Diario di un cercatore di Azione: ПИНОККИО kolossal ovvero Pinocchio angelo pazzo a Mosca
Lo spettacolo in scena allo Stanislavsky Elektrotheatre
Un progetto unico
Il progetto di questo Pinocchio moscovita nasce da lontano, almeno tre anni fa, con una concezione del progetto teatrale in qualche modo unica nel suo genere. Nel luglio del 2018 sono stato contattato dallo Stanislavsky Electrotheatre di Mosca (Unione dei Teatri d’Europa) per svolgere un lavoro registico e pedagogico all’interno del progetto.
Il progetto si basa sulla drammaturgia dello scrittore Andrei Vishnevskiy, molto popolare in Russia per la sua ecletticità letteraria. In questa occasione, ispirato da un attore russo (non proprio famoso), ha scritto un testo teatrale in cinque parti (Foresta, Teatro, Città, Fata, Stradur). Ognuna delle cinque parti è uno spettacolo a sé stante (di 3-4 ore ciascuno), ma connesso con tutta la composizione del soggetto. Per questo ogni sera, in serate diverse, vengono proposte agli spettatori le diverse parti.
Il tyesto, basato sul capolavoro di Collodi, è stato reinventato in maniera totalmente onirica spostando la vicenda in un mondo futuristico dove insetti e strani animali (quelli del bosco da cui viene l’albero da cui è nato Pinocchio) diventano i padroni del mondo: lo scontro tra il bene e il male vede nella figura di Pinocchio “angelo pazzo”, quasi come l’Idiota di Dostoevskij, l’unico possibile salvatore dell’animo umano e generatore di un nuovo mondo angelico. La drammaturgia gioca continuamente con l’ambiguità linguistica e sonora delle parole ed è davvero notevole, quasi un continuo calembour che solo l’azione scenica può sciogliere compiutamente attraverso dialoghi e allegorie. Il materiale drammaturgico richiede un lavoro scenico incredibilmente ricco.
Il progetto è coordinato, sovrainteso e diretto dal direttore dello Stanislavsky Electrotheatre (Unione dei Teatri d’Europa) Boris Yukhananov. Per affrontare l’enorme mole di lavoro, il regista ha radunato intorno a sé uno staff di artisti di massimo livello. Io sono l’unico regista europeo e italiano. Nello staff ci sono anche il pluripremiato scenografo Yuri Harikov, che ha immaginato una scenografia avveniristica, una macchina davvero imponente con portali mobili, droni, oggetti mobili. I costumi sono stati affidati alla costumista e stilista internazionale Anastasia Nefyodova: sono stati creati più di cento costumi. Le musiche, genere elettronico e avanguardia spinta (di cui lo Stanislavsky Electrotheatre è uno dei soggetti di maggior promozione e diffusione a Mosca), sono state composte originalmente da Dmitry Kurlyandsky, le coreografie sono affidate in parte a me e in parte ad Andrei Kuznetsov-Vecheslov.
Io sono stato chiamato – e ho lavorato per più di un anno a Mosca allo Stanislavsky Electrotheatre – con vari ruoli:
1. Sono il regista di una parte dei cinque spettacoli: ho fatto la regia e ho creato una nuova drammaturgia di otto episodi per lo Spettacolo di Mangiafuoco. In questa regia ho anche curato la creazione specifica delle maschere (nate dal lavoro sulla “drammaturgia del corpo”) e dei costumi: prima ho costruito per ogni attore un corpo e uno psicotipo legato agli istinti primari dell’uomo. Successivamente, insieme a dei maestri mascherai italiani, ho dato ideato ogni singola maschera, disegnandole e scegliendo le forme i colori di ogni maschera per ogni attore.
2. Nelle altre quattro parti di Pinocchio ho creato e ho dato vita (come regista) alla “maschera”, intesa in senso ampio, ai corpi dei due attori a cui è affidato il ruolo di Pinocchio (nella drammaturgia di Vishnevsky ci sono due Pinocchi) per tutti e cinque gli spettacoli.
3. Tutto questo lavoro ha necessitato di un processo preparatorio pedagogico molto profondo. Ho lavorato con più di sessanta attori (dei principali teatri di Mosca) per trasmettere e creare le strutture di cui parlavo nei punti 1. e 2. Da questo processo ho anche selezionato un gruppo di venti attori con i quali ho costruito la mia regia.
4. In tutte le altri parti dello spettacolo ho lavorato come secondo regista e consulente artistico insieme al direttore Yukhananov.
Settembre-ottobre 2018
Incontri
Inizio questa avventura artistica. La sensazione è che sia qualcosa di veramente anomalo nel panorama teatrale, ma non ne ho una percezione precisa. I primi giorni sono dedicati a molti incontri: con Boris, con Andrey, con tutti gli altri artisti dello staff. Il testo è come uscito da un sogno su Pinocchio: dell’originale rispetta solo i punti chiave della trama e i personaggi principali. È molto difficile da leggere (anche con l’auto di Nadia, la mia bravissima interprete personale), perché non rispetta nessuna logica verbale ed è pieno di doppi sensi. Con i russi provo a lavorare sulle immagini e sull’immaginario che suscita la lettura, ma li vedo confusi. Cercano una spiegazione del testo, secondo una logica induttiva: questo è assolutamente impossibile per l’azione, non porterà mai gli attori ad agire quello che c’è nel testo.
Parlo più volte con il drammaturgo. Andrey è un visionario, ma ogni volta che entra nel suo testo, quasi come un padre con il proprio bambino, prova a spiegarmelo e a mostrarmi la sua originalità. Credo che tema il mio essere europeo e italiano: è come se Dante avesse volesse spiegarmi le rime che ha usato nella Divina Commedia. Non ci siamo, così non arriveremo ad agire in scena.
Mi è chiaro che la strada per agire quel testo vada da un’altra parte.
Finalmente Andrey apre le sue barriere e capisce che non ho bisogno di spiegazioni ma di immagini.
Tutto comincia a prendere una prospettiva molto chiara: la parola è ambigua e proprio su questa ambivalenza bisogna costruire il conflitto. Non bisogna significarla univocamente e quindi men che meno spiegarla. Comincio a vedere in modo sempre più chiaro. La parola di Andrey è come un “astuccio”: fine a sé stessa, è solo un involucro, non conta nulla per l’azione. Tutto dipende dalle immagini che quell’“astuccio” trasporta, da quello che c’è dentro. Bisogna costruire con questo processo per l’azione l’ossatura dei dialoghi (puri) che sono concettuali e che si basano sull’azione nella parola. Dovrò lavorare lungo questa strada con gli attori, innescare un processo perché abbiano gli strumenti per poter lavorare con la parola in questa direzione.
Per questo nella parte dedicata a Mangiafuoco devo costruire prima la struttura portante dei dialoghi concettuali e poi lavorare su tutta la parte che da questo “tronco” si dirama.
Il ruolo di Pinocchio
Per la costruzione del ruolo di Pinocchio dovrò fare un lavoro speciale. Mi è stato chiesto esplicitamente di farlo da Boris: per lui è fondamentale e lo ha totalmente demandato a me. È un lavoro enorme: oltre a essere il protagonista, il personaggio creato da Collodi attraversa tutti e cinque gli spettacoli ed è continuamente in scena. Bisogna che sia costruito organicamente con gli attori: bisogna costruire diverse nuove organiche con e negli attori che diventeranno Pinocchio. Perché i Pinocchi sono due, contemporaneamente in scena, affidati a due giovani donne che hanno una personalità scenica e una struttura antropometrica e fisica molto diversa. Per questo decido comincio anche con loro il lavoro di base della “drammaturgia del corpo”.
Mi hanno comunicato che lavorerò tutti i giorni con circa settanta attori contemporaneamente: molti sono parte della compagnia stabile dell’Electrotheatre, altri vengono da altri teatri moscoviti. Ci sono attori che hanno recitato per Brežnev e giovani attori emergenti. Da dove cominciare con un gruppo così grande ed eterogeneo? Dopo aver visto tutti gli attori, fatte le mie considerazioni sui due Pinocchi e sulla struttura della drammaturgia… decido di cominciare dal corpo per poi arrivare alla parola.
La drammaturgia del corpo
Comincio il lavoro fisico con tutti gli attori. Per poter costruire la mia regia e poi la parte di regia comune con Boris, è necessario costruire per tutto il gruppo una “drammaturgia del corpo”. E’ indispensabile per la parte di azione con le maschere, per la parte di costruzione del ruolo dei due Pinocchi, per la possibilità di costruire un piano dell’azione fisica in tutti gli episodi dell’intero lavoro.
Il lavoro per me è intenso (anche 11 ore al giorno), preciso, profondo. Ma non sento la stanchezza.
Alla fine di questo primo periodo di lavoro comincio ad avere alcune suggestioni.
Per la mia regia, devo cominciare a vedere chi è Mangiafuoco nella drammaturgia. Nel mio immaginario di bambino, è un burattinaio cattivo che mangia le marionette. Forse non è sbagliato, ma se togliessimo la favola e costruissimo una fabula, una sorta di fabula morale? Allora Mangiafuoco e Pinocchio sono in accordo, non è uno scontro… Tutto potrebbe essere più chiaro. Devo riuscire a vedere Mangiafuoco. Finché non lo avrò chiaro, non potrò creare l’immagine del suo teatro.
Continuo il lavoro intenso di biomeccanica fisica e teatrale con le due attrici Pinocchio con tutto il gruppo di attori e con il gruppo che occuperà con la maschera il Teatro di Mangiafuoco.
Il lavoro sulla “drammaturgia del corpo” comincia a essere molto complicato per gli attori: lavorano con grande entusiasmo e applicazione, ma contemporaneamente stanno venendo a galla tutti i loro limiti individuali e tecnici. E’ un passaggio inevitabile e fondamentale. Devo riuscire a trasmettere a tutti gli attori come realizzare un “movimento puro”, cioè che esiste in senso ontologico: deve possedere la massima espressione energetica e la pienezza della forza, esistere in quanto tale, senza una matrice emotiva. Questo è fondamentale per poi poter “trasportare” sopra questo movimento, come sopra un nastro, sia le emozioni sia i concetti. Mi è chiaro: il movimento “puro” esiste solo se è connesso alla biomeccanica fisica dell’attore.
Devo dedicare la prima parte del lavoro alla biomeccanica fisica: la “taratura” e la consapevolezza della verticalità dell’attore.
Il gruppo continua a aderire con grande entusiasmo al progetto, anche se le difficoltà sono molte perché il corpo non ancora organico blocca il lavoro con le immagini visuali e di conseguenza anche la parola diventa meccanica e vuota: sicuramente ben detta, ma vuota. Così non mi interessa.
Comincio anche il lavoro con la maschera. Il primo passo basico che voglio fare è di costruire insieme a ogni attore un corpo e uno psicotipo legato agli istinti primari dell’uomo. Alla fine di questo processo la parte “pagana” della persona-attore deve essere presente in scena. Desidero partire da un teatro primario e primitivo dove l’attore è il centro di tutto. Successivamente, insieme a dei maestri mascherai italiani, ideerò per ognuno di loro ogni singola maschera, disegnandole e scegliendo le forme i colori della maschera di ogni attore.
Novembre–dicembre 2018
Il regista Mangiafuoco
Proprio dal lavoro di drammaturgia del corpo e il lavoro sull’azione con la maschera vedo chi è Mangiafuoco. Il processo di lavoro svela in me l’essenza dell’azione che è contenuta nel testo di Andrey.
Mangiafuoco è “il regista”: è colui che conosce il teatro. È il pedagogo-regista che costruisce il suo teatro sull’azione nuda. Qui l’attore è l’autore dell’azione e Mangiafuoco può lavorare solo con autori di azione. Perché la marionetta ha la sua propria vita, quasi come Pasolini in Cosa sono le nuvole. È l’unico modo perché la persona sia il centro della vita teatrale e il celebrante (attore) condivida con gli spettatori (partecipanti) il rito dell’azione.
Allora nella mia visione registica gli attori di Mangiafuoco vivono una vita concreta e teatrale completamente diversa dagli altri “esseri” del teatro. Il loro teatro è diretto, brutale: come nel rito dionisiaco l’attore è guidato dalla sua forza primordiale e dai suoi istinti più atavici. E’ un teatro “povero”, diretto, senza effetti, basato solo sull’essenza dell’attore come autore di azione. È un mondo che si contrappone al metateatro o alla metafora: esiste in quanto tale, quasi come un riflesso di un possibile mondo teatrale metafisico che esiste in una dimensione differente (che forse un giorno raggiungeremo o vedremo) e che si specchia nell’istinto puro dell’azione in scena.
Condivido questa immagine sia con Andrey sia con Boris. Tutti e due ne sono colpiti. Boris mi lascia carta bianca.
Drammaturgo?
Andrey viene a vedere per qualche giorno il lavoro in sala con gli attori. Dopo aver visto diverse prove, chiede di incontrarmi. Mi comunica che dopo aver visto il mio lavoro in sala ha deciso di lasciarmi completamente la scrittura di otto episodi da fare con gli attori di Mangiafuoco. Il mio lavoro diretto con gli attori lo ha ispirato e ritiene che la mia idea del Teatro di Mangiafuco debba essere sviluppata anche nella drammaturgia.
Mi chiede se voglio e posso scrivere anche la drammaturgia di quella parte. Mi prendo qualche giorno per riflettere. Si tratta di scrivere una parte fondamentale del percorso di Pinocchio. Mi lascia otto temi, legati al mito moderno, per creare altrettanti spettacoli teatrali: Don Giovanni, Faust, Cenerentola, Falstaff, Jeckyll-Hide, la Sfinge ovvero Edipo, Orfeo, Salomè.
È un lavoro improbo ma che mi dà un grande stimolo rispetto al lavoro complessivo sull’azione. Dopo alcuni giorni di riflessione, accetto la proposta di Andrey, con cui comincia un dialogo fitto e fruttuoso, e decido di scrivere la drammaturgia attraverso un lavoro di drammaturgia scenica. Ho lavorato molto con questo approccio quando ho fatto in Europa l’anteprima di un testo del amico Rafa (Spregelburd).
Tutto dovrà passare attraverso un processo come questo: dare agli attori tutti gli strumenti di improvvisazione prima senza maschera, poi con la maschera. I due processi sono comuni ma molto diversi : richiedono tecniche diverse e devo svilupparle tutte e due. Poi, con le tecniche acquisite, comincerò a mettere diverse circostanze e variabili che cambieranno le loro relazioni, spazio, tempo. Da qui creeremo prima l’azione in scena e poi la scriveremo.
Il processo si dimostra lento e pieno di difficoltà. Gli attori desiderano avere un testo a cui aggrapparsi. Ma questo non è il procedimento corretto per creare l’azione in questa parte della drammaturgia. Non perdo la mia prospettiva e continuo nella direzione intrapresa. Lavoro con gli strumenti dell’improvvisazione.
L’arte dell’azione con la maschera
Il testo di Andrey e l’evoluzione del progetto complessivo di Boris mi spingono a vedere che bisogna dare vita a una tecnica nuova: creare una nuova tecnica con la maschera per sviluppare il dialogo concettuale con le Maschere.
Da diversi anni in Europa mi occupo di azione senza maschera e con la maschera. I miei maestri di Commedia dell’Arte (Soleri, Boso) mi hanno trasmesso, con il loro grande e diverso talento, molte cose sulla maschera. Ma dopo tante esperienze, personalmente non credo nella Commedia nell’Arte che si fa in Europa. Mi sembra che in Europa stia prendendo una strada molto particolare, strana, che va sempre più verso un cliché fine a sé stesso, arido. Credo invece ancora nel grande valore della maschera nel teatro odierno. Proprio queste esperienze mi portano a dire che quando parliamo di maschera dobbiamo parlare di “arte dell’azione con la maschera”.
Per questo, tra i vari aspetti, in questo progetto ho provato, sulla spinta del direttore Yukhananov, di rifondare anche in Russia una nuova strada di lavoro con la maschera.
Ma arrivare a svolgere dialoghi concettuali con la maschera è davvero un lavoro che in Europa non ho mai visto fare da nessuno. Quello che voglio creare sembra un controsenso, in quanto la maschera in Europa è sempre stata vista come teatro fisico: l’azione parte e si sviluppa a partire dall’azione fisica.
Paradossalmente credo anche io che questo sia corretto (e infatti svilupperò le parti in improvvisazione con la maschera), ma concretamente credo si possa sviluppare una nuova tecnica di maschera per riuscire ad agire la parola con la maschera. Faccio diversi studi su questo con gli attori, cerco di far esistere la maschera senza azione fisica, ma non funziona: gli attori diventano ingessati e disorganici e le maschere “spariscono”, diventando semplicemente icone grottesche.
La parola e l’azione fisica
Continuo gli studi ma ancora non vedo bene la prospettiva
Finalmente, durante delle prove libere degli attori, mi accorgo un loro sbaglio colossale e all’improvviso la prospettiva mi diventa chiara. Non devo eliminare l’azione fisica, ma subordinarla al piano di azione verbale. Per questo l’azione della maschera deve essere separata nettamente da quella del corpo. L’azione della maschera sarà il nastro trasportatore che permetterà lo sviluppo della parola (della sua ambivalenza) e del concetto. L’azione del corpo sarà ciò che fa da ponte tra una parte del dialogo e il successivo.
Do al singolo attore un motore emotivo primario, primordiale. La contrapposizione tra questi motori viene sviluppata attraverso l’improvvisazione che ha come bersaglio il concetto su cui realmente i due attori in concordanza stanno confliggendo. Questo farà emergere il concetto come un pallone che vien spinto sott’acqua da una mano e poi lasciato di colpo. Faccio alcune prove: l’attore lavora correttamente perché rispetta la “legge” dell’azione con la maschera, che vede contemporaneamente separati personaggio e psicotipo ma che, proprio dalla loro contemporanea esistenza, dà vita a una nuova e diversa vita scenica. È come una donna incinta: non è una donna, non è una donna più un bambino, ma è una creatura speciale nuova che si comporta in modo del tutto nuovo, non come la donna “normale”. Daremo vita a unametamorfosi organica che genererà l’azione.
Provo la nuova tecnica e si comincia a vedere un’azione scenica forte, presente. Boris viene ad assistere alle prove, il lavoro gli piace molto. Così inizio a costruire gli otto episodi: per ognuno di essi cominciamo a creare con le tecniche d’improvvisazione i dialoghi e le parti in cui guida l’azione fisica.
A fine periodo si cominciano a vedere le prime bozze di risultato sia scenico sia drammaturgico.
Ancora Pinocchio
Intanto continuo il lavoro sul ruolo di Pinocchio: Rivedendo e ristudiando il testo di Andrey nella sua interezza, intuisco che Pinocchio debba avere una “metamorfosi” fisica che va di pari passo con l’evoluzione della sua azione trasversale nella drammaturgia. A partire da alcuni avvenimenti della trama, bisogna trasformarli in un rituale che porta a differenti “epifanie” nel percorso di Pinocchio. Tali “epifanie”, proprio in quanto tali, devono manifestarsi nelle metamoforsi del corpo di Pinocchio.
Il problema principale è creare un corpo che non sia organicamente umano (per forma, dimensioni, movimenti) ma che sia assolutamente organico in una natura diversa.
Ne parlo con Boris: prima sembra perplesso, poi pian piano comincia a vedere il mio disegno e mi lascia carta bianca nel costruire il ruolo di Pinocchio a partire dalla definizione del suo corpo.
Per questo con Pinocchio devo fare un lavoro di “drammaturgia del corpo” speciale. Da qui in avanti lavorerò separatamente con le due attrici: nel processo quotidiano di training e di lavoro fisico in scena “insegno” a Maria e Svetlana, le due attrici, come reimparare a camminare e muoversi. Questo, in prospettiva, deve creare in loro anche una nuova percezione e una nuova natura emotiva e verbale che partirà dall’azione fisica.
Gennaio 2019-aprile 2019
Continuo la preparazione di tutto il gruppo dei sessanta attori su scene e intermezzi.
Gli psicotipi oramai sono ben delineati e organici per gli attori. Adesso posso passare alla costruzione delle maschere vere e proprie.
Torno in Italia e incontro diversi mastri mascherai italiani. Con loro, a partire dallo psicotipo di ogni attore, cominciamo a disegnare i caratteri delle singole maschere: ogni urgenza primaria dello psicotipo deve ritrovarsi in una forma della maschera. Così ogni maschera prende vita nella forma, nel colore e nella dimensione.
Dall’altra parte sto andando verso il completamento di cinque degli otto episodi complessivi del Teatro di Mangiafuoco. Gli attori cominciano a utilizzare gli strumenti su cui abbiamo lavorato con grande creatività.
Pinocchio
Continuo il lavoro con le due attrici-Pinocchio e sulla base della loro maschera cominciamo a creare i diversi corpi di Pinocchio. Le attrici intravedono le prime prospettive del lavoro che stiamo facendo. Il ruolo sta nascendo poco a poco in loro. La loro maschera è molto “forte”, estrema, difficile da agire. Dobbiamo distruggere una parte di lavoro che sta andando verso il cliché e ricominciare.
Giugno-luglio 2019
L’incontro con la maschera
Le trenta maschere (in realtà mezze maschere) sono state create. Le porto a Mosca e le mostro agli attori: cominciamo la parte finale del lavoro. Ma ora, avendo gettato nei mesi precedenti le fondamenta in modo preciso e profondo, per gli attori il lavoro diventa molto naturale, rapido e creativo.
Mentre osservo questa fase di lavoro, rifletto sulla concezione del tempo durante il processo creativo: bisogna avere il coraggio artistico, e l’organico pronta, per percepire il tempo di creazione in modo diverso. Perché nasca un frutto da una pianta serve un ciclo creativo: non si può impiegare il tempo a spiegare all’albero come e dove deve fare il frutto: non porterà a nulla. Dobbiamo impiegare il tempo a preparare la terra, concimarla, ararla, piantare il seme, togliere le erbacce, dare acqua e poi la pianta (forse) darà il suo frutto. Questo è nel processo naturale della creazione. E forse se percepisco il tempo così, come un contadino, avremo un processo creativo organico.
Mostro le maschere anche a Boris: è entusiasta .
Comincio anche il lavoro con gli attori che useranno delle maschere larvali: sono maschere totali, che coprono tutto il volto, molto grandi di dimensioni e che richiedono una tecnica completamente diversa.
Lavoro con quaranta attori su questa tecnica e sulla base della “drammaturgia del corpo” che abbiamo sviluppato per quasi un anno. In breve diamo vita a questi “animali” che abitano il Teatro di Mangiafuoco. Sono i suoi spettatori.
Cinque degli otto episodi del Teatro di Mangiafuoco sono definitivamente completati.
Per i restanti tre intuisco che per l’azione trasversale di Pinocchio, come spettatore degli otto episodi, servono un altro linguaggio e un’altra tecnica legata alla maschera. Gli otto episodi infatti devono funzionare come un viaggio esperienziale di Pinocchio, una salita che sfocia in un teatro angelico. In qualche modo ho l’immagine di gironi danteschi che, nel vivere ciò di cui sono fatti (anime), fanno elevare la persona che li percorre.
Per questo serve un’elevazione verso un teatro più “astratto”, che abbia un linguaggio molto differente. Propongo agli attori un lavoro totalmente nuovo sulla maschera: partendo dagli strumenti legati alla drammaturgia del corpo (creata nei mesi precedenti), decido di creare delle scene performative, basate sull’astrattismo, che nascono dal linguaggio del corpo e della maschera uniti. La maschera non agisce più in una situazione oppure sviluppando un dialogo concettuale, ma a partire dalla creazione di immagini che trovano forma nel corpo degli attori e nei suoni della loro voce. La loro vita è concreta e insieme astratta.
Concludo il lavoro sugli otto episodi del Teatro di Mangiafuoco, che uniscono queste tre strutture sceniche, in cui vive la musica di Dmitry Kurlyandsky: quella basata sull’azione fisica, quella basata sui dialoghi, quella basata sulle performance astratte.
Ottobre-novembre 2019
La consapevolezza dell’attore
Siamo alla fase di rifinitura e completamento con luci e scenografia. Comincio il lavoro più intenso con Yuri (Harikov, lo scenografo che in Russia è considerato un monumento teatrale) e con Boris. Adesso i cambiamenti di spazio sono davvero repentini e a volte inattesi.
Solo dove l’attore ha grande consapevolezza del conflitto e dell’azione si “muoverà” con grande libertà su una linea fine. L’azione deve essere “scritta” dentro l’attore.
Mi accorgo della difficoltà degli attori nell’essere liberi e creativi all’interno della struttura. Allora comincio un lavoro profondo di ricostruzione della “drammaturgia del corpo” e di ricostruzione delle scene a partire da tecniche fisiche mutuate dal Kung Fu originario (non quello sportivo). Il processo sembra funzionare e riporta negli attori la capacità di agire organicamente all’interno della struttura rigida dello spettacolo. Non è tutto come avrei desiderato, ma tutti gli attori sembrano pronti per agire in scena.
21 novembre 2019: il debutto
Lo spettacolo nella sua prima forma di Dittico (Foresta eTeatro) ha avuto il suo debutto nazionale ed internazionale al NET Festival (New European Festival) dal 21 al 24 novembre 2019. Ogni giorno si sono alternati i due episodi per complessive 8 ore di spettacolo.
Ha poi replicato in occasione dei cinque anni della rifondazione dello Stanislavsky Electrotheatre dal 23 al 26 gennaio 2020.
Resterà in produzione per tutto il 2020 e 2021 allo Stanislavky Electrotheatre di Mosca, mentre si continueranno a costruire le seguenti tre parti.
IL TEATRO STANISLAVSKY ELECTRO – THEATRE DI MOSCA
(UNIONE DEI TEATRI D’EUROPA)
presenta
ПИНОККИО
Basato sull’opera teatrale di Andrey Vishnevskiy Crazy Angel Pinocchio
Direttore di scena: Boris Yukhananov
Direttore e pedagogo di tecnica della Maschera: Alessio Nardin
Compositore: Dmitry Kurlyandsky
Costumista: Anastasia Nefyodova
Coreografo: Andrey Kuznetsov-Vecheslov
Progettista del suono: Vladimir Gorlinsky
Con la partecipazione di Yuri Harikov
Maestri Mascherai: Renzo Sindoca, Gianfranco Gallo
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