Perché Dell’Utri ha querelato Dario Fo: l’articolo di Marco Travaglio sull'”Unità”

Le battute dell'Anomalo bicefalo che l'Anomalo Bibliofilo vorrebbe far tagliare al Premio Nobel

Pubblicato il 25/01/2004 / di / ateatro n. 063

Venerdì sera, dopo la querela con sostanziosa richiesta di danni (da far salire ulteriormente nel caso di trasmissione televisiva) presentata dal Senatore Marcello Dell’Utri, Planet tv ha mandato in onda L’anomalo bicefalo senza audio: una soluzione inedita, evidentemente Fo non ha ancora avuto tempo di tradurre il suo testo in grammelot…
Lo spettacolo prosegue la sua fortunata tournée nei teatri italiani. Su ateatro sono disponibili, oltre alla recensione dello spettacolo, molti altri materiali, sia nella webzine sia nei forum.
Ma che cosa contesta il Senatore (e pluripregiudicato) Marcello Dell’Utri a Dario Fo? Marco Travaglio ha esaminato la querela presentata contro l’autore e ha discusso i punti controversi in un lungo articolo pubblicato lo scorso 16 gennaio sull'”Unità”. Lo ripubblichiamo per gentile concessione dell’autore e del quotidiano.

L’ANOMALO BIBLIOFILO
di Marco Travaglio

Marcello Dell’Utri, noto pregiudicato nonché senatore della Repubblica Italiana, parlamentare europeo e soprattutto bibliofilo, non ha gradito L’anomalo bicefalo di Dario Fo e Franca Rame. E ha chiesto loro 1 milione di euro, 2 miliardi di lire. La sua ritrovata fiducia nei giudici (purché non processino lui) è una notizia incoraggiante. In questo caso, però, “si vede costretto a ricorrere” al Tribunale di Milano: lo stesso che lo processa da anni per vari reati. A quel tribunale chiede non solo di sanzionare la “condotta illecita” dei denunciati. Non solo di alleggerirli di quel bel gruzzolo di euro per risarcirlo degli irreparabili “danni morali al proprio onore, alla propria dignità personale e alla propria immagine pubblica”. Ma anche di imporre a un Premio Nobel e a una grande attrice di tagliare la commedia là dove non piace a lui. Là dove i due manigoldi hanno osato addirittura accostarlo – in vari teatri e financo su un canale satellitare – ad ambienti mafiosi. E, già che c’erano, hanno avuto pure l’ardire di “attaccare politicamente il Presidente del Consiglio dei Ministri On.le Berlusconi tramite una gratuita denigrazione della sua persona, delle sue vicende familiari, del suo Partito e degli esponenti di quest’ultimo che siedono in Parlamento”. Per la gioia dei giudici, che magari non avevano visto lo spettacolo, i legali di Dell’’Utri riportano ampi stralci del copione. Quelli, a loro avviso, “diffamatori”.

Dario Fo nell’Anomalo bicefalo(foto di Paolo Ruffini).

I RAPPORTI CON LA MAFIA Franca Rame, nei panni di Veronica Lario, domanda al marito bicefalo e smemorato: “Davvero non hai mai avuto rapporti con la mafia, nemmeno attraverso Dell’Utri, inquisito tuttora per mafia?”. Queste cose – argomenta Dell’Utri – non si possono dire, perché c’è un processo in corso e chi ne parla entra “in patente contraddizione con la presunzione d’innocenza sancita a livello costituzionale”. Sarebbe come dire che, visto che Tanzi non è stato ancora condannato (e nemmeno rinviato a giudizio, se è per questo, a differenza di Dell’Utri) e c’è la presunzione d’innocenza, non si può dire che Tanzi è inquisito. I giornali dovrebbero dunque tacere sull’inchiesta Parmalat per qualche lustro, fino a sentenza definitiva.
I CAVALLI NELL’HOTEL
Poi ci sono le telefonate di Mangano che deve consegnare a un mafioso dei cavalli in un albergo di Milano. Già Paolo Borsellino si era molto divertito, nella sua ultima intervista a due giornalisti francesi. Disse di non aver mai visto consegnare cavalli in albergo (“semmai, al galoppatoio…”). E ricordò che, quando parlava di “cavalli”, Mangano alludeva a partite di droga. Purtroppo Mangano parlava di cavalli anche con Dell’Utri, in una celebre telefonata intercettata nel 1980. Dell’Utri giura che, proprio quella volta, i cavalli erano proprio quadrupedi di razza equina. I pm di Palermo sono di tutt’altro avviso. Ma in ogni caso, a quella telefonata con Dell’Utri, Dario e Franca non fanno alcun accenno: parlano di una conversazione immaginaria fra Mangano e un certo “don Vincenzo” per la consegna di “mezzo cavallo”, visto che un cavallo intero nell’ascensore dell’albergo non ci entra. Ma Dell’Utri si autoidentifica ugualmente in don Vincenzo e afferma che, siccome la sua telefonata con Mangano ha avuto grande notorietà, è come se i due attori parlassero di quella.
LO STALLIERE MANGANO
Poi c’è la questione se nel 1973 Dell’Utri, quando lo ingaggiò come stalliere-fattore nella villa di Arcore, sapesse che Mangano era già allora un fior di delinquente con qualche arresto sul groppone e vari precedenti per truffa, assegni a vuoto, estorsione e così via. L’Anomalo Bibliofilo giura di no. I magistrati di Palermo giurano di sì, come peraltro i carabinieri di Arcore dell’epoca. I quali, il 30 dicembre 1974, scrivevano in un rapporto investigativo: “Dell’Utri, anch’esso originario di Palermo, ha lasciato l’impiego di banca per seguire Berlusconi. E, una volta qui (ad Arcore, ndr), ha chiamato il Mangano, pur essendo perfettamente a conoscenza – è risultato dalle informazioni giunte dal nucleo di Palermo – del suo poco corretto passato”.
IL RICICLAGGIO
Altra frase incriminata della commedia, la più incriminata di tutte: “Dell’Utri – dice Dario-Silvio – non mi piace… fa collezione di libri antichi e quando sono sporchi li ricicla”. Franca-Veronica lo zittisce: “Non far confusione… a parte che per il riciclaggio è stato assolto… Stai attento Dario, che ti becchi una querela”. Causa civile per danni, per la precisione. Accostare Dell’Utri alla parola “riciclaggio” costituisce – secondo l’Anomalo Bibliofilo – un colpo mortale “alla fama di collezionista e alla reputazione del cittadino e del politico”. Che sarebbe sempre lui (e il collezionista viene prima del cittadino e del politico). Ora, a parte il fatto che si tratta di una battuta satirica, e che subito dopo la Rame precisa che “per il riciclaggio Dell’Utri è stato assolto”, il senatore dimentica (o finge di dimenticare) di essere ancora imputato a Palermo per varie ipotesi di riciclaggio, nel processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Nel lungo capo d’imputazione per cui il Gip l’ha rinviato a giudizio e i giudici del Tribunale lo stanno processando da sei anni, almeno tre punti (su 56 accuse contestate) riguardano proprio quella presunta attività. Punto 9: “Nello stesso periodo (1973-1974, quando Mangano è ospite di casa Berlusconi, ndr) Dell’Utri si occupa del riciclaggio a Milano di capitali provenienti da Giuseppe Calò (il famigerato boss “Pippo” Calò, ndr), Salvatore Riina, Ugo Martello e Pippo Bono”.
Punto 22: “Ancora in questo periodo (il 1980, l’anno della telefonata con Mangano, ndr), il Dell’Utri e il Mangano si occupano insieme del reinvestimento di denaro sporco, nell’interesse della mafia siciliana, anche all’estero. E sempre in quegli anni il Dell’Utri viene interessato dal massone Giacomo Vitale, cognato di Stefano Bontate, per intervenire sul finanziere Enrico Cuccia in favore del banchiere massone e riciclatore di soldi della mafia Michele Sindona”.
Punto 27: “… Proprio a metà degli anni ’80 nasce il rapporto tra il Riina e il Dell’Utri… Il Riina è interessato al Dell’Utri per… la vicinanza di Berlusconi a Craxi… [e perché] spera che il dirigente d’azienda (Publitalia-Fininvest, ndr) Dell’Utri possa aiutarlo a reinvestire il denaro”.
Per queste accuse, Dell’Utri non è stato ancora giudicato. Ma ciò non vuol dire che non esistano, o siano cadute: il processo è in corso, anche su quelle basi.
I RAPPORTI CON SALVATORE RIINA
Infine l’Anomalo Bibliofilo lamenta la “grave e gratuita insinuazione e allusione a presunti rapporti dell’On.le Berlusconi con la mafia tramite il Dell’Utri”. Grave sicuramente. Gratuita un po’ meno, visto quello che scrive non un pentito, non una toga rossa, ma la Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, nella sentenza che il 23 giugno 2001 ha condannato 37 boss mafiosi per la strage di Capaci. In quella sentenza c’è un capitolo intitolato esplicitamente “I contatti tra Salvatre Riina e gli on. Dell’Utri e Berlusconi”. Vi si legge che è provato che la mafia intrecciò con i due “un rapporto fruttuoso quantomeno sotto il profilo economico”: talmente fruttuoso che nel 1992 “il progetto politico di Cosa Nostra sul versante istituzionale mirava a realizzare nuovi equilibri e nuove alleanze con nuovi referenti della politica e dell’economia”. Cioè a “indurre nella trattativa lo Stato ovvero a consentire un ricambio politico che, attraverso nuovi rapporti, assicurasse come nel passato le complicità di cui Cosa Nostra aveva beneficiato”. Perché Dell’Utri non chiede i danni alla Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta, che ha così gravemente denigrato la sua fama di cittadino, di politico e soprattutto di bibliofilo?
I DANNI MORALI
Deciderà il Tribunale di Milano se i “danni morali” lamentati da Dell’Utri siano reali o immaginari. Ma prima dovrà stabilire a che punto siano attualmente il suo “onore, dignità personale e immagine pubblica”. A occhio e croce, si direbbe che siano piuttosto bassini. Non tanto per L’anomalo bicefalo. Quanto piuttosto per un arresto e una condanna definitiva rimediati a Torino per false fatture e frode fiscale; tre processi a Milano per falso in bilancio, bancarotta fraudolenta ed estorsione aggravata; due processi a Palermo, per concorso esterno in associazione mafiosa e calunnia aggravata ai danni di alcuni pentiti; e un processo in Spagna, per i presunti falsi in bilancio di Telecinco. Un pedigree giudiziario che mette a dura prova la reputazione del cittadino e del politico. Ma soprattutto la fama del bibliofilo.

Marco_Travaglio

2004-01-25T00:00:00




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