L’audizione del 29 novembre 2018 alla 7a Commissione del Senato per l’Indagine conoscitiva sul FUS

Pubblicato il 02/12/2018 / di / ateatro n. #BP2018 Codice dello Spettacolo , #BP2018 Lavoro , 166

Nell’ambito della indagine conoscitiva FUS Giovedì 29 Novembre 2018 si è svolta la Audizione dei rappresentanti di Emilia Romagna Teatri (ERT), del Coordinamento delle realtà della scena contemporanea (C.RE.S.CO) e dell’Associazione culturale Ateatro.

La delegazione della Associazione Culturale Ateatro – dopo l’intervento di Oliviero Ponte di Pino e Mimma Gallina – ha consegnato alla segreteria della 7a Commissione un dossier con una sintesi dei risultati dei progetti Oltre il Decreto Lavoro e welfare e Cultura e Terzo settore [leggi qui sotto].

Il video dell’audizione di Giovedì 29 Novembre 2018 su Senato tv

La notizia su “AgCult”: Fus, per le associazioni teatrali “sistema incoerente e da rifondare”.

Le slide della Associazione Culturale Ateatro alla 7a Commissione del Senato della Repubblica

[pdf-embedder url=”https://www.ateatro.it/webzine/wp-content/uploads/2018/12/ateatro-senato-2018-11-29-def.pdf”]

Il dossier della Associazione Culturale Ateatro alla 7a Commissione del Senato della Repubblica

Oltre il Decreto verso il Codice dello spettacolo
Una lettera aperta al teatro italiano

di Oliviero Ponte di Pino e Mimma Gallina
Pubblicato il 11/06/2017

Con gli incontri e le ricerche che hanno portato alla pubblicazione del volume Oltre il Decreto. Buone pratiche tra teatro e politica, pubblicato da FrancoAngeli, la Associazione Culturale Teatro ha cercato di svolgere due funzioni necessarie alla efficace applicazione di un provvedimento di grande portata, anche per individuare eventuali modifiche che possano contribuire a raggiungere gli obiettivi politici della norma:

# l’ascolto dei soggetti interessati, con un confronto aperto (e non confinato all’interno di comitati ristretti); al percorso hanno partecipato circa 600 tra operatori e amministratori, negli incontri di Milano, Vicenza, Siena e Castrovillari;
# una verifica degli effetti reali dell’applicazione del provvedimento, a partire da una analisi sistematica dei dati forniti dagli stessi teatri coinvolti (nell’area della stabilità).

Questa ricognizione, affiancata da una parallela attività di ricerca, è stata condotta con pochi mezzi, in “tempo reale” e in maniera del tutto indipendente. L’indipendenza è una virtù necessaria per garantire la correttezza dei risultati. La velocità, pur comportando alcuni rischi, è indispensabile per cogliere trasformazioni rapide e impreviste. Per una sistematica attività di monitoraggio, la buona volontà non è sufficiente e sarebbero necessarie risorse ben maggiori di quelle che può mettere in campo una associazione come Ateatro (va anche rilevato che l’Osservatorio dello Spettacolo, al quale spetterebbe questo compito, non è stato in grado di offrire un contributo tempestivo e significativo).
Tenendo presente virtù e limiti dell’iniziativa, il progetto “Oltre il Decreto” (realizzato con il contributo di Fondazione Cariplo e il patrocinio di Comune di Milano e Regione Lombardia) ha portato all’elaborazione di alcuni suggerimenti, in merito a una eventuale revisione del Decreto 1° luglio 2017 (e di un eventuale Codice dello Spettacolo e relativi decreti applicativi). Sono emersi diversi aspetti positivi della nuova normativa, come pure alcune criticità.
Alcune di esse sono di carattere generale e investono la politica culturale e il ruolo dello spettacolo dal vivo. In particolare:

# il nodo delle risorse, sia in termini generali (la quota di PIL e di denaro pubblico destinata alla cultura, che pone l’Italia agli ultimi posti della classifica europea), sia in termini di riequilibrio in primo luogo tra i beni e le attività culturali, e in secondo luogo tra i diversi settori, con lo spettacolo dal vivo tuttora penalizzato;
# nel quadro delle politiche per lo spettacolo e dei finanziamenti, la quota di teatro e danza, progressivamente erosa dai bisogni delle Fondazioni lirico-sinfoniche e della lirica in generale;
# il rapporto Stato-Regioni, al centro di alcuni ricorsi al TAR, che il risultato del referendum del 4 dicembre 2016 dovrebbe spingere a definire in maniera più equilibrata e precisa;
# la disparità tra Nord e Sud, tra centro e periferie, tra metropoli e centri minori, che di fatto esclude dalla partecipazione culturale una fetta significativa dei cittadini: sarebbero opportune misure di sistema e progetti pilota.

Altri aspetti riguardano l’impostazione generale del Decreto, che pur puntando correttamente ad accrescere la trasparenza delle valutazioni, presenta evidenti limiti:

# la definizione generica delle funzioni e degli obiettivi dei diversi settori del teatro di prosa, che rende di fatto impossibile una efficace politica culturale per lo spettacolo;
# il ruolo marginale della valutazione qualitativa, ovvero delle Commissioni Consultive, che hanno compiti limitati alla valutazione dei progetti (senza che sia prevista una attività di monitoraggio), scarsa incidenza e una griglia di valutazione eccessivamente vincolante;
# la multidisciplinarietà, finalmente accolta dal Decreto ma ridotta nei fatti a somma di spettacoli monodisciplinari afferenti a diverse discipline, non risponde alla realtà artistica e alle attese degli operatori; e le scarse risorse si sono rivelate inadeguate a sostenere una autentica multidisciplinarietà.

Nella sua filosofia, il Decreto resta ancorato al sostegno alla produzione (e dei soggetti più rilevanti dimensionalmente), senza intervenire di fatto sul lato della domanda, se non nella valutazione dei risultati produttivi, in un’ottica puramente quantitativa; e sostiene in misura inadeguata e inefficace la distribuzione.
Nel primo anno l’applicazione del Decreto 1° luglio 2014 ha portato a effetti che potevano essere prevedibili, e che le modifiche successive hanno solo in parte corretto:

# aumento delle produzioni, spesso di scarsa qualità e con pochi artisti impiegati;
# variazioni non rilevanti nel numero di spettatori complessivo (anche se con forti oscillazioni di molti teatri dell’area della stabilità);
# diminuzione delle teniture medie,
# disorientamento del pubblico;
# un aumento complessivo del numero di lavoratori (dati ISTAT) ma una riduzione delle giornate medie di lavoro pro capite, con una ulteriore precarizzazione del settore, soprattutto per quanto riguarda gli attori: è peggiorata la qualità del lavoro e si è ridotta la stabilità dei lavoratori anche nelle strutture maggiori.

Ricadono sul lavoro anche i problemi finanziari e gestionali delle imprese.
In generale, gli operatori lamentano il crescente impegno burocratico, la macchinosità delle procedure, la lentezza delle assegnazioni. Più che precisare ulteriormente o introdurre ulteriori regole, sarebbe opportuno ampliare i margini di libertà artistico-imprenditoriale (per esempio nelle pratiche multidisciplinari) e premiare la effettiva qualità di progetti, anche in fase di consuntivo.
Vanno espresse con maggiore chiarezza le missioni dei diversi settori, e gli obiettivi della loro attività, tenendo presente le differenze territoriali, anche per quanto riguarda l’articolazione dell’offerta e della domanda.
La chiarezza degli obiettivi generali dovrebbe riflettersi nei progetti e nei loro obiettivi specifici, e dunque aiutare a definire gli investimenti corrispondenti, valutandone la coerenza e lo spessore culturale. Questo dovrebbe consentire effettive possibilità di verifica dell’efficacia dei diversi progetti, che ora nella sostanza a consuntivo vengono valutati su base unicamente quantitativa. E’ ovvio che devono essere svolte sia una costante attività di monitoraggio e accompagnamento, che una Commissione Consultiva che opera a titolo non oneroso non è in grado di effettuare (anche perché non rientra nei suoi compiti), sia una attività di verifica e controllo che finora non è stata particolarmente efficace.
Se venissero valutati con attenzione gli effetti pratici dell’applicazione del Decreto, analizzando il peso e quindi le ricadute operative dei singoli parametri, sarebbe possibile provvedere alle opportune correzioni. In assenza di una analisi sistematica, si rischia di procedere solo sulla base di impressioni generiche (o di sollecitazioni interessate).

Anche la valutazione quantitativa risulta al momento frammentata in un gran numero di parametri, rendendo difficile individuare con chiarezza gli obiettivi prioritari; in fase di consuntivo, questa complessità rende di fatto impraticabili le verifiche. E’ stato rilevato da più parti (nella quasi totalità degli interventi del percorso “Oltre il Decreto”) lo scarso peso della valutazione qualitativa rispetto a quella quantitativa, e la delusione delle aspettative rispetto alla “qualità indicizzata”, che si è rivelata di fatto riconducibile a fattori puramente quantitativi. Se uno degli obiettivi dell’intervento pubblico è quello di creare “un teatro d’arte per tutti”, il criterio principale di valutazione non può essere il mercato (e, va aggiunto, un mercato inquinato da numerose distorsioni). Solo dando il giusto peso alla Qualità si possono valorizzare la funzione pubblica e il rischio culturale, rispetto a punteggi di Quantità (e Qualità indicizzata) che premiano la dimensione aziendale (e che finora non tengono conto del “margine artistico”, ovvero la quota del fatturato destinata alla creazione-produzione).
Il Decreto 1° luglio 2014 ha inserito nel sistema elementi di trasparenza e accountability. Una caratteristica strutturale lo rende difficilmente manipolabile da raccomandazioni e trattative: una volta assegnate le risorse ai vari cluster e inseriti i punteggi (di qualità e quantità, che sono pubblicati nel dettaglio sul sito del MiBACT), il calcolo è automatico, perché dipende unicamente dal punteggio di ciascun soggetto e dai punteggi dei altri soggetti affini (ovvero quelli inseriti nello stesso cluster).
Il Decreto ha avuto inoltre il merito di aprire, in termini che non si erano mai verificati prima, a progetti nuovi o giovani.
Si tratta di uno strumento per molti aspetti imperfetto (al di là degli aspetti tecnico-procedurali già rilevati in altre sedi) ma che potrebbe essere migliorato e affinato.
L’alternativa sono i bandi (come Migrarti), oppure la discrezionalità pressoché assoluta di altri canali di sostegno al teatro: per esempio la quota del FUS assegnata direttamente dal ministro dello Spettacolo attraverso i Progetti Speciali; o forme di “sostegno” eccezionali come quella che sta premiando il Teatro Eliseo con 8 milioni di euro per il biennio 2017-2018.
Un aspetto delicato riguarda i soggetti che vengono premiati attraverso questi canali: il Decreto 1° giugno 2014 prescrive che i soggetti possano fare richiesta per un unico articolo (con la parziale eccezione delle Residenze). Molto spesso queste forme di finanziamento premiano soggetti che già hanno accesso al FUS, e per attività che dovrebbero far parte delle loro funzioni istituzionali. Le forme di sostegno eccezionale dovrebbero premiare iniziative particolarmente rilevanti sul piano culturale (e magari innovative, in un’ottica di sviluppo), e non possono avere l’obiettivo di correggere eventuali difetti del sistema e dell’algoritmo.
Per certi aspetti il Decreto 1° luglio 2014 ha offerto un’occasione di razionalizzazione e di crescita del settore. Ma è un passaggio stretto: la modernizzazione del sistema dipende prima di tutto dalla volontà del mondo del teatro e degli operatori, dalla loro consapevolezza, dalla loro fiducia nel futuro, dalla loro capacità di collaborare per obiettivi comuni. Fiducia e spirito di collaborazione non sono facili da creare, soprattutto per i più giovani, in un mercato in contrazione e allo stesso tempo polverizzato, dove la distribuzione delle risorse non risulta certo equa. Ma questo è ancora possibile, se le modifiche del Decreto si sforzeranno di individuare e superare le contraddizioni emerse e cercheranno una maggiore coerenza fra finalità e parametri. E se il “Codice dello spettacolo” contribuirà a ridisegnare gli obiettivi e le funzioni del settore e rilanciarlo, riequilibrando parallelamente i poteri a livello centrale e locale.

Il nuovo Codice dello Spettacolo: verso i Decreti attuativi. Un progetto di Ateatro per il 2018-19
A cura del direttivo della Associazione Culturale Ateatro [Lucio Argano, Giulio Stumpo, Patrizia Cuoco, Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino]
Pubblicato il 17/06/2018

Le ragioni e gli obiettivi del progetto
Nel 2018 la Associazione Culturale Ateatro ha iniziato una riflessione sul Codice dello Spettacolo (Legge 22 novembre 2017, n. 175 – Disposizioni in materia di spettacolo e deleghe al Governo per il riordino della materia). Il progetto prevede di attivare gruppi di lavoro, di pubblicare materiali e documenti sul sito wwww.ateatro.it e di organizzare alcuni incontri pubblici. Il modello è quello che ha già portato alla realizzazione dei volumi Oltre il Decreto (Franco Angeli, 2016), Reinventare i luoghi della cultura contemporanea. Nuovi spazi, nuove creatività, nuove professioni, nuovi pubblici (Franco Angeli 2017) e che ha caratterizzato il percorso Obiettivo lavoro (documentato dal volume Attore… Ma di lavoro cosa fai? (FrancoAngeli 2018).
Come è nella natura dell’Associazione, caratterizzata da indipendenza e trasversalità, il nostro obiettivo è informare e sensibilizzare il mondo politico e culturale italiano, in un’ottica di sistema, con particolare attenzione alle aree meno rappresentate (ma spesso più vitali e innovative) del teatro italiano, per innescare un processo di ascolto da cui ricavare indicazioni e proposte.
Il progetto di Ateatro sul Codice dello Spettacolo si è già avviato con una prima fase di studio, ricerca e riflessione sulle probabili conseguenze della sua applicazione nell’attuale situazione culturale italiana.

I temi
La prima fase del lavoro è consistita in un’attenta analisi del testo predisposto dal legislatore, che è il risultato di complesse mediazioni sia all’interno delle Commissioni sia in Parlamento. Alla luce degli obiettivi del provvedimento, e considerata la molteplicità e la varietà delle funzioni e dei soggetti coinvolti, cercheremo di analizzare le principali direttrici di riforma e di sviluppo del settore, nonché le modalità di integrazione con altri settori previste dal Codice dello Spettacolo. Sono stati individuati alcuni nodi problematici intorno ai quali impostare la ricerca e la discussione:

– I fabbisogni finanziari richiesti dai nuovi impegni previsti dal Codice dello Spettacolo.
– Le competenze istituzionali coinvolte, a partire dal rapporto mai chiarito tra Stato ed enti locali.
– Il rapporto di spettacolo e cultura con il turismo.
– Il rapporto con i giovani (compreso il ricambio generazionale) e il mondo della scuola.
– La formazione, anche in un’ottica di avviamento al lavoro e di formazione permanente.
– L’internazionalizzazione.
– Lo spettacolo e il sociale, anche a partire dalle nuove normative sul Terzo Settore.
– Lavoro e welfare (dove riprenderemo e approfondiremo alcuni dei materiali emersi nel corso del progetto “Obiettivo lavoro”).
– La disciplina del FUS, che costituisce (o dovrebbe costituire) il fulcro del sostegno ministeriale al settore, sia per quanto riguarda l’entità delle risorse sia per quanto riguarda le modalità di assegnazione e dunque gli obiettivi della politica culturale nel campo dello spettacolo dal vivo.

I primi appuntamenti
I gruppi di lavoro sono già stati attivati, grazie all’impegno e alle competenze dei soci dell’Associazione Culturale Ateatro. Sono già previste alcune occasioni di restituzione e di dibattito pubblico.
In particolare:
– 10 luglio, Pergine Festival, Pergine Valsugana: Ateatro sarà presente nel workshop “Normative nazionali e regionali in materia di spettacolo dal vivo” organizzato da AGIS Triveneto, presentando i primi dati e le prime riflessioni sul tema dei fabbisogni finanziari della riforma;
– 24 settembre, Milano: il welfare (con particolare riferimento a disoccupazione, ai periodi di non lavoro e alla formazione permanente, anche con confronti internazionali);
– 11 ottobre, nel quadro di EnERgie Diffuse (7-14 ottobre), una settimana di iniziative a cura della Regione Emilia-Romagna: una sezione delle Buone Pratiche approfondirà il tema delle competenze istituzionali;
– 21 novembre, Milano: una giornata di formazione e dibattito sull’impresa culturale e sulla riforma del terzo settore;
– 26 novembre, Milano: Teatro e scuola;
– dicembre-marzo (luoghi e date da definire): incontri sul tema della internazionalizzazione, del rapporto tra Turismo e Teatro, delle Residenze.

Il Codice dello Spettacolo e i Decreti attuativi
La Legge 175 prevede “uno o più decreti legislativi”.

“Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il coordinamento e il riordino delle disposizioni legislative e di quelle regolamentari adottate ai sensi dell’articolo 24, comma 3-bis, del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2016, n. 160, in materia di attività, organizzazione e gestione delle fondazioni lirico-sinfoniche e degli enti di cui al decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, e di cui alla legge 11 novembre 2003, n. 310, nonché per la riforma, la revisione e il riassetto della vigente disciplina nei settori del teatro, della musica, della danza, degli spettacoli viaggianti, delle attività circensi, dei carnevali storici e delle rievocazioni storiche, mediante la redazione di un unico testo normativo denominato ‘codice dello spettacolo’.” (art. 2)

I Decreti attuativi, che dovranno tradurre in azione politico-amministrativa i principi della legge, dovrebbero dunque essere emanati entro il 17 novembre 2018. Non sappiamo se il Governo possa e voglia rispettare una scadenza ormai molto ravvicinata, e soprattutto se intenda cogliere l’opportunità (che la legge delega offre), di legiferare in materia. Il Parlamento, considerate le priorità del nuovo governo, potrebbe anche prorogare la delega spostandola più avanti. Ma anche qualora il nuovo governo non consideri prioritaria l’emanazione dei decreti attuativi, la Legge 175, come si è rilevato commentandola dopo l’approvazione al Senato, presentava un limite che oggi può essere forse considerato un pregio: quello di elencare gli ambiti e i temi di intervento per una politica dello spettacolo. Tra gli schieramenti politici vincenti all’ultima tornata elettorale, analizzando quel poco che scaturiva dai programmi, sul tema della cultura convivono posizioni stataliste e altre più liberiste, impostazioni più centraliste e altre più localiste-regionaliste.
Dovrebbe in ogni caso restare in vigore fino al dicembre 2020 il DM 27 luglio 2017, che ha stabilito i criteri di assegnazione del FUS per il triennio 2018-2020, anche se il Contratto per il Governo del Cambiamento siglato da Movimento Cinque Stelle e Lega, prevede la riforma del sistema vigente:
“L’attuale sistema di finanziamento, determinato dalla suddivisione secondo criteri non del tutto oggettivi delle risorse presenti nel Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS), limita le possibilità delle nostre migliori realtà e impedisce lo sviluppo di nuovi progetti realmente meritevoli.
Riteniamo pertanto necessario prevedere una riforma del sistema di finanziamento che rimetta al centro la qualità dei progetti artistici.”
Per quanto riguarda i Decreti attuativi, sono ipotizzabili due strade:

# un unico Decreto, che sostituisca il DM 27 luglio 2017 e copra anche le altre azioni previste dal Codice dello Spettacolo;
# un Decreto che si faccia carico della riforma del FUS e uno o più decreti che coprano gli altri ambiti di intervento previsti dal FUS.

I fabbisogni finanziari: alcune considerazioni preliminari
La legge prevede che l’intera materia – che venga disciplinata sia da uno sia da più decreti attuativi – sia coperta dal FUS, maggiorato di 9,5 milioni di euro per il 2018 e 2019 e di 22,5 milioni di euro dal 2020 (art. 4.1). Prevede inoltre che

“dal decreto o dai decreti legislativi di cui al comma 1, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. In conformità all’articolo 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 qualora uno o più decreti legislativi determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al proprio interno, i medesimi decreti legislativi sono emanati solo successivamente o contestualmente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.” (art. 2.6)

In pratica, qualora in base al Codice dello Spettacolo venissero intraprese azioni “non a costo zero” e non si trovassero risorse aggiuntive, le risorse dovranno essere reperite dal FUS, riducendo inevitabilmente il sostegno alle attività fino a quel momento sostenute dal Fondo.
E’ dunque necessario valutare:

# i presumibili costi della riforma, con riferimento sia alla materia che andrà disciplinata dal Decreto attuativo sul FUS, sia alle azioni che potrebbero confluire in questo o in altri decreti attuativi;
# la eventuale disponibilità di risorse aggiuntive: se effettivamente la riforma può contare solo sul FUS o se si possono dirottare sul FUS altri stanziamenti, disponibilità, fonti e/o ragionare su scelte politiche/stanziamenti conseguenti operate dal MiBAC e non irreversibili.
La valutazione dell’entità delle risorse FUS, extra FUS e collegate ad altri capitoli di spesa richiede una accurata accurata (alla quale Ateatro sta già lavorando).

La parabola del FUS
Nel bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 la dotazione FUS per l’anno in corso risulta pari a 331,7 milioni. Dal 1985 (anno in cui è stato istituito) al 2016, lo stanziamento è calato del 54,81%, e l’incidenza del FUS sul PIL è passata dallo 0,0846 allo 0,0243%, come risulta dalla più recente relazione dell’Osservatorio dello Spettacolo.
Dopo un incremento nel 2013, il calo è stato confermato anche dall’ultimo governo negli anni 2014/2017, anche in presenza di scelte politiche significative del Ministro Franceschini e del Parlamento. In particolare fino al 2016 il FUS finanziava anche il settore cinematografico, per il quale, dal 2017, la Legge 220/2016 ha istituito il Fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo. Le risorse stanziate per il Cinema e l’aumento delle risorse extra FUS corrispondono a queste scelte politiche (vedi la Tabella, nostra elaborazione da dati MiBACT).
Il Codice dello Spettacolo prevede l’inquadramento nel FUS di nuovi ambiti, il potenziamento di alcuni settori, e funzioni o interventi “trasversali” (inevitabilmente onerosi), che impongono una riflessione sui costi, ovvero sui fabbisogni finanziari della riforma (se di riforma si tratterà).
Fra i nuovi ambiti vengono menzionati:

– i Carnevali;
– le rievocazioni storiche;
– la canzone popolare d’autore;
– la musica popolare contemporanea;
– gli spazi (in particolare in comuni sotto i 15.000 abitanti).

Fra i settori cui dare impulso emerge l’enfasi sulla danza, mentre i temi trasversali riguardano l’attenzione ai giovani e alla scuola, il rapporto con il turismo e con il patrimonio, l’internazionalizzazione (che potrebbe collegarsi anche a un’auspicabile riforma degli Istituti Italiani di Cultura, che dipendono dal Ministero degli Esteri). I principi generali suggerirebbero interventi significativi finalizzati alle azioni di riequilibrio territoriale e promozione del pubblico, l’area sociale, e per concludere il lavoro (il welfare e la formazione professionale). Si tratta in molti casi di terreni che comportano interazioni con altri Ministeri (Esteri, Istruzione, Lavoro, e adesso anche l’Agricoltura, dove il nuovo governo ha spostato le competenze relative al Turismo) e soprattutto il confronto con le Regione e gli Enti Locali, con la definizione di accordi che dovrebbero comportare – a monte – una chiarezza mai del tutto raggiunta sulle rispettive competenze.

Il 3% del FUS per il Piano delle Arti
Il Codice dello Spettacolo prevede l’attribuzione annuale del 3% del FUS (circa 10 milioni di euro), al finanziamento del Piano delle Arti, previsto dal decreto legislativo 60/17 sul sostegno alla creatività per ogni ordine di scuola. Devono essere ancora chiarite le modalità con cui verrà gestito questo fondo, se con un trasferimento diretto al MiUR oppure con modalità che lascino la gestione alle realtà del settore spettacolo e quale sarà l’impegno del MiUR nel sostegno ad una azione così complessa. Oltre a una cabina di regia tra MiUR e MiBAC, sarà in ogni caso necessario che il mondo della formazione si interfacci con il mondo produttivo artistico, con gli enti culturali e con il terzo settore.

Le Fondazioni Lirico Sinfoniche
Per quanto riguarda il fabbisogno finanziario, le Fondazioni Lirico Sinfoniche rappresentano un altro nodo problematico. La Legge 175/2017 (art. 2, c. 3) prevede per le FLS che i decreti legislativi devono tenere conto della “revisione dei criteri di ripartizione del contributo statale” anche tramite “scorporo dal FUS delle risorse ad esse assegnate”. Il testo aggiunge che ciò deve avvenire “in coerenza” con quanto previsto dalla normativa vigente in materia di risanamento delle FLS e con i principi di riparto contenuti nel DEF 2016 (dove si parla di un ulteriore impegno di spesa di 10 milioni annui per le FLS per 2017 e 2018 e di 15 milioni annui a partire dal 2019 tramite apposito DM del MiBACT che stabilisce le regole tecniche di ripartizione commisurate per ciascun ente all’ammontare dei contributi privati e territoriali). Il comma aggiunge altri parametri qualificanti.
Tuttavia non è chiaro che cosa s’intenda per “revisione dei criteri di ripartizione”, o almeno quali saranno l’impostazione, l’entità e il set dei criteri. Analogamente poco chiaro è il concetto di “scorporo” dal FUS: potrebbe significare che una quota di risorse finirà in un altro fondo del bilancio dello Stato, a questo punto finalizzato: è ipotizzabile che questo provvedimento riguardi solo le 14 FLS riconosciute, lasciando nel FUS alla voce Musica tutto quanto attiene al resto della lirica e del teatro musicale (Teatri di tradizione, Lirica ordinaria). Nel caso di revisione dei criteri (e a maggior ragione in caso di scorporo) è probabile che le stesse FLS si battano per ottenere una dotazione generosa a loro dedicata. Già oggi le FLS cubano oltre il 53% dell’intero ammontare del Fondo Unico dello Spettacolo, senza contare i contributi speciali per Scala e Santa Cecilia. In questo contesto diventa rilevante il tema del risanamento. Attualmente su 14 FLS ben 9 hanno avuto accesso alle prerogative della Legge 112/2013, che sulla base di un vincolante impegno di risanamento nell’arco triennale consentiva di godere di ulteriori finanziamenti finalizzati all’ammortamento dei debiti: si tratta di una somma assai rilevante, pari a circa 158 milioni extra FUS. La relazione semestrale del Commissario nominato dal MiBACT nota che, seppur con alcuni progressi sulla gestione economico-finanziaria ordinaria, per alcune realtà il risanamento è una strada lunga; la questione appare decisamente strutturale: per alcune FLS vengono sollecitati importanti interventi di ricapitalizzazione a cura dei soci fondatori, e in alcuni casi in territori con problematiche finanziarie significative, come Roma). In questo quadro, viene da chiedersi che cosa potrà accadere alle FLS che non avranno ultimato il risanamento a norma di legge nel periodo previsto. Andranno in liquidazione coatta amministrativa? Ci sarà l’ennesimo salvataggio fuori sacco? Diventeranno qualche altra cosa?
In ogni caso, quando si tratterà di stabile e ripartire la dotazione finale del FUS che dovrà rispondere al nuovo Codice, le FLS continueranno a determinare, direttamente o indirettamente, un forte condizionamento dell’intero sistema dello Spettacolo dal vivo.

I progetti speciali e le azioni di sistema
L’ambito dei progetti speciali e delle “azioni di sistema” è cruciale per il significato politico che riveste. Se questa tipologia intervento segue un disegno, una filosofia progettuale, una programmazione seppure dirigistica, le risorse possono essere rese produttive e dare un preciso indirizzo di politica culturale: per esempio, possono essere funzionali a ri-equlibrare le inevitabili rigidità del sistema dei finanziamenti, a sperimentare, a raggiungere precisi obiettivi. Quando invece la logica dei progetti speciali si riduce alla distribuzione di risorse alternativa alle regole del DM (cioè al di fuori di qualsiasi valutazione soprattutto progettuale e artistica), e quindi su base esclusivamente politico-clientelare, le distorsioni e le contraddizioni risultano evidenti: progetti non all’altezza, duplicazioni del sostegno a soggetti già assistiti in base ad altri articoli, totale sconnessione dal sistema teatrale o musicale, eccetera. Anche l’uso di queste risorse va quindi improntato a linee guida e non può essere totalmente discrezionale.

Per una politica dello spettacolo e della cultura
Il Codice si pone obiettivi assai ambiziosi, anche perché mette in relazione lo spettacolo con altri settori, a vari livelli: formazione, istruzione e ricerca, lavoro, previdenza e politiche sociali, finanze, turismo, esteri… L’articolazione del provvedimento implica anche una diversa relazione con i territori: basti pensare, oltre che alla menzione dei comuni con meno di 15.000 abitanti, agli accenni al teatro amatoriale e al rapporto con il terzo settore.
Questa nuova prospettiva implica una profonda riflessione sul ruolo e sulla funzione del teatro e della danza nell’attuale scenario sociale, culturale e mediatico. Finora il teatro italiano (e le stesse politiche ministeriali, a cominciare dalla gestione del FUS) ha cercato di gestire l’esistente, a partire dalle singole realtà, sia per quanto riguarda gli aspetti quantitativi sia per quanto riguarda la qualità artistica: l’incapacità (o la mancata volontà) di definire le funzioni e gli obiettivi dei diversi soggetti deriva da questa impostazione. Il settore non è mai stato in grado di pensarsi in una ottica di sistema, per cercare di ridurre gli squilibri esistenti e per porsi nell’ottica di un organico sviluppo.
Il Codice dello Spettacolo non presuppone solo una visione organica del settore, ma spinge anche a una maggiore interazione con il “sistema paese”: è una sfida e una straordinaria opportunità di crescita. Vedremo se il settore e il paese saranno in grado di vincerla o se si tratterà dell’ennesima occasione mancata. O peggio, come è accaduto per la recente riforma del FUS.

Appunti per un percorso condiviso verso la riforma del welfare per i lavoratori dello spettacolo
di Associazione Culturale Ateatro

Dal seminario “Il welfare nel settore dello spettacolo dal vivo” sono emersi diversi elementi di convergenza che consentono di individuare un percorso condiviso verso la riforma di questo ambito.

# La grande maggioranza dei relatori, se non tutti, sposano l’indirizzo della legge 175/2017 – il Codice dello Spettacolo – volto a disciplinare il rapporto di lavoro e il welfare dello spettacolo in modo unitario, sistematico e coerente con lo specifico ambito di attività e la flessibilità e l’indipendenza che caratterizzano il settore. A questo indirizzo corrispondono il richiamo di Emanuela Bizi a una visione d’insieme che tenga conto della complessità e dell’eterogeneità di questo settore, le argomentazioni di Maurizio Frittelli, la filosofia di SMart, le richieste di C.Re.S.Co. (tese a coniugare l’autonomia dei lavoratori con le tutele assicurative che il welfare italiano riserva al lavo- ro subordinato) e la volontà dell’INPS, espressa da Ferdinando Montaldi, di conservare, senza indebolirlo, l’obbligo assicurativo già previsto per i lavoratori dello spettacolo, indipendentemente dalla forma del rapporto di lavoro. Si potrebbe dunque elaborare uno statuto specifico per il lavoro e il welfare nello spettacolo, guardando anche alle esperienze di altri paesi europei.

# La compatibilità dei diversi contratti di lavoro previsti dalla legge (accanto al lavoro subordinato, la libera professione e la collaborazione coordinata e continuativa) è stata sostenuta da molti relatori e argomentata da Maurizio Frittelli, che ha sottolineato la coerenza che caso per caso deve esistere tra la forma del contratto e il concreto svolgersi del lavoro. Questa valutazione giuridica non contraddice la denuncia di Emanuela Bizi circa il diffuso utilizzo della partita IVA, frequentemente inappropriato e tuttavia giustificato con ragioni di convenienza economica. L’orientamento prevalente mira dunque a un sistema di uguali tutele sociali per dipendenti, autonomi e parasubordinati.

# Il confronto ha toccato anche un’ulteriore specificità del lavoro nello spettacolo: il dilettantismo diffuso e spesso praticato anche in contesti professionistici. L’osservazione di Maurizio Frittelli circa il costo degli obblighi contributivi sulle prestazioni gratuite e la partecipazione di persone non professioniste agli spettacoli ha incontrato la disponibilità di Ferdinando Montaldi ad approfondire la distinzione tra professionismo e dilettantismo in occasione dell’attuazione del Codice dello Spettacolo.

# Le emergenze riguardanti la garanzia della pensione, soprattutto per i più giovani, e il sostegno economico nei periodi di non occupazione sono stati trattati da tutti i relatori. Si tratta di una preoccupazione ampiamente condivisa. Ferdinando Montaldi ha confermato che il diritto alla pensione è un problema reale all’attenzione dell’INPS, in particolar modo per coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1995. L’INPS ha già formulato alcune ipotesi orientative, in vista dell’attuazione del Codice dello Spettacolo. Nell’anticiparle al seminario, Montaldi ha garantito la completa disponibilità a confrontarsi con tutte le parti interessate. Per ridurre la dispersione contributiva verso il Fondo Gestione Separata dell’INPS, con danno per il lavoro auto- nomo e parasubordinato, Montaldi ha proposto l’inclusione di nuove figure professionali nell’elenco degli assicurati obbligatoriamente al Fondo Pensioni Lavoratori dello Spettacolo.

# A proposito dell’indennità di disoccupazione, un ambito in cui è parso particolarmente significativo il confronto internazionale, Montaldi ha invece evidenziato la flessibilità che la NASpi assicura dal 2015. A questo proposito e riguardo al diritto all’assistenza di malattia e maternità, si è rilevata l’esigenza di una migliore informazione dei lavoratori circa le tutele sociali di cui possono usufruire.
Accanto a queste prospettive è stata condivisa la preoccupante consapevolezza che il lavoro nello spettacolo non sia adeguatamente riconosciuto dall’opinione pubblica: attori, musicisti, registi, eccetera vengono considerati e apprezzati come artisti, ma non vengono ritenuti lavoratori. Sono considerati privilegiati ed economicamente garantiti, anche se le star dai cachet milionari sono pochissime. Sui lavoratori dello spettacolo circolano troppi luoghi comuni privi di fondamento, che attestano la scarsa percezione dell’importanza del lavoro e di questo settore produttivo, e in generale dell’ambito culturale.
Questa diffusa sottovalutazione trova riscontro ed è al contempo alimentata dallo scarso interesse per il settore delle istituzioni pubbliche, del Parla- mento, del Governo.

Le parti interessate – lavoratori e imprese – devono affrontare questa situazione con azioni unitarie per ottenere la necessaria attenzione. A questa constatazione si è unito l’allarme espresso dai rappresentanti di P.L.A.Tea. e di C.Re.S.Co. sulla situazione economica delle imprese – pubbliche e private, grandi e piccole – prive delle risorse per applicare i contratti nazionali di lavoro recentemente firmati con le organizzazioni sindacali.




Tag: Codicedellospettacolo (17), squilibrio territoriale (53)