Il contagio del teatro
La scomparsa di Sisto Dalla Palma
Sisto Dalla Palma, scomparso ieri a 79 anni, è stato, certo, un uomo di potere. E nella prassi sempre ispirata a unidea alta della politica, vista come fattiva e continua ricerca punto dequilibrio e ricomposizione delle fratture e dei conflitti nella società sapeva avvalersi anche delle astuzie democristiane (non a caso aveva avuto responsabilità di rilievo come responsabile culturale della DC).
Ma prima e più che un uomo di potere, è stato un uomo di cultura. Un uomo per il quale la decisione politica senza voler entrare nel campo delle convinzioni personali più profonde era sempre la conseguenza di precise analisi e scelte intellettuali.
Di più. Il Professore (perché tutti lo chiamavao così, anche se per molti aspetti era assai poco accademico) come uomo di cultura non si è limitato allo studio, allaccademia, allastrazione delle idee e delle opere, ma ha voluto sporcarsi le mani, agire nel vivo della società. La cultura contemporanea e in particolare unarte come il teatro, con la sua proiezione e il suo radicamento civile è stata per lui in primo luogo uno strumento di conoscenza, ovvero una sonda nel corpo sociale e nelle sue frammentazioni. Contemporaneamente, attraverso le opere degli artisti, larte e la cultura sono state strumento per lui dazione e di trasformazione della società.
Sapeva, per antica sapienza, che informazione, scienza, ideologia e politica non possono bastare. Sapeva che cè dellaltro, nelle collettività di uomini e donne, e questo altro dobbiamo cercarlo, trovarlo, custodirlo, proteggerlo, farlo crescere… Semmai indirizzandolo, come un cavallo da domare, o meglio come una pianta a cui dare una forma in modo che diventi più facile coglierne i frutti: anche se non sempre lopera del giardiniere-domatore riesce secondo il suo desiderio.
Era fin troppo facile far risalire alle sue radici di cattolico impegnato in politica certe sue chiusure o cautele, e anche la polemica (che quasi fu guerriglia interna), sul Piccolo Teatro (soprattutto quando ne fu vicepresidente, dal 72 a 75), contro quello che per lui era il simbolo di una cultura social-comunista con tentazioni di egemonia; forse in questo cera anche limplicito tentativo di risarcire in qualche modo il suo maestro Mario Apollonio, per quanto accadde allepoca della fondazione del Piccolo.
Dal magistero di Apollonio (di cui ha ereditato la cattedra di storia del teatro allUniversità Cattolica) probabilmente discende anche lintuizione che il coro elemento costitutivo dellevento teatrale può e deve in qualche modo aprirsi al pubblico, fin quasi a confondersi con esso. Per lui e per il Crt (lorganismo teatrale da lui fondato nel 1974, che di fatto costituisce la sua grande opera), più che una intuizione astratta, questa fu unindicazione programmatica: limpulso a superare ogni volta in maniera diversa la barriera che separa la scena e dalla platea, ma anche il confine che divide il teatro dalla società.
Pure la reinvenzione della festa di piazza, con il nuovo carnevale di Venezia che aveva rilanciato tra la fine degli anni Settanta e linizio degli anni Ottanta con la Biennale (di cui era stato segretario generale dal 79 all83), ha profonde radici nella tradizione cattolica (anche se spesso le feste cattoliche avevano cercato di annettere e addomesticare quelle pagane…). La festa rimanda ovviamente alla tradizione popolare, e si proietta sulla città nel senso più vivo del termine: è una forma di interazione insieme rituale e politica, nella quale diventa possibile misura lenergia del corpo sociale ed eventualmente riaccenderla o incanalarla. Il rilancio del Carnevale di Venezia è non a caso quasi contemporaneo a unaltra grande invenzione di guerriglia social-culturale: lEstate Romana di Renato Nicolini. Che poi il carnevale veneziano sia rapidamente degenerato (contro ogni sua intenzione) in un gigantesco reality show di massa, è un altro discorso.
Il teatro dunque non come fine in sé, ma il teatro come mezzo, come attrezzo, e dunque come insieme di tecniche che possono essere utilizzate anche fuori dallaspetto spettacolare, in varie forme di animazione sociale.
Ancora, lattenzione allaspetto rituale del teatro rimanda oltre che alla nascita della tragedia a una attenzione alle origini che in ambito cristiano significa spesso ritorno al Vangelo e al suo messaggio originario (e su questo versante negli anni Sessanta lincontro con Grotowski, con il suo pensiero e con i suoi spettacoli ha radicalmente spostato i termini della questione).
Per lui le avanguardie non erano solo e tanto la punta avanzata del nuovo, lo stendardo del progresso, ovvero lennesima espressione di forme di ingegneria politico-ideologico-culturale che gli avanguardisti del Novecento hanno preteso di imporre agli altri il loro modello. Nella forma del gruppo teatrale, hanno piuttosto rappresentato nel suo impegno uno stato nascente, lorigine di qualcosa che sta per fiorire, energie primordiali e pulsionali (i corpi, ma anche le idee e i sentimenti…) a cui è necessario dare un linguaggio e una forma. Allinterno del corpo sociale, lattività dei gruppi diventa il sintomo di differenze che attraverso il teatro stanno diventando soggetti, e dunque devono essere conosciuti e riconosciuti per essere ricondotti allunità del corpo politico, alla sua dialettica interna, alla politica. Insomma, siamo lontani dallorizzonte nazional-popolare caro alla sinistra tradizionale, così come dal puro consumo di prodotti culturali: ci troviamo di certo molto più vicini allincandescenza dei movimenti giovanili e allemergere dei nuovi media.
Era questa la molla di una curiosità non episodica, di un interesse che ha portato dagli anni Settanta al Crt, sia nel Salone di via Dini sia nel Teatro dellArte sia nella sala di via Poliziano, molti dei più grandi nomi della ricerca internazionale e buona parte della la neo-avanguardia made in Italy (con rapporti di collaborazione più o meno burrascosi e duraturi). E un settore, quello del nuovo teatro, che il Professore ha protetto con ostinazione, da democristiano illuminato, meglio di molta sinistra.
Ma forse i due maestri ai quali si doveva sentire più vicino restano i due grandissimi teatranti polacchi della seconda metà del Novecento: Jerzy Grotowski, già citato, il maestro (anche) del teatro delle fonti; e Tadeusz Kantor, in grado di coniugare avanguardia e memoria, ritualità e comunicazione.
Sempre con la consapevolezza (e lorgoglio) che il teatro non è solo spettacolo, show-(business), ma è anche un oggetto degno di pensiero: un pensiero del corpo e dello sguardo, prima ancora che della parola, un pensiero che dunque si intreccia e interagisce nelle sue forme più alte e necessarie con la filosofia, con la politica, con il sacro.
Dietro alla sua attività cera certamente la volontà di difendere posizioni consolidate, ma cera anche e sopratttto la tentazione del nuovo e il desiderio di conoscere e interpretare il diverso. Chi lo incontrava, era costretto a confrontarsi con un pensiero teatrale (e non solo) statificato e complesso: per far fronte a questa potenza di fuoco culturale era dunque ecessario fare ricorso a tutte le proprie armi culturali (chi ne aveva), ma anche alla pancia, allisinto, alla sensibilità, per resistere e per sormontare lostacolo. Per tutto questo, anche nella polemica e nello scontro, lo scambio era formativo. Obbligava a pensare e a crescere. E magari costringeva a imboccare altri sentieri, lontano da quelli che avrebbe indicato lui. Ma proprio questo è il metodo, spesso doloroso, per trovare a propria identità. Era per questo che ha potuto trasmettere a molti il contagio del teatro.
Oggi, in una stagione più superficiale e cinica, è diventato molto difficile trovare un intellettuale come lui: qualcuno con cui scontrarsi, prima o poi, e però qualcuno a cui, allo stesso tempo e proprio per questo, essere grati.
Per altre info sulla storia del Crt, vedi anche Le regole dell’innovazione. (Quasi) trent’anni di storia del Crt di Milano di Oliviero Ponte di Pino.
Oliviero_Ponte_di_Pino
2011-03-01T00:00:00
Tag: Crt (6), DallaPalmaSIsto (2)
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