SÌ o NO? Il referendum del 4 dicembre e lo spettacolo
Cosa cambia per il teatro se vince il SÌ/NO
La riforma della Costituzione attualmente al vaglio referendario riconduce allo Stato le competenze precedentemente “concorrenti”. Cosa significa per lo spettacolo?
Sia dal punto di vista legislativo sia da quello dell’azione concreta, la precisazione delle funzioni dello Stato e di quelle delle Regioni nell’ambito dello spettacolo non ha mai trovato un assetto convincente. Fin dalla nascita delle Regioni il pendolo ha oscillato tra tendenze centraliste e spinte federaliste.
Siamo chiamati a decidere per referendum anche su questa materia, e per capirne di più può essere utile riassumere le puntate precedenti.
RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI
(1970/1998)
Le Regioni italiane a statuto ordinario entrano in funzione nel 1970. Fra le materie che possono formare oggetto di attività legislativa regionale (articolo 117 della Costituzione), lo spettacolo non risulta. La legge 382/1975 “Norme sull’ordinamento regionale”, con il decreto di attuazione (DPR 616/77), precisa che le Regioni possono legiferare sulle “attività di promozione educativa e culturale attinenti precipuamente alla comunità regionale”. L’articolo 49 del decreto dispone che “le funzioni delle Regioni e degli enti locali in ordine alle attività di prosa, musicali e cinematografiche siano riordinate con leggi di settore da emanarsi entro il 31 dicembre 1979”. E’ la prima di una serie di scadenze che lo Stato dà a se stesso e che poi non rispetta (la successiva, e più nota, è quella prevista dalla legge “madre” istitutiva del FUS, 163/85, che non partorirà mai le previste leggi “figlie”).
L’avvio delle Regioni però è caratterizzato da creatività e da un clima che si potrebbe definire sperimentale. Le Regioni sono solo relativamente frenate dal DPR 616: il concetto di “promozione educativa e culturale” poteva essere interpretato in molti modi, ciascuna regione individua il proprio:e è negli anni in cui non è ben chiaro come e se possono operare le Regioni che si pongono le basi della legislazione regionale in materia di spettacolo.
Almeno fino alla fine del secolo scorso, le Regioni sono molto popolari fra gli italiani (inclusi i teatranti, che hanno contribuito al loro progressivo impegno nello spettacolo). Il 18 aprile 1993 i cittadini sono chiamati per referendum a decidere delle sorti del Ministero del Turismo e dello Spettacolo: decidono a grande maggioranza di abrogarlo (assieme ad altri dicasteri, come quello dell’Agricoltura).
Qualcuno fra i lettori meno giovani ricorderà l’inquietudine delle settimane successive negli ambienti teatrali. La fede regionalista restava tale finché Stato e Regioni si affiancavano. L’ipotesi che al Ministero (con cui il teatro ha sempre collaborato attivamente, dal dopoguerra e anche prima) subentrino le Regioni (ancora poco preparate sulla materia e tutte diverse per storia, gestione politica, legislazione) preoccupa non poco. A maggior ragione molti teatranti ritenevano e ritengono che l’attività del settore sia nazionale, difficilmente riconducibile a un solo territorio (e prevalentemente di giro). Ma la preoccupazione dura poco, e presto si tira un sospiro di sollievo.
Il 4 agosto 1993 viene emanato un primo D. Lgs. recante “riordino delle funzioni in materia di turismo, di spettacolo e di sport” (sarà reiterato per ben 11 volte). Qualche mese dopo (marzo 1994) le attribuzioni vengono trasferite alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e si istituisce il Dipartimento dello spettacolo (che opera né più né meno come il disciolto Ministero).
E’ del 30 maggio 1995 la legge n. 2003 che converte il Decreto (che non poteva più essere reiterato) e prevede la delega al governo a emanare entro un anno nuovi decreti per regolare il trasferimento alle Regioni la competenza in materia di spettacolo, in attesa di leggi quadro di comparto (non verranno mai emanate).
La palla torna al Governo (o forse resta al Governo, ma questa volta legittimamente), con la legge 59/97 (la famosa legge Bassanini), “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni e agli Enti Locali per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa”: l’articolo 156 individua i compiti di rilievo nazionale in materia di spettacolo.
Si arriva così all’istituzione, il 20 ottobre 1998, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, cui compete anche lo spettacolo e presso cui opera (ovvero si sposta) la Direzione Generale per lo spettacolo dal vivo: il Servizio I, Attività liriche e musicali; e il Servizio II, Attività teatrali.
LA LEGGE COSTITUZIONALE DEL 2001
(Tre anni dopo)
Il tema delle competenze Stato/Regioni in tutti i settori resta un terreno costante di discussione sulla scena politica italiana: Così si arriva alla Legge Costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, “Modifiche al Titolo V della parte II della Costituzione”, che all’art. 3 (che riforma l’art. 117) recita: “Sono materia di legislazione concorrente (…) la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e la promozione e organizzazione di attività culturali. (…) Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. (…) La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salvo delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia”.
Si prefigura una trasformazione rilevante per il settore, fervono le discussioni se lo spettacolo sia parte o meno delle attività culturali, ma non si dettano i principi fondamentali e non vengono emanate norme attuative. In compenso il 18 febbraio 2003 il D. Lgs. n. 24 “Disposizioni urgenti in materia di contributi a favore dell’attività di spettacolo” (convertito in legge n.82/2003: il primo dell’era Rocca-Nastasi) scatena un piccolo putiferio. Si tratta a tutti gli effetti di un “regolamento”, almeno secondo la Regione Toscana che presenta un ricorso di legittimità presso la Corte Costituzionale.
La sentenza della Corte è importante da molti punti di vista: sancisce che lo spettacolo rientra nell’attività culturale (quindi è materia di potestà legislativa concorrente), ma rigetta il ricorso perché annullare il regolamento comporterebbe il sacrificio dei valori protetti dagli articoli 3 e 9 della Costituzione (è la prima volta che si dichiara così autorevolmente che lo spettacolo va sostenuto con contributi e non assegnarli sarebbe lesivo dei valori costituzionali). Infine richiama la necessità di una nuova disciplina legislativa che definisca i principi fondamentali e passi “da una legislazione che regola procedure accentrate a forme di gestione amministrativa imperniate sulle Regioni” (sentenze della Corte Costituzionale n.255 e 256 del 21/7/2004).
Avrebbe dovuto e potuto essere la premessa per un riordino dei rapporti istituzionali, ma questo non è accaduto. Saltiamo parecchi passaggi (e le infinite discussioni sui progetti di legge). In sostanza lo Stato sembra proprio non voler cedere lo scettro sullo spettacolo e continua a emanare decreti, con la premessa che non si tratterebbe di regolamenti. Ma lo fa acquisendo l’intesa della Conferenza Unificata Stato/Regioni. Quanto alle Regioni, sembra si siano rassegnate a cedere al MiBAC (con la T finale dal 2014) la titolarità delle politiche per lo spettacolo: nessuno parla più di ripartire il FUS sul territorio (quello delle risorse è sempre stato il punto forse più delicato) e i contrasti sembrano ripianarsi sul terreno concreto: con crescenti collaborazioni, patti, azioni comuni anche significative, che passano anche attraverso l’ETI (fino a quando esiste, cioè fino al 2010) e che ritroviamo nel DM 1 luglio 2014 con le Azioni di sistema e le Residenze.
VERSO IL REFERENDUM
(15 anni dopo)
L’applicazione del Decreto 1° luglio 2014 e la successiva discussione, ma anche il dibattito innescato dai numerosi ricorsi al TAR del Lazio, hanno risollevato problemi sopiti.
La sentenza del TAR del Lazio del 26 giugno 2016 (poi sospesa dal Consiglio di Stato) ha in sostanza accolto le osservazioni dei ricorrenti Teatro Elfo-Puccini di Milano e Fondazione Teatro Due di Parma, che sostengono – fra l’altro – la radicale illegittimità del Decreto, che configurerebbe una “violazione dell’art. 117 della Costituzione, che attribuisce alla competenza concorrente delle Regioni la materia della promozione delle attività culturali (con la connessa potestà regolamentare esclusiva)”.
E’ una considerazione addirittura ovvia, e può stupire molti, che non siano state le Regioni a sollevare il problema.
Ma come hanno esercitato – le Regioni – le proprie competenze? Ciascuna Regione ha di fatto attuato le proprie scelte e le proprie politiche senza linee guida (quelle che avrebbe dovuto dettare lo Stato), e senza forme di coordinamento efficaci. Questo ha contribuito al diverso sviluppo di alcuni territori rispetto ad altri. Il percorso “Le Buone Pratiche del Teatro oltre il Decreto” ha documentato quanto diverse siano le opportunità, oggi, per una compagnia, un teatro, un circuito, in Lombardia, in Toscana, in Veneto, in Calabria, in Friuli, o in Sicilia.
L’applicazione del Decreto ha inoltre evidenziato un dilemma nelle politiche degli enti locali e territoriali: devono ricalcare le scelte fatte a livello nazionale o devono scegliere la complementarietà e riequilibrare, anche in un’ottica di differenziazione delle funzioni?
E’ nel mezzo di queste contraddizioni che arriva al referendum.
Se vince il SÌ Si torna alla situazione precedente la riforma costituzionale del 2001: il Titolo V, art. 117 della Costituzione prevede che lo Stato abbia “legislazione esclusiva nelle seguenti materie: (…) s) tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; ambiente ed ecosistema; ordinamento sportivo; disposizioni generali e comuni sulle attività culturali e sul turismo”. Tuttavia “spetta alle Regioni la potestà legislativa (…) in materia di disciplina, per quanto di interesse regionale, delle attività culturali, della promozione dei beni ambientali, culturali e paesaggistici, di valorizzazione e organizzazione regionale del turismo.” Nel caso prevalga il “Sì” al referendum, quindi, lo Stato si riprenderà (o forse si potrebbe dire che manterrà, ma con maggiore legittimità), le competenze sullo spettacolo, ma sarà necessario fare chiarezza su cosa si intenda per “interesse regionale”, l’ambito in cui sono chiamate a legiferare e intervenire le Regioni. |
Se vince il NO Le Regioni mantengono (o forse sarebbe più corretto dire che dovranno alla fine assumersi, volenti o nolenti) la potestà regolamentare che già avevano. Tuttavia compete allo Stato individuare i principi fondamentali previsti dalla riforma costituzionale del 2001 (principi che non son mai stati precisati). |
|
Artisti per il SÌ (hanno firmato l’appello che potete leggere qui) Accorsi Stefano, Archinto Rosellina, Asti Adriana, Baresani Camilla, Barone Piero, Boschetto Ignazio, Ginoble Gianluca (Il Volo), Battistelli Giorgio, Betta Marco, Bises Stefano, Bocelli Andrea, Bolle Roberto, Boeri Stefano, Boni Alessio, Boni Chiara, Brizzi Fausto, Caselli Caterina, Capotondi Cristiana, Cima Francesca, Comencini Cristina, Contarello Umberto, Corsi Tilde, Cotroneo Ivan, Dante Emma, De Luigi Fabio, Dettori Giancarlo, Favino Pierfrancesco, Ferrara Giorgio, Ferrari Isabella, Ferretti Dante, Ferri Ozzola Sandra, Ferri Sandro, Fiorello Beppe, Genovese Paolo, Ghini Massimo, Fracci Carla, Giaccio Paolo, Giuliano Nicola, Gianani Mario, Izzo Simona, Manfridi Giuseppe, Mauri Glauco, Maccarinelli Piero, Mazzoni Roberta, Mehta Zubin, Mieli Lorenzo, Milano Riccardo, Minaccioni Paola, Mozzoni Crespi Giulia Maria, Natoli Salvatore, Nesi Edoardo, Neumann Andres, Nogara Anna, Nuti Franca, Occhipinti Andrea, Orlando Silvio, Ozpetek Ferzan, Pende Stella, Placido Michele, Preziosi Alessandro, Pugliese Armando, Ranieri Luisa, Recalcati Massimo, Salvatores Gabriele, Sandrelli Stefania, Savignano Luciana, Scaparro Maurizio, Scarpati Giulio, Sessa Roberto, Sforza Orsina, Shammah Andree, Soldati Giovanni, Sorrentino Paolo, Tamaro Susanna, Tardelli Marco, Tedeschi Luciano, Tognazzi Ricki, Tozzi Riccardo, Veaute Monique, Veronesi Giovanni, Villoresi Pamela, Vincenti Federica, Virgilio Luciano, Vitta Zelmann Massimo, Virzì Paolo, Volli Ugo, Zingaretti Luca. |
Artisti per il NO (non è stato finora lanciato alcun appello per il No) Camilleri Andrea, Celentano Rosita, Faenza Roberto, Ferilli Sabrina, Ficarra e Picone, Giorgia, Guerritore Monica, Gullotta Leo, Guzzanti Sabina, J-Ax, Mannoia Fiorella, Maselli Citto, Ovadia Moni, Oxa Anna, Parietti Alba, Pelù Piero, Poggi Daniela, Rossi Paolo, Santamaria Claudio, Servillo Toni. |
Artisti che FORSE
Fiorello Beppe (“Non dico nulla, io, in queste discussioni, non mi ci infilo che faccio la fine di Benigni. Io voto “forse” perché se mi schiero mi lapidate”), Magris Claudio, Moretti Nanni (Del referendum non le chiediamo nulla. “Tanto non risponderei”), Rossi Vasco (“La propaganda politica stia alla larga dalle mie canzoni”).
In entrambi i casi, sia che vinca il “Sì”, sia che vinca il “No”, quello che vivremo il 4 dicembre è un passaggio cruciale per il futuro del sistema nazionale e dei sistemi territoriali. Offrirà l’occasione per varare (finalmente!!!) politiche serie per lo spettacolo. Il “Codice dello spettacolo” di cui si parla sarà dunque assai diverso, a seconda dell’esito del referendum del 4 dicembre, ma in entrambi i casi è necessario.
In ogni caso, per riprendere l’espressione usata da Obama dopo l’elezione di Donald Trump, anche il 5 dicembre sorgerà il sole.
Questo articolo riprende informazioni e ragionamenti sviluppati anche in Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino, Oltre il decreto. Buone pratiche fra teatro e politica, FrancoAngeli, Milano, 2016.
Vedi anche:
Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino Le Buone Pratiche del Teatro, Franco Angeli, Milano, 2014;
per approfondimenti Mimma Gallina, Ri-organizzare teatro, Franco Angeli, Milano, 2016;
Silvio di Lascio, Silvia Ortolani Istituzioni di diritto e legislazione dello spettacolo, Franco Angeli, Milano, 2010.
Tag: #BP2016 (69), il rapporto Stato-Regioni (36)
Scrivi un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.