Il Codice dello Spettacolo dalla Camera al Senato (poi toccherà al governo fare i Decreti)

Con intervento video dell'On. Roberto Rampi sull'iter della nuova legge

Pubblicato il 19/07/2017 / di / ateatro n. #BP2018 , #BP2018 Codice dello Spettacolo , 162

E’ stata approvato il 29 giugno dal Senato il Disegno di Legge 2287 bis “Disposizioni in materia di spettacolo e deleghe al Governo per il riordino della materia”, relatrice la Senatrice Di Giorgi (PD) (http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLCOMM/1028711/index.html?part=ddlcomm_ddlcomm1-articolato_articolato1-presentazionetaf_presentazionetaf# con il Dossier del Servizio Studi del Senato).
Si tratta del cosiddetto Codice dello spettacolo di cui tanto si è parlato nei mesi scorsi. L’iter si è caratterizzato per l’audizione di innumerevoli organizzazioni da parte della 7a Commissione del Senato (Istruzione pubblica, beni culturali, ricerca scientifica, spettacolo e sport) e per le diverse occasioni pubbliche di confronto. Il risultato quindi era particolarmente atteso.
La discussione ora passa alla Camera e l’Onorevole Roberto Rampi – che è stato fra gli animatori di questo apprezzabile processo di condivisione capillare – ha illustrato alcuni aspetti e i prossimi passaggi tecnici del provvedimento alla Festa Metropolitana dell’Unità di Milano domenica 16 luglio, nell’incontro “Gli spettacoli dal vivo, la nuova legge” (con lui sul palco Paola Bocci, Enzo Mazza, Andrea Minetto, Vincenzo Spera).
A questo punto Rampi si augura e considera possibile un iter abbastanza veloce (ma ancora partecipato, anche in questa fase), che consenta di arrivare entro questa legislatura – quindi con questo Governo – all’approvazione definitiva e all’elaborazione dei decreti esecutivi (se non tutti, almeno il principale: quello che riordinerà la disciplina del FUS).

Il cuore del DDL infatti è la “delega” al governo (questo o i futuri), chiamato a elaborare provvedimenti applicativi su una materia davvero vasta e nel rispetto delle competenze istituzionali: non bisogna dimenticare che il recente referendum del 4 dicembre 2016 ha confermato che le attività culturali sono materia di legislazione concorrente con le Regioni.
Questo aspetto (il tema delle competenze dello Stato, delle Regioni e degli enti locali), la vastità della materia (con il rischio di non individuare priorità) e il nodo delle risorse (il FUS è stato leggermente incrementato, ma caricato di nuovi obiettivi e aree di intervento) sono i punti critici (non irrilevanti) di un provvedimento che è comunque da salutare positivamente, non fosse altro perché atteso da trent’anni.

I PRINCIPI

Allo Stato quindi competono in primo luogo i “principi”, cui è dedicato l’art. 1 del DdL: sono riconducibili alla Costituzione (artt. 3 e 9 in particolare) e potrebbero sembrare ovvi, ma, se la legge andrà in porto, costituiscono un riferimento preciso e articolato, importante per rilanciare la funzione del settore:

La Repubblica promuove e sostiene lo spettacolo, nella pluralità delle sue diverse espressioni, quale fattore indispensabile per lo sviluppo della cultura ed elemento di coesione e di identità nazionale, strumento di diffusione della conoscenza della cultura e dell’arte italiane in Europa e nel mondo, nonché quale componente dell’imprenditoria culturale e creativa e dell’offerta turistica nazionale. (art. 1.1/a)

Si riconoscono inoltre il “valore formativo” (art. 1.1.b) e l’”utilità sociale” (art. 2.1.c) dello spettacolo: sulla base di questo principio le attività di spettacolo potranno essere inquadrate nella nuova disciplina del terzo settore (con implicazioni da approfondire).
Fra i principi (art 1.2), rientrano la promozione e il sostegno alle attività di spettacolo professionali, che prevedano la compresenza di operatori (artistici e tecnici) e pubblico (la legge sceglie di non utilizzare il termine “dal vivo”). A quelle consuete (teatro, lirica, musica, danza, circo e spettacolo viaggiante), si aggiungono quelle “a carattere interdisciplinare e multidisciplinare quali espressioni della pluralità dei linguaggi artistici”, “le attività musicali popolari contemporanee” (che si guadagnano parecchia attenzione anche in altri passaggi della legge), e un nuovo settore, “i carnevali storici e le rievocazioni storiche” (una scelta che lascia perplessi, ma evidentemente i processi partecipati hanno il loro costo).
Sempre in tema di principi, l’art. 2.3 “riconosce altresì”: l’ attività amatoriale, la canzone popolare d’autore, la tradizione dei corpi di ballo, il teatro di figura, “l’apporto degli artisti di strada alla valorizzazione dei contesti urbani e extraurbani” e anche l’attività dei centri di sperimentazione e documentazione. Questo secondo elenco, a una prima impressione potrebbe sembrare la Serie B, ma proseguendo nella lettura si coglie la volontà di nominare tutto – ma proprio tutto – quello che si ritiene meriti riconoscimento ed eventualmente sostegno. Anche l’art. 1.4 (siamo sempre sui principi) sconta lo stesso limite, quando individua gli aspetti (non più le aree operative) cui si orienta l’intervento pubblico e che vanno incentivati. Sono: qualità, pluralità, innovazione, qualificazione delle competenze e “interazione fra lo spettacolo e l’intera filiera culturale, educativa e del turismo”, coinvolgimento dei giovani, teatro per ragazzi, accesso e riequilibrio territoriale. Un comma specifico è dedicato alla funzione dei circuiti regionali, cui si collega anche l’attività delle Residenze, per garantire un’offerta capillare e di qualità che deve collegarsi anche con il sistema scolastico. La diffusione dello spettacolo all’estero andrà sostenuta anche “attraverso gli organismi preposti alla promozione” (non meglio identificati) e promuoverà in particolare le coproduzioni e le produzioni di giovani artisti. L’elenco prosegue con: la trasmissione dei saperi, il ricambio, la conservazione del patrimonio e degli antichi mestieri, l’iniziativa volta a reperire risorse non pubbliche, l’attività in luoghi di interesse culturale, infine la collaborazione fra Stato e enti locali per individuazione, concessione, trasferimento di immobili pubblici da destinare ad attività di spettacolo.
In merito alla necessità di razionalizzare e individuare priorità in questo elenco (e nei diversi passaggi della legge che tornano su argomenti affini), l’On. Rampi nell’incontro del 16 luglio ha sottolineato il ruolo che potrebbero svolgere gli ”ordini del giorno” che accompagneranno la Legge: ovvero le possibili raccomandazioni al Governo (ritoccare il testo potrebbe essere rischioso e bloccarne l’iter).

LE DELEGHE AL GOVERNO: I PRINCIPI

La palla passa infatti al Governo all’art. 2, che prevede la delega ad adottare, entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge,

uno o più decreti legislativi per il coordinamento e il riordino delle disposizioni legislative e di quelle regolamentari che disciplinano l’attività, l’organizzazione e la gestione delle fondazioni lirico-sinfoniche nonché per la riforma, la revisione, e il riassetto della disciplina dei diversi settori del teatro, della musica, della danza, degli spettacoli viaggianti, delle attività circensi, dei carnevali storici e delle rievocazioni storiche, mediante la redazione di un testo unico normativo denominato “codice dello spettacolo”. (dalla SCHEDA della Commissione che illustra in sintesi il DDL 2287 BIS).

Per chiarezza: il “Codice dello spettacolo” non è quindi la legge che si sta analizzando, ma il Decreto per la revisione della disciplina in vigore, che dovrà essere emanato dal Governo e che dovrà conferire al settore (a tutti gli ambiti attuali, oltre alla musica contemporanea, ai carnevali e alle rievocazioni storiche)

un assetto più efficace, organico e conforme ai principi di semplificazione delle procedure amministrative e ottimizzazione della spesa e volto a migliorare la qualità artistico-culturale delle attività incentivandone la produzione, l’innovazione nonché la fruizione da parte della collettività (Art. 2.1).

IL RAPPORTO STATO/REGIONI

I diversi decreti (inevitabilmente e auspicabilmente più d’uno), dovranno inoltre:

– adeguarsi agli artt. 117 e 118 della Costituzione “anche alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale intervenuta nelle materie oggetto di delega” (art. 2.2.a);
– razionalizzare gli interventi dello Stato cui restano le competenze relative alla gestione del FUS e alla determinazione dei Criteri per la assegnazione e erogazione di contributi “con decreti non aventi natura regolamentare (…) previa intesa con la Conferenza unificata” (art. 2.2.b.2);
– armonizzare “gli interventi dello Stato con quello degli enti pubblici territoriali anche attraverso lo strumento dell’accordo di programma” (art. 2.2.b.3).

Le indicazioni sembrano un po’ elusive (soprattutto dopo il referendum del 4 dicembre 2016), ma si appoggiano al Parere della Commissione Parlamentare per le Questioni Regionali (allegato al Ddl). La Commissione riassume la materia e le interpretazioni conclusive di una querelle pluriennale:

La «tutela dei beni culturali» è affidata alla competenza esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione), mentre la «valorizzazione dei beni culturali» e la «promozione e organizzazione di attività culturali» è attribuita alla competenza concorrente tra Stato e Regioni (art. 117, terzo comma, della Costituzione) (…) La Corte costituzionale, inoltre, con riferimento ad ambiti diversi (…) ha ribadito un orientamento, delineato già precedentemente alla riforma costituzionale del 2001, secondo il quale lo sviluppo della cultura corrisponde a finalità di interesse generale «il cui perseguimento fa capo alla Repubblica in tutte le sue articolazioni (art. 9 della Costituzione), anche al di là del riparto di competenze fra Stato e Regioni» (…). La Corte costituzionale ha anche riconosciuto, con riferimento agli interventi normativi in tale ambito, che «la dimensione unitaria dell’interesse pubblico perseguito, nonché il riconoscimento della “missione” di tutela dei valori costituzionalmente protetti dello sviluppo della cultura e della salvaguardia del patrimonio storico e artistico italiano, confermano, sul versante operativo, che le attività svolte dalle fondazioni lirico-sinfoniche sono riferibili allo Stato ed impongono, dunque, che sia il legislatore statale, legittimato dalla lettera g) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione, a ridisegnarne il quadro ordinamentale e l’impianto organizzativo.

Questo per le Fondazioni Lirico Sinfoniche. Invece il riordino della disciplina relativa a teatro, prosa, musica, danza, spettacoli viaggianti e circensi, incide su ambiti attribuiti alla competenza legislativa concorrente. Si tratta di

promozione e organizzazione di attività culturali, in ordine alla quale la Corte costituzionale richiede che siano apprestati «opportuni strumenti di collaborazione con le autonomie territoriali (sentenza n. 255 del 2004), in ossequio al principio di leale collaborazione.

La Commissione per le Questioni Regionali raccomanda quindi il rispetto del principio di leale collaborazione ed esprime parere favorevole a due condizioni:

– che sia previsto che la delega legislativa in materia di codice dello spettacolo sia esercitata previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni;
– che sia introdotta una disposizione che precisi che le disposizioni del disegno di legge siano applicabili nelle Regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione.

A questa seconda raccomandazione è dedicato l’ultimo articolo, il 6, la “Clausola di salvaguardia”.
Con questo parere il DdL si tutela sul piano formale, ma rinuncia a indicare gli ambiti e le modalità (se pure nel rispetto delle autonomie) dell’intervento regionale. E’ un limite piuttosto grave, se si considera che una delle contraddizioni più clamorose dello spettacolo in Italia è proprio la disparità di intervento dei diversi sistemi territoriali (e gli accordi di programma non sono uno strumento sufficiente e adeguato per promuovere condizioni eque, se non di pari opportunità, su tutto il territorio nazionale).

LE DELEGHE AL GOVERNO E IL FUS

Nel merito delle deleghe, l’art. 2 non sfugge – di nuovo – al rischio dell’elenco e alla tentazione di inserire temi molto specifici, e in ordine sparso, accanto a quelli più sostanziali (Il DdL risente evidentemente della stratificazione e della discussione).
I contenuti riguardano: il sostegno a musicisti emergenti con obblighi di trasmissione nelle piattaforme televisive, la promozione delle giovani generazioni mediante nuove tecnologie, le pratiche formative in contesti disagiati, il credito agevolato, la trasparenza, la fruizione da parte di persone con disabilità, il ruolo dell’associazionismo.
Il riparto del FUS dovrà basarsi sull’adozione di regole tecniche secondo il metodo di valutazione comparativa (quello adottato dal decreto 1° luglio 2014), ma con un’attenzione particolare alla qualità (si prevede la destinazione di una quota crescente dei finanziamenti in base alla qualità della produzione). Anche gli ambiti sono gli stessi di quel decreto (inclusi under 35), naturalmente con l’aggiunta dei Carnevali e delle Rievocazioni storiche. Andranno definite “le categorie tipologiche” dei soggetti ammessi ai finanziamenti e si prevedono programmi pluriennali, da precisare annualmente.
Nel quadro della ripartizione (art. 2.4.e), si prevede anche

l’attivazione di piani straordinari di durata pluriennale per la ristrutturazione e l’aggiornamento tecnologico di spazi stabilmente destinati allo spettacolo con particolare riferimento a quelli ubicati nei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti

(nessun accenno alle periferie questa volta!), oltre ad “azioni di riequilibrio territoriale e diffusione, anche tramite la realizzazione di specifici progetti di promozione”, e interventi a favore della musica popolare contemporanea:

In tema di revisione della Legge 800 si segnala l’estensione delle misure di sostegno alle attività musicali popolari contemporanee, quali componenti fondamentali del patrimonio culturale, artistico, sociale ed economico del Paese, nonché quali elementi di coesione sociale e di aggregazione e strumento centrale per lo sviluppo dell’offerta turistico-culturale. (dalla scheda già citata)

L’interesse per questo settore è tale che un comma ad hoc viene dedicato alla definizione delle figure professionali che lo organizzano. Il sostegno riguarda anche la tradizione popolare musicale italiana.
Inoltre, per favorire l’avvicinamento dei giovani alle attività di spettacolo si destina

almeno il 3% della dotazione del FUS per la promozione di programmi di educazione nei settori dello spettacolo nelle scuole di ogni ordine e grado in coerenza con l’art. 1, comma 7, lettere c e f della legge 13 luglio 2015, n. 107. (art.2.2.i)

Che la legge 107 non fosse finanziata probabilmente gli operatori lo avevano colto, che dovesse essere finanziata dal FUS però non era previsto.
Questo è un aspetto determinante: tutti questi nuovi ambiti sono a carico del FUS.
Dall’elenco emergono alcune indicazioni che non comportano costi, ma sono rilevanti.
In particolare per la danza si prevede una disciplina rigorosa per il riconoscimento delle scuole, vigilanza sulle professionalità, percorsi certificati: se ne parla da anni, ma che sia giusto o meno, le economie della danza si basano in gran parte sulla formazione e questa scelta potrebbe avere un impatto rilevante sul settore.
Fra le deleghe al Governo (che coinvolgeranno probabilmente diversi ministeri) rientra anche la semplificazione delle autorizzazioni e degli adempimenti burocratici relativi allo svolgimento di attività di pubblico spettacolo, inclusa l’autorizzazione di pubblica sicurezza.

IL LAVORO

IL DDL delega inoltre il governo a intervenire anche sul tema del lavoro, nello specifico sul

riordino e introduzione di norme che, in armonia e coerenza con le disposizioni generali in materia, disciplinino in modo sistematico e unitario, con le opportune differenziazioni correlate allo specifico ambito di attività, il rapporto di lavoro nel settore dello spettacolo, nel rispetto, quanto agli aspetti retributivi, dell’articolo 36 della Costituzione e dell’articolo 2099 del codice civile, tenuto conto anche del carattere intermittente delle prestazioni lavorative con riferimento alle specificità contrattuali e alle tutele sociali, anche previdenziali e assicurative (art. 2.2.l).

L’argomento è complesso e non riguarderà certo solo il MiBACT, ma anche il Ministero del Lavoro, l’INPS (con un intero welfare da reinventare), oltre alle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, impegnati in faticosi rinnovi dei CCNL. La prescrizione quindi è apprezzabile se riuscirà a stimolare una discussione complessiva sulla materia.

LE FONDAZIONI LIRICO SINFONICHE

Rispetto alle Fondazioni Lirico Sinfoniche

il provvedimento tiene conto degli interventi legislativi adottati d’urgenza a giugno del 2016. Il criterio direttivo specifico riferito alle fondazioni lirico-sinfoniche indirizza il Governo affinché provveda alla revisione della disciplina relativa alla ripartizione del contributo statale. Nello specifico, si prevede lo scorporo dal Fondo unico per lo spettacolo delle risorse destinate alle fondazioni e il riordino dei criteri di finanziamento in coerenza. Il quadro si completa con le disposizioni finali che spostano al 31 dicembre 2019 il termine per consentire alle fondazioni di adeguarsi ai nuovi parametri organizzativi e gestionali creando i presupposti per una riforma organica che, rispetto agli interventi d’urgenza del passato, da una parte interessi tutte le fondazioni – non solo quelle in crisi – e dall’altra cerchi di favorire il concorso per il sostegno di tutti i soggetti (Stato, regioni enti locali finanziatori privati). (dalla nota citata)

In concreto significa che gli incrementi del FUS previsti negli articoli successi non riguarderanno le FLS che d’ora in avanti (riordinate per l’ennesima volta) seguono un percorso indipendente rispetto agli altri settori dello spettacolo (questo non vuol dire naturalmente che non potranno vedere incrementati i contributi ordinari o reperire risorse ovunque possibile).

L’ITER DEI DECRETI

Il punto 5 dell’art. 2 (dedicato alle deleghe al Governo) entra nel merito delle procedure per l’approvazione dei decreti. In sintesi:

– sono adottati su proposta del MiBACT
– sentito il Consiglio superiore dello Spettacolo (di cui al prossimo art. 3)
di concerto con i Ministri interessati
– previa acquisizione dell’intesa in sede di Conferenza unificata (che dovrebbe richiedere 30 giorni, ma la legge non lo precisa)
– e del parere del Consiglio di Stato (massimo 35 giorni)
– dopo di che sono trasmessi alle Commissioni parlamentari per parere.

IL CONSIGLIO SUPERIORE DELLO SPETTACOLO

All’art. 3 il DDL prevede l’istituzione del Consiglio superiore dello spettacolo presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
Si tratta di un organismo consultivo del Ministro, con funzioni propositive e di valutazione degli effetti degli interventi di sostegno finanziario. Formula proposte, esprime pareri, organizza consultazioni, emana linee guida (compiti descritti in modo molto dettagliato). E’ composto da 11 personalità nominate dal Ministro, tre su indicazione della conferenza unificata, 4 su indicazione delle associazioni di categoria “maggiormente rappresentative”; i suoi membri non ricevono gettoni di presenza. Sulla funzione effettiva di questi organismi le perplessità sono legittime: l’articolo occupa tre pagine del DdL, ma il Consiglio, sede di dialogo con gli operatori nelle intenzioni dei legislatori, non sembra che nella sostanza possa operare con più efficacia rispetto alla Consulta dello Spettacolo che dovrà sostituire (vedi Mimma Gallina, La Consulta dello Spettacolo e qualche considerazione di contorno, ateatro.it, 10 gennaio 2017).

LE RISORSE

Alla dotazione del FUS è dedicato l’articolo 4.

La proposta di legge stabilisce che per ciascuno degli anni 2018 e 2019 la dotazione del Fondo unico per lo spettacolo sia incrementata di 9.500.000 euro e, a decorrere dall’anno 2020, sia incrementata di 22.500.000 euro. Inoltre, vista la situazione delle zone e delle popolazioni interessate degli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016, conferma per il 2018 le misure già previste solo per il 2017 dal decreto-legge n. 244 del 2016 (Proroga e definizione di termini) a favore di attività culturali nei territori delle Regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria interessate dagli eventi sismici suddetti. (dalla scheda citata)

Il FUS 2018 e 2019, calcolato FLS comprese ed escluso il cinema, ammonterebbe quindi a 343.216.256. Sono 333.716.256 nel 2017 (dal sito Mibact, Decreto di riparto marzo 2017). In merito l’AGIS ha emanato il 29 giugno una eloquente dichiarazione del Presidente Fontana:

L’aumento delle risorse del FUS, seppur di proporzioni inferiori alle attese, indica una inversione di tendenza rispetto a tanti anni caratterizzati da riduzione della contribuzione pubblica. Le risorse, previste anche per il 2018, in favore dello spettacolo dal vivo nei territori che hanno subito eventi sismici sono un altro segnale importante (…) Tutto ciò, però, si è scontrato con la carenza di risorse che la Commissione bilancio, come di consueto, non ha mancato di sottolineare. Confidiamo che nel prosieguo dell’iter o, eventualmente, durante i lavori della legge di stabilità, si possa trovare il modo di reperire maggiori risorse per una completa riforma del sistema.

Confidare è sempre possibile. Offre qualche speranza anche l’art. 2.6:

Dal decreto o dai decreti legislativi di cui al comma 1 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. In conformità all’art. 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, qualora uno o più decreti legislativi determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al proprio interno, i medesimi decreti legislativi sono emanati solo successivamente o contestualmente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.

Non sembra impossibile che su obiettivi specifici, in rapporto a decreti specifici, si potranno reperire finanziamenti dedicati (non lo esclude lo stesso Rampi).

I BENEFICI FISCALI

L’art. 5 prevede l’estensione dell’Art-Bonus, ossia il credito di imposta per favorire le erogazioni liberali a favore della cultura, a tutti i settori dello spettacolo, e non solo alle FLS come nella norma in vigore. I soggetti elencati sono: ICO, Teatri nazionali, Tric, festival, imprese (si suppone qualunque tipo di impresa), centri, circuiti (praticamente tutti). Le agevolazioni fiscali in sé non garantiscono risorse, la cultura del sostegno privato in Italia non ha ancora attecchito e i progetti vanno promossi, dai diretti interessati e dal MiBACT (con criteri di trasparenza): ma è comunque una sfida e un passo avanti.

CONCLUSIONE

Se non sono più possibili cambiamenti sostanziali, ci si augura che le criticità individuate siano affrontate nei diversi decreti, che si articoli la materia in blocchi tematici coerenti, che possano orientare altrettanti decreti e favorire il reperimento di risorse. Senza ulteriori adeguate risorse, infatti, gli obiettivi più rilevanti di questo DdL non saranno attuabili.

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