#fase2 | Il teatro italiano al tempo del coronavirus
Una panoramica sul "caso Italia" in corso di pubblicazione su "Performer", la rivista dell'Instytut im. Jerzego Grotowskiego - The Grotowski Intitute
Questo testo è in corso di pubblicazione (in polacco) su “Performer”, la rivista dell’Instytut im. Jerzego Grotowskiego – The Grotowski Intitute
I teatri, i cinema, i musei, le biblioteche, i festival di Milano e della Lombardia sono stati i primi a chiudere, il 24 febbraio, seguiti poco dopo da quelli di tutta Italia e della grande maggioranza dei paesi europei. Probabilmente i teatri saranno tra gli ultimi a uscire dal lockdown.
Il danno è stato enorme, per i lavoratori, per le imprese e per l’intera economia. In Italia si è molto discusso sull’affermazione di un Ministro dell’Economia (che poi aveva smentito): “Con la cultura non si mangia”. Il lockdown ha fatto capire che – almeno fino al 24 febbraio 2020 – in Italia grazie alla cultura mangiava più di un milione e mezzo di persone: il contributo del settore creativo al PIL nazionale era del 5% circa, al quale va aggiunto anche l’indotto del settore: per esempio, ristoranti e alberghi per chi frequenta un festival.
Questa nuova consapevolezza ha ispirato diversi appelli per sostenere la cultura e i singoli settori, che però continuano a muoversi in ordine sparso, a volte spaccandosi al proprio interno, come è accaduto tra i favorevoli e i contrari alla riapertura delle librerie.
Nel mondo del teatro, la prima sensazione di incredulità è stata subito sostituita da un grande attivismo online, con decine di progetti, lanciati fin dai primi giorni:
# videopillole: “ilbelcontagio” presenta brevi video, cercando di rispondere alla negatività del video con un “contagio culturale”, consigliando romanzi, poesie, film… Operazione analoga è “Racconti in tempo di peste” a cura di Sergio Maifredi e Corrado D’Elia.
# streaming: moltissimi teatri, ma anche la Rai, hanno recuperato dagli archivi le registrazioni di vecchi spettacoli, in una vera alluvione di teatro online; con “Indifferita”, la compagnia Frosini-Timpano presenta ogni sera uno spettacolo di nuovo teatro.
# letture in video: con attori più o meno noti, libri più o meno noti, teatri più o meno noti…
# eventi in diretta streaming: “Le Buone Pratiche del Teatro”, un evento che raccoglie ogni anno alcune centinaia di persone, è stato trasmesso il 14 marzo in una diretta streaming in oltre 6 ore, con oltre 40 interventi registrati da pc o da cellulare e una conduzione live.
# prove e laboratori online: alcune compagnie e scuole di teatro hanno deciso di continuare a incontrarsi online, attraverso webinar come Zoom o Google Hanghouts.
# telefono e podcast: Campsirago Teatro ha offerto ai bambini “Le favole al telefono” di Gianni Rodari (le attività per i più giovani sono ovviamente cruciali); anche il “Menu della poesia” ha diffuso centinaia di liriche in diretta telefonica, anche in questo caso previa prenotazione.
Questa militanza digitale ha cercato di mantenere vive le funzioni culturali e sociali del teatro, anche se tutto questo attivismo fa sorgere il sospetto che uno degli ingredienti possa essere l’esibizionismo narcisista di attori e registi.
Il passaggio al virtuale ha suscitato un dibattito, vivace ma un po’ datato. Ovviamente il teatro online non è teatro. In genere è televisione di scarsa qualità tecnica e nessun valore aggiunto poetico. Come hanno scritto Elvira Frosini e Daniele Timpano, “il teatro in video è una cagata, lo sappiamo bene, anzi non è teatro, è solo un resto, ma quel che ci resta in questi tempi mesti son questi umani resti, questi poveri reperti di questa antica e strana religione in cui un tempo credevamo: il teatro”.
Ma rispetto a una ventina di anni fa la mediasfera è radicalmente cambiata, e ha cambiato la nostra percezione del rapporto tra online e offline, che non sono più due sfere separate. Sono entrambe immesse in un unico flusso trasmediale, che migra e si espande tra diversi canali. Questo accadeva già prima dell’accelerazione imposta dal coronavirus, e sarà ancora più evidente dopo la fine dell’emergenza.
Un’altra polemica ha avuto per bersaglio alcune amministrazioni pubbliche, come il Comune di Catania (con il progetto #plateaComune) e lo stesso Ministero, che hanno chiesto a teatri e teatranti di diffondere gratuitamente online il loro lavoro. Alcuni teatri, come lo Stabile del Veneto (con Una stagione sul sofà), Emilia Romagna Teatro per le sue letture (Ert-on-Air) o il Teatro di Roma per Radio India, hanno invece regolarmente scritturato gli artisti per attività in streaming.
La pandemia non ha solo portato alla luce l’importanza del settore per l’economia: ha anche evidenziato in maniera drammatica la fragilità del settore. Il lavoro culturale è spesso precario. In Italia non sono previste forme di intermittenza “alla francese” e i lavoratori dello spettacolo sono in una situazione di grande debolezza. Molti lavoratori e imprese riuscivano a sopravvivere a fatica differenziando l’attività: gli spettacoli, ma anche lavoro con le scuole, corsi e laboratori teatrali, teatro-azienda, attività di teatro sociale… Ora rischiano la fame o il fallimento.
Per limitare i danni, i decreti del governo hanno previsto alcune misure a favore del settore. Per esempio, i biglietti già acquistati non vengono rimborsati, ma convertiti in voucher da utilizzare dopo la riapertura. Sono previste e allo studio forme di sostegno diretto ai lavoratori e alle imprese (anche se in Italia i soldi tardano ad arrivare per tutti, vista la lentezza della burocrazia).
Andranno anche rivisti i criteri con cui vengono assegnati i fondi pubblici allo spettacolo, a cominciare dal FUS, il Fondo Unico dello Spettacolo con cui il Ministero della Cultura finanzia teatro, musica, danza e circo. Il sostegno viene calcolato sulla base di alcuni parametri quantitativi: per esempio numero di repliche e di spettatori, o contributi ai lavoratori. Quest’anno sarà impossibile raggiungere i requisiti minimi richiesti. Tuttavia rivedere abbassare i requisiti minimi del FUS non è sufficiente. Le realtà sovvenzionate da Ministero, Regioni e Comuni sono una minoranza, moltissimi teatri e compagnie restano esclusi: il governo sta cercando di trovare soluzioni, ma non sarà facile in un settore fatto anche di molte piccole realtà indipendenti (peraltro è stato assegnato un ulteriore contributo al teatro, FUS e 20 milioni extra FUS, anche se modalità e tempi di assegnazione non sono ancora chiari).
In teoria, la crisi dovrebbe spingere a una inventare una politica culturale che in Italia non c’è mai stata, anche se probabilmente nell’emergenza la tendenza sarà quella di provare a salvare il salvabile, e dunque verranno privilegiate le realtà più grandi e meglio inserite del sistema.
L’ultimo nodo riguarda la “Fase 2”, ovvero la progressiva riapertura dei teatri dopo la chiusura totale. A quali condizioni potranno riaprire i teatri? Saranno necessarie misure particolari per garantire la sicurezza. Questo vale prima di tutto per i lavoratori: basta pensare all’affollamento di un’orchestra o di un coro in un teatro lirico. Vale anche per il pubblico. Se si sceglie il distanziamento fisico, per esempio occupare una poltrona ogni sei, lo spettacolo è ancora sostenibile dal punto di vista economico? O dovremo limitarci agli spettacoli all’aperto? Non sarà facile riportare il pubblico in sala: secondo i sondaggi il 20-25% degli spettatori non lo farà, almeno non subito.
Si moltiplicano le proposte, anche provocatorie. Qualche attore “guerrigliero” ha iniziato a recitare nel cortile del suo condominio o durante le code al supermercato.
Il direttore del Piccolo Teatro, Sergio Escobar, si è accodato al trend degli spettacoli per un solo spettatore: “A noi basta un solo spettatore in carne e ossa per rappresentazione. Non esistono alternative. Il teatro senza spettatori non ha senso perché è ‘corpo a corpo’: gli attori sul palco e la gente in platea. Il teatro è lo strumento per riconquistare la vicinanza persa a causa della pandemia. (…) Non esistono alternative allo spettacolo dal vivo. Anche noi abbiamo fatto ricorso all’online con un milione di accessi, ma non è la strada da seguire. (…) In estate utilizzeremo lo spazio del chiostro di via Rovello dove privilegeremo il rapporto tra gli artisti e il pubblico, anche se limitato a poche decine di persone. Ma quello che accade nel chiostro verrà proiettato all’esterno sui muri dei palazzi” (Maurizio Giannattasio, “Un solo spettatore ci basta per ripartire. Il teatro ricreerà le relazioni spezzate”, “Corriere della Sera”, 1° maggio 2020).
Il regista Gabriele Vacis, che dirige la scuola del Teatro Stabile di Torino, propone di tenere aperti i teatri giorno e notte, per piccoli gruppi di spettatori, permettendo di condividere anche le prove degli spettacoli.
Su un piano più generale l’AGIS (l’associazione delle imprese di spettacolo) ha presentato un documento con una serie di indicazioni pratiche e una timeline per la progressiva ripresa degli spettacoli nella “Fase 2”, prima all’aperto e poi nelle sale. (vedi Lo spettacolo dal vivo deve ricominciare. In sicurezza, ma al più presto!)
L’epidemia di Covid-19 colpisce prima di tutto i corpi. Il virus li distrugge, le misure di distanziamento e le mascherine li rinchiudono, li rimuovono, li separano. Le abituali forme della socialità sono cancellate, lo spazio pubblico azzerato. Ma il teatro è questo: un dispositivo sociale ed estetico di relazione tra i corpi in uno spazio condiviso. Quando la paura e le disposizioni inizieranno ad allentarsi, il teatro sarà utile per ricostruire e per sperimentare forme di socialità, dove si intrecciano online e offline.
Il link: Pratiche di spettacolo nella Fase 2
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