#coronavirus 15 | Il prossimo passo, sul palco
Il teatro non si salverà aspettando che qualcuno lo salvi
Difficile fare sintesi in questi giorni. Molto da leggere, molto da ascoltare, molto da studiare e una legittima moltiplicazione di studi, analisi, task force e appelli di ogni tipo.
Nel settore dello spettacolo, il primo a chiudere e il più difficile da far comprendere nella sua logica di funzionamento e composizione reale alle persone comuni e a molti decisori, vedo sostanzialmente due grandi filoni di lavoro: da un lato chi si concentra sul far capire come funziona questo comparto, cioè quante economie muove, quanti lavoratori impiega, che impatto ha sui nostri territori, dall’altro invece chi si muove nell’emergenza drammatica di un’attività chiusa e progetti svaniti, proponendo contenuti on line o rimandando e ripianificando le attività in maniera convulsa senza avere ancora certezze temporali precise.
Sono entrambi reazioni normali e necessarie ma credo sia arrivata ora l’urgenza di mettere in campo una terza azione, parallela e integrativa a queste due.
La fase del farsi riconoscere e del farsi ascoltare all’interno del nostro mondo, anche con l’ultimo importante passo del sostegno extraFUS del Ministro Franceschini, è in parte avvenuta e sicuramente non basta più per la fase che si apre.
Prima di pensare più o meno con calma su come cogliere l’occasione per riforme più strutturali, c’è da tornare per in scena molto presto. In qualche modo e a qualunque costo, o meglio mediazione.
Lo spettacolo dal vivo si chiama così perché è fondato su una cosa imprescindibile e insostituibile: il “qui e ora” che si instaura in quel unico e irripetibile istante tra spettatore e performer, chiunque esso sia, cantante, ballerino, showman, attrice di grido o ultimo rapper del ghetto più sconosciuto.
La cosa che lo distingue da altri prodotti replicabili e serializzabili nella fruizione, come il cinema, i monumenti, i dipinti, o un libro che possono essere visti e riletti quante volte si vogliono senza cambiare forma, è la condivisione meravigliosa ed eccezionale che si instaura esclusivamente solo nel momento in cui accade. Tutto il resto è simile, surrogato, finto, replicato, mediato e non ci saranno sussidi, studi, digitalizzazioni o task force che tengano per ricreare quella magia e quella potenza. E nemmeno quindi il tanto lavoro e le mille economie che quell’atto produce e si porta, come si dice, dietro le quinte.
Se in qualche modo non torniamo sul palco, i tecnici non lavoreranno, i ballerini non prenderanno lo stipendio, i registi non sapranno come fare la spesa, gli attori non potranno pagare il mutuo, i truccatori non potranno andare in vacanza e sì, i direttori di produzione e i tanti assistenti che li circondano non sapranno come pagare le bollette o l’affitto a fine mese.
Estremizzo e semplifico certo, ma quello che voglio dire è che questo mondo non si salverà aspettando che qualcuno lo salvi.
Tra non fare nulla, aspettare sussidi, o vedere che un intero settore scompare, rischiando pure di essere accusati con i nostri bellissimi assembramenti, facilitatori del contagio, un punto di mediazione dobbiamo provare a trovarlo.
Già nella “situazione normale”, ai sensi di un modernissimo regolamento del 1931 di “ordine pubblico” (art 68 R.D. TULPS), per fare uno spettacolo si devono chiedere licenze e agibilità di ogni tipo, figuriamoci ora in tempo di pandemia quale pericolo possiamo diventare per l’intera collettività!
Senza sottovalutare la forza del contagio e i rischi sanitari non è però possibile stare fermi fino all’autunno.
Altri settori molto complessi e altrettanto delicati dal punto di vista logistico, dove la gente si assembra in modo necessario, stanno pensando a varie soluzioni.
Perché non ragioniamo apertamente su quali criteri verosimili e ragionevoli si può tornare a fare spettacolo?
Perché il trasporto pubblico, il turismo, i grandi parchi divertimento, la GDO e mondi sicuramente più complessi e costosi del nostro si stanno attrezzando con proposte concrete e noi no?
Perché facciamo trasmissioni intere sui modellini di plexiglas nelle spiagge, sui divisori al ristorante e simulazioni pure per la Messa della domenica (vero e proprio show a tutti gli effetti tra l’altro) e non possiamo pensare ad una graduale e ragionata apertura di festival e spettacoli per esempio all’aperto?
Non sarà facile, ne è scontato ma il tema del contingentamento e della ripartenza progressiva va affrontato.
Il nostro settore e le nostre istituzioni han trovato in questi giorni una compattezza mai vista nel raccontare quanto vale e quanto soffre questo comparto. Ora è il momento di fare uno scatto in più, perché se aspettiamo la totale ripresa o la bacchetta magica dei sussidi che ci traghetteranno fino alla normalità, facciamo tranquillamente in tempo a morire di fame.
La stagione estiva, lo spazio pubblico e i luoghi all’aperto ci offrono per fortuna una grande occasione per ragionare su una gradualità e sperimentare nuove modalità.
Ma dobbiamo essere noi a proporle.
Se aspettiamo soluzioni ideate dagli altri finiamo schiacciati come nel 2017 con la Circolare Gabrielli, uno strumento giusto negli intenti ma ancora più deleterio e tragico negli effetti concreti perché ideato da qualcuno che non sapeva nulla del nostro mondo e della fragile sostenibilità su cui è basato.
Dobbiamo pensare di poter fare e proporre qualcosa noi, prima che ce lo dicano gli altri.
Alcune timide idee sono già comparse, dai drive-in ai concerti nei cortili, dai festival all’aperto con grandi spazi per distanziare il pubblico a contenuti diffusi o replicati più volte in una stessa sera.
Non è detto che basteranno e che siano soluzioni percorribili o altrettanto sostenibili, ma almeno iniziamo a parlarne, a pensare delle proposte concrete di gradualità che lasciano però sempre al centro la magia unica dell’atto performativo.
Si può salvaguardare questa identità in tanti modi: pensando a sistemi di distanziamento del pubblico diversificati per tipo di spettacoli, al controllo e gestione ancora più accurata degli ingressi, a rafforzare l’opera di comunicazione preventiva o responsabilizzazione dei partecipanti sull’uso delle protezioni individuali, alla fornitura obbligatoria di presidi medici per tutti, all’uso di piattaforme digitali per scaglionare gli ingressi, a vademecum operativi per gli artisti sul palco, all’aumento delle repliche nella stessa sera o arrivare addirittura a forme di fruizione mista sia fisica che web per massimizzare sia il raggiungimento del pubblico sia quello della sostenibilità economica.
Non fermarsi insomma alle richieste ma passare alle proposte, per immaginare scenari verosimili e sperimentare nuove pratiche, esattamente come facciamo da secoli sui nostri palcoscenici.
Nel frattempo continueremo a fare studi, proporre fondi di emergenza e certamente studiare anche una riforma strutturale a lungo termine.
Ma ora, adesso, allo scoccare della fase 2, è davvero il momento di non fermarsi alle richieste e trovare noi, in primis, il nuovo modo per tornare sul palco.
Con il contributo di
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