coloro che svolgono l’attività di attore come lavoro secondario (cioè che abbiano un lavoro prevalente al di fuori del campo artistico), che dovranno maturare almeno 350 contributi versati con codici di categoria e per i quali non sarà presa in considerazione l’anzianità contributiva.Non ci sono pregiudizi, al contrario, sull’attore professionista che investe in attività secondarie o che integra l’attività di attore, su cui ha investito la sua formazione e la sua dedizione, con altri lavori a supporto.
Sulla materia è intervenuto anche C.Re.S.Co., con un documento assai critico:
L’adozione di un registro dovrebbe essere sostituita dalla scrittura e definizione:
Ø dello Statuto speciale delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo
Ø di un Testo Unico che tenti di normare l’intero mondo del lavoro dello spettacolo dal vivo facendone propria l’atipicità e specificità del lavoro (vi sono, ad esempio, enormi differenze tra il comparto cinematografico e quello dello spettacolo dal vivo e spesso si confondono i piani).
[pdf-embedder url=”https://www.ateatro.it/webzine/wp-content/uploads/2020/11/DOC_Registro-Attrici-Attori-CreSCO-1.pdf” title=”DOC_Registro-Attrici-Attori-CreSCO”]
In questi mesi è nata anche Amleta, per promuovere le pari opportunità di attrici, registe, drammaturghe, ma anche di direttrici e curatrici, in un settore che resta troppo squilibrato dal punto di vista della parità di genere.
Una cosa è certa: gli artisti (e i tecnici) sono stati ferocemente colpiti dalla chiusura dei teatri e dalla sospensione delle riprese cinematografiche e televisive. Per loro, in generale, non esiste la cassa integrazione di cui hanno beneficiato i quadri organizzativi delle maggiori istituzioni.
Quanti sono i teatri e i festival che hanno pagato le repliche degli spettacoli annullati causa Covid-19? E gli attori sono stati pagati, anche se non hanno potuto lavorare?
Quale quota delle forme di sostegno per le imprese teatrali (il 100% del FUS senza rendiconto per il 2020, i 20 milioni di extra FUS a pioggia, i 19 milioni dei Decreti Direttoriali del 17 novembre 2020) sono destinati ad attori e tecnici? O quei soldi sono serviti ad appianare i passivi di bilancio?
L’altro aspetto riguarda il sistema dello spettacolo che vogliamo costruire oltre l’emergenza. Gli attori non possono salvarsi da soli: non possono superare la crisi senza gli altri lavoratori dello spettacolo, non possono riemergere senza un efficiente sistema dello spettacolo, e dunque al di fuori del Codice dello Spettacolo e dei suoi Decreti attuativi.
Altre questioni: è davvero così importante il riconoscimento formale del professionismo? Se il Registro non è un Albo, che funzione può avere senza uno Statuto dei lavoratori dello spettacolo, con i suoi diritti e i suoi doveri? Che cosa implica, se è staccato dal welfare?
La situazione degli attori – e in generale dei lavoratori della cultura – è disperata. Lo era anche prima, e lo sarà anche dopo. Nel futuro, a qualificare le professioni dello spettacolo sarà prima di tutto il riconoscimento del valore centrale della cultura nello sviluppo del paese. Sarà la qualità del lavoro, e non solo il numero di giornate lavorative, con un numero sempre maggiore di attori e tecnici che lavorano sempre meno, in produzioni sempre più numerose ma con meno repliche, sempre più precari e poveri. Perché qualità vuol dire continuità del lavoro e sostegno nelle pause, percorsi di formazione permanente, sostegno alla ricerca individuale e collettiva. Vuol dire ridefinire le competenze professionali, che stanno evolvendo rapidamente.
E’ necessario aprire le professioni della cultura alle fasce di popolazione finora esluse dai consumi e soprattutto dalla produzione (e curatela): le donne, i giovani, i “nuovi italiani”, chi cresce in famiglie a basso reddito, chi vive in aree culturalmente emarginate (il Sud, i piccoli centri, le aree interne, le periferie…).
Altrimenti il rischio è quello dell’ennesima autodifesa corporativa, che rischia di privilegiare i più forti: i maschi bianchi, figli della buona borghesia, piccola o grande che sia.
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