Stelle fisse | Arturo Benedetti Michelangeli

Il senso del Maestro per la musica: un paio di occhiali a Lugano, il tè e Schönberg a Milano

Pubblicato il 24/10/2020 / di / ateatro n. 174

Arturo Benedetti Michelangeli

Qualche volta può essere successo che il pianista Arturo Benedetti Michelangeli abbia rimandato o sospeso un concerto annunciato, o addirittura l’abbia interrotto nel bel mezzo dell’esecuzione a causa di un colpo di tosse di troppo da parte del pubblico o per qualche altra fonte di fastidio. Di conseguenza, può essere successo che il pubblico, qualche giorno prima del concerto o mentre già era in sala nell’attesa dell’entrata del pianista, abbia avuto un piccolo dubbio preventivo: “Andrà tutto bene?” Forse solo una leggenda, certamente molto diffusa fra gli appassionati del pianista bresciano. Ma, per quello che mi riguarda, sono in grado di smentirla: infatti ho assistito a molti concerti del Maestro, e non mi è mai capitata la disavventura di rimanere all’asciutto. Tranne una volta che…

Artuto Benedetti Michelangeli alla Radio Svizzera (1981)

Era il 1981, era stato annunciato un suo concerto all’Auditorium della Radio della Svizzera Italiana di Lugano. Ero un collaboratore di quei programmi radiofonici, sono riuscito ad avere un biglietto, anzi due, così ho potuto portare con me mia figlia. Eravamo seduti in prima fila, proprio al centro, nel punto più vicino al Maestro quando si sarebbe seduto al pianoforte. Alla mia sinistra c’era un signore molto distinto, probabilmente aveva qualche anno più di me. Nell’attesa dell’entrata del pianista, sono convinto che tutti i presenti – l’Auditorium era al completo, quindi circa seicento persone – devono aver pensato “Speriamo che tutto vada bene”. Di conseguenza – o semplicemente per l’ansia dell’attesa – c’era un grande silenzio. Un silenzio, se è possibile, ancora più grande si è generato nella sala quando, dopo i battimani calorosi per la sua entrata, il Maestro si è seduto al pianoforte e, dopo aver passato il mitico fazzoletto nero sui tasti, ha avuto un attimo di concentrazione prima di avvicinare le mani alla tastiera.

Arturo Benedetti Michelangeli e Giovanni XXIII

Il silenzio era irreale. In quello stesso momento il signore distinto alla mia sinistra si è tolto gli occhiali. Giusto, ho pensato, vuole immergersi totalmente nella musica che sta per nascere e non vuole distrarsi. Forse è uno di quei melomani che chiude gli occhi ascoltando la musica. Prima di infilare gli occhiali nel taschino sinistro della giacca, ha ripiegato le due stanghette di metallo: TIC e TOC. Nel silenzio tombale, quel tic e quel toc sono stati, se mi è permessa questa esagerata comparazione, come due colpi di fucile. Il signore distinto si è immobilizzato non osando infilare gli occhiali nel taschino della giacca, mentre Benedetti Michelangeli si è voltato di scatto verso il pubblico. È finita, ho pensato, e così devono aver pensato i seicento spettatori presenti. Il Maestro ha guardato proprio verso di me, ma i suoi occhi, forse ancora impegnati nel guardarsi dentro nell’atto della concentrazione, sembravano non vedere. È rimasto così per tre o quattro secondi – o forse saranno stati venti o trenta, impossibile misurare il tempo in quell’improvvisa sospensione del tempo. Poi si è voltato verso la tastiera, vi ha appoggiato le mani, e il silenzio si è riempito del tema della Sonata in la bemolle maggiore op. 26 di Beethoven, e tutto il concerto è felicemente proseguito con quel suono avvolgente, morbido, vorrei dire casalingo che ho sempre molto apprezzato nel pianista Arturo Benedetti Michelangeli. Che, quindici anni prima, avevo incontrato in tutt’altro atteggiamento.

Arturo Benedetti Michelangeli e Armando Trovajoli (Archivio CDABM)

Era l’inizio del 1965. Lavoravo per i Fratelli Fabbri Editori, che mi avevano affidato la direzione della collana “I Grandi Musicisti”, che avrebbe iniziato la sua brillante vita in edicola nel settembre di quello stesso anno. Per il lancio, il dottor Giovanni Fabbri avrebbe voluto ottenere da Arturo Benedetti Michelangeli la registrazione di un disco in esclusiva. Tenuto conto della poca simpatia che il Maestro nutriva per la registrazione fonografica, era un’impresa difficile, benché l’editore non avesse posto limiti all’entità del compenso. Insomma, valeva la pena di tentare, e venni incaricato della trattativa.
L’appuntamento era intorno alle quattro del pomeriggio al Hotel de la Ville di via Hoepli a Milano, ed ero pronto ad affrontare l’impegno con grande forza di volontà e con due certezze: che il pianista non avrebbe accettato, e che mi sarei trovato di fronte non il Maestro, ma un suo agente col quale parlare esclusivamente di soldi.
Mi sbagliavo. Appena entrato nella hall dell’albergo, mi sono reso conto che il Maestro mi stava aspettando, seduto a un tavolino d’angolo, dove erano serviti tè e pasticcini. Mi fece cenno di avvicinarmi e sedermi accanto a lui. Era il ritratto della giovialità. Mi aiutò a superare l’imbarazzo che sempre si prova quando si inizia un colloquio con una persona con la quale non si ha dimestichezza, con molte domande su di me, sulla mia attività, sulla collana editoriale che doveva nascere (era stato bene informato). Cominciai a pensare al prestigio che mi sarebbe venuto se fossi riuscito a organizzare un suo disco in esclusiva.

Arturo Benedetti Michelangeli

A quel punto, però, il Maestro cambiò registro: dal tono gioviale e un poco salottiero, determinato anche dalla presenza dei pasticcini e della bevanda che continuavamo a sorbire, diventò, oserei dire, amichevole. Stavamo parlando degli autori del suo repertorio – Ravel e Debussy come punte estreme di modernità – quando, abbassando la voce, mi fece una confidenza: “Vorrei tanto suonare Berg e Schönberg e Skrjabin, ma il pubblico non capirebbe”. Ero stupito, e parlammo a lungo di questo argomento, e mi confidò anche il modo in cui era giunto a conoscere e poi apprezzare quelle musiche che non voleva portare alle orecchie del pubblico, e mi parlò anche di chi l’aveva aiutato in questa scoperta.
Parlammo a lungo, ma poi arrivò il momento del congedo. Ci siamo alzati, mi ha teso la mano, e con uno straordinario sorriso di complicità mi ha detto: “Lei mi ha capito, non farò mai il disco per la Fabbri”.
“L’ho sempre saputo, Maestro”, gli ho risposto.
Mi ha stretto nuovamente la mano e ci siamo lasciati.




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InformazioniEduardo Rescigno

Eduardo Rescigno (Milano, 1931) è un musicologo, scrittore e commediografo italiano. Altri post