Anticipazioni: César Brie e il Teatro de Los Andes
L'introduzione del volume pubblicato da Ubulibri
E da alcune settimane in libreria César Brie e il Teatro de Los Andes, a cura di Fernando Marchiori. Il volume raccoglie, oltre agli scritti di César Brie e del curatore, interventi di Giuliano Scabia, Iben Nagel Rasmussen, Roberto Perinelli, Germán Aráuz Crespo e Antonio Attisani, oltre a numerose illustrazioni. Sono 224 pagine per 19,50 euro, lo pubblica la Ubilibri.
César Brie (Buenos Aires 1954) è arrivato in Italia dallArgentina, a 18 anni, con la Comuna Baires. Nel 1974 è costretto a fuggire dallArgentina dei generali e sceglie Milano, dove si è insediata la Comuna. La lascia lanno dopo: lavora nei centri sociali milanesi e fonda il Collettivo Teatrale Tupac Amaru. Nel 1980, dopo lincontro con lOdin Teatret, si trasferisce in Danimarca: vivrà a Holstebro per nove anni (ma per i primi sei restando fuori dal gruppo e di fatto parteciperà a un solo spettacolo dellOdin, Talabot, 1988), lavorando con il Gruppo Farfa fondato da Iben Nagel Rasmussen: realizzeranno diversi spettacoli, tra cui Matrimonio con Dio (1984), dedicato alla figura di Vaclav Nijinskij, e Il paese di Nod (1986, lanno che segna lo scioglimento del Gruppo Farfa). Alla fine degli anni Ottanta, dopo un breve passaggio in Italia, dove con Naíra Gonzales realizza un insolito Romeo e Giulietta (1991), si stabilisce in Bolivia, a Yotala, vicino a Sucre, dove nel 1991 fonda il Teatro de los Andes, con il quale realizza tra laltro Colón (1992), Solo gli ingenui muoiono damore (1993), Ubu in Bolivia (1994), I sandali del tempo (1995), Iliade (2000).
Per gentile concessione dellautore e delleditore, qui di seguito lintroduzione al volume.
Gli scritti e le immagini qui raccolti presentano al pubblico sempre più vasto che anche in Italia – come in tutta Europa, in America Latina e negli Stati Uniti – segue gli spettacoli del Teatro de los Andes la storia di questa comunità teatrale nata in Bolivia nel 1991 e il percorso artistico del suo fondatore, César Brie. Un percorso che, pur rimanendo fedele alla propria vocazione nomade e ribelle, incrocia questioni e protagonisti dellarte e della cultura contemporanee. Dalla Comuna Baires agli spettacoli realizzati nei centri sociali milanesi nei primi anni dellesilio, dallesperienza dellOdin Teatret di Eugenio Barba e Iben Nagel Rasmussen al sodalizio con Naira Gonzáles, fino alla straordinaria avventura boliviana, il viaggio dellargentino César Brie ha infatti attraversato le vicende, i sogni, le contraddizioni comuni a una generazione del cosiddetto terzo teatro.
Raccontando i suoi spettacoli, nella prima parte del libro, si è dunque fatto anche della biografia laddove ciò è sembrato rivelare qualcosa di quel particolare modo di vivere e di guardare il mondo che è il teatro, coerentemente del resto con un linguaggio teatrale come quello di Brie, spesso universale in quanto autobiografico. La pluralità di voci che ha contribuito alla ricostruzione dichiara non tanto una presunta oggettività storiografica, quanto piuttosto la condivisione di una storia e di una passione.
Nella seconda parte vengono tradotti e raccolti per la prima volta i più importanti scritti teorici di Brie, testi generosi di riflessioni sullattore e sulla messa in scena, di indicazioni pedagogiche, di interrogazioni sullarte e il mestiere teatrali. Teatro povero, il suo, per virtù prima che per necessità; teatro onesto, che si dichiara facendosi e svela il trucco perché vuol essere creduto; trasparente perché rivolto a tutti, a differenti profondità, perché vuol essere capito; politico, prima di tutto nel senso che cerca di cambiare i rapporti al proprio interno, poi perché non dimentica mai che il segreto del teatro non si radica nelle sue forme ma in ciò che alimenta le forme.
La terza parte, infine, alterna saggi critici e testimonianze inedite di alcuni compagni di strada dellattore argentino. Come in tutto il libro, gli sguardi da qui, da unEuropa che deve opporre tutto il proprio disincanto alla fascinazione di unesperienza così radicalmente altra, si incrociano con gli sguardi da lì, da un Sudamerica che rimane una delle periferie più drammaticamente vive dellImpero. E soprattutto dal suo cuore meticcio pulsante: la Bolivia. Come ha scritto Octavio Paz, Larte è irriducibile alla terra, al popolo e al momento che la producono: ciò nonostante è inseparabile da essi. Quella terra, e la sua storia, il Teatro de los Andes le ripercorre a passo duomo, tastando il terreno, usando soltanto las abarcas del tiempo che danno il titolo a un suo spettacolo folgorante: i sandali del tempo che dicono anche il gesto di tenere insieme (abarcar), di contenere, quasi abbracciandolo, questo tempo. Di farlo proprio, di assumerlo.
Ma daltra parte non si deve dimenticare che tale esperienza nasce dallesercizo di unarte apolide, e che Brie ha vissuto la maggior parte della propria vita in un esilio che è diventato scelta esistenziale e intellettuale. Anche per questo César Brie – che sia sullaltipiano andino o in una metropoli europea, in un villaggio della giungla o in un teatro del primo mondo – continua a voler parlare alle persone che ha intorno: oggi, non nella pseudo eternità di unarte effimera. Perciò i suoi lavori testimoniano una ricerca nella quale lattore non perde mai di vista la propria e laltrui umanità, ed elaborano un linguaggio e una pratica teatrali che dialogano con la tradizione novecentesca proprio nel mentre la mettono radicalmente alla prova ad altre latitudini geografiche e mentali, mentre verificano la necessità stessa del teatro nella sua urgenza, nel qui e ora in cui si realizza.
Fernando_Marchiori
2003-09-12T00:00:00
Tag: Cesar Brie (8)
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