Appunti per una mappatura del videoteatro

Con qualche annotazione sul bando di Concorso Italia 2006 di TTV

Pubblicato il 29/04/2006 / di and / ateatro n. 098

Il nuovo bando per il Concorso Italia e la selezione 2006

ateatro ha pubblicato tra le news sia il bando del Concorso Italia 2006 sia i nomi dei 10 fortunati selezionati dalla pre-giuria (oltre naturalmente al programma di questa edizione).
Come ricorderanno i lettori più attenti, nel 2004, in occasione della precedente edizione di TTV, la manifestazione si era conclusa con una vivace polemica. La giuria del concorso (una giuria tecnica formata dal videomaker Giacomo Verde, dalla studiosa di media Sandra Lischi, da Ciro Giorgini di Blob e da Gioia Costa) aveva diffuso un comunicato assai duro contro le discutibili scelte della commissione selezionatrice, decidendo poi – in maniera abbastanza clamorosa – di non assegnare alcun premio.
Sia la webzine sia il forum avevano ospitato un vivace dibattito che è tuttora in corso. Si ipotizzò addirittura il “ripescaggio” di alcuni video bocciati in vista di una programmazione ad hoc per Fuori orario. Nonostante la proposta fosse stata avanzata da Ciro Giorgini, purtroppo non se ne è fatto nulla. Un’occasione sprecata.
Nel presentare la nuova edizione 2006, la direzione del TTV sottolineava di aver previsto una modifica al regolamento come richiesto dalla giuria del 2004 (e come sollecitato anche da precedenti giurie, come quella del 2002 composta tra gli altri da Paolo Rosa e Franco Quadri). Tuttavia l’unica modifica di qualche peso, come è lampante a una prima lettura del regolamento, è aver sancito in maniera esplicita che il Concorso Italia è dedicato esclusivamente ai video autoprodotti.
A noi pare che questa modifica rischi di non essere d’aiuto nel risolvere i gravi problemi del Concorso Italia, e in genere del TTV, e che rischi anzi di risultare fuorviante rispetto alla complessità della tematica relativa ai media digitali a teatro (in scena o come opere autonome).
Riteniamo anacronistico mantenere in vigore nella sostanza un regolamento vecchio e superato, che trascura colpevolmente gli aspetti più attuali del versante multimediale del teatro: l’innovazione, le nuove modalità di produzione e i nuovi formati (dal live cinema allo streaming video). Quel regolamento non rispecchia più l’attuale situazione del settore né coglie il senso della sua evoluzione.
Temiamo dunque che modifiche marginali del regolamento non possano risolvere i problemi in cui il TTV si dibatte (e di cui al TTV si è dibattuto). Riteniamo che la formula del festival possa (anzi, debba) essere profondamente messa in discussione.
Quelli che seguono sono alcuni appunti che cercano di dare un contributo costruttivo al TTV e a manifestazioni analoghe, già esistenti o in corso di progettazione, e sono il frutto di una riflessione teorica condotta negli ultimi mesi.

Autoproduzioni?

In un sistema che funziona sempre più attraverso co-produzioni articolate e allargate a vari enti, qualunque definizione di autoproduzione (tranne nel caso lampante di produzioni Rai) appare vaga e discutibile, oltre che facilmente aggirabile.
Non è un caso che la giuria di preselezione per questa edizione abbia scelto tra gli altri due videodocumentari (su Ascanio Celestini e su Marco Baliani) che dalle schede a disposizione su internet risulterebbero in realtà ampiamente sostenuti da strutture private (nazionali e internazionali), con sovvenzioni anche da enti e istituzioni pubbliche e canali televisivi: Comune di Roma, National Geographic Channel, Fandango Film, Media Programme della U.E. Ovviamente va verificato se per produzione si intende esclusivamente il sovvenzionamento attraverso fondi, ma questo già mette in crisi appunto la clausola di cui sopra. La critica non è ovviamente diretta al lavoro su Celestini o su Baliani, ma sorge un lecito dubbio sulla legittimità della loro presenza al concorso. Inoltre, date le maglie troppo larghe del regolamento, i criteri generali per la pre-selezione appaiono (e non da oggi) piuttosto vaghi e misteriosi.

Il nuovo che avanza

Lo scenario – non solo nel settore dei videoteatro, come sappiamo – sta cambiando con grande rapidità, grazie alla capillare diffusione di tecnologie digitali avanzate a costi sempre minori, sia per quanto riguarda l’hardware sia per quanto riguarda il software: solo per fare un esempio, sono ormai moltissimi gli studenti e i giovanissimi che hanno familiarità con la computer graphics o usano programmi e applicativi per la modellazione tridimensionale e l’animazione, tecnologie fino a poco tempo fa accessibili solo a grandi studios cinematografici e televisivi. Oggi un progetto teatrale si incrocia con una molteplicità di altri media, avanza lentamente attraverso numerosi step e il video non è più necessariamente, come una volta, il format decisivo per una eventuale promozione o documentazione né l’ultimo anello della catena produttiva.

La progettualità

Infine, e questo ci pare l’aspetto più importante, puntare su una discriminante sostanzialmente economica – perché il problema che il criterio dell’autoproduzione cerca di affrontare è la differenza di budget tra le opere in concorso – elude i reali problemi del settore: non premia la qualità, né la professionalità e la tecnica, e trascura il dato non secondario della progettualità complessiva.
Il concorso TTV contempla – detto per inciso – un Premio di Produzione (per produrre una nuova opera da presentare l’edizione successiva, ovvero dopo due anni) che per differenziarsi dal Premio del Concorso Italia dovrebbe a logica privilegiare non tanto un’opera finita ma un’idea, un progetto in corso a opera di autori e gruppi magari emergenti che possono presentare le linee guida e le modalità di realizzazione dell’opera attraverso frammenti esemplificativi nelle vesti tecnologiche più diverse. Invece sostanzialmente i criteri di premiazione sono identici.
La promozione di realtà nuove inoltre è inesistente da questa edizione, come dimostra ampiamente anche il lotto dei video del Concorso 2006.
In ogni caso, l’aspetto più lampante riguarda l’inadeguatezza del Festival TTV nel rapporto con l’innovazione linguistica del teatro proprio grazie alle nuove tecnologie, nella prospettiva indicata da De Kerchove di una resa metaforica della complessità del tecnomondo o, come ricorda Marcel.lì Antunez, quale veicolo di “idee”.

Alcuni punti di riferimento

Il punto di partenza per una seria riflessione anche in relazione a un festival che si vuol dare una veste internazionale come il TTV sono senz’altro le esperienze dirette di spettatori e studiosi, le pubblicazioni e le ricerche in corso sull’argomento e su tematiche tangenti.
Vale la pena ricordare quelle ormai storiche e a più riprese citate e recensite da ateatro: dal volume di Balzola-Prono La nuova scena elettronica a quello di Balzola-Monteverdi sulle Arti multimediali, da quelli curati da Béatrice Picon Vallin ai saggi di Savarese-Borelli, di Infante e di Laura Gemini; è significativo sottolineare che di recente autorevoli riviste ben radicate nei filoni antropologici o sociologici del teatro dedicano speciali proprio alle tecnologie in scena:
– Steve Dixon per “The Drama Review” di Richard Schechner parla di Marcel.lì Antunez e Stelarc nel saggio Metal Performance;
– il “Performing Arts Journal” di Bonnie Marranca si dedica al Time-Image di William Kentridge;
– il “Journal of Computer-Mediated Communication” dedica un numero speciale a Play and Performance in a Computer-Mediated Communication;
– Gabriella Giannachi e Nick Kaye parlano dei progetti di ricerca sulla (tele)presenza riferita alla performance.

Tre postulati

Il nostro contributo ha tre presupposti.
In primo luogo, la centralità dello spettacolo dal vivo: questo postulato riflette la storia stessa del TTV e l’identità che caratterizza la manifestazione di Riccione rispetto ai numerosi festival di arte digitale e di videoarte in Italia e all’estero (da questo punto di vista, non ci pare sufficiente che gli artisti in concorso abbiano un curriculum artistico con esperienze teatrali: secondo noi è necessario che l’opera in questione abbia un evidente legame con attività di spettacolo dal vivo o a esso fortemente intrecciato).
In secondo luogo, riteniamo che non si possa prevedere quello che accadrà in futuro in un ambito in costante evoluzione: tecnologie e linguaggi sono cambiati in questi anni con velocità sorprendente, e probabilmente cambieranno ancora, man mano che ci approprieremo delle nuove tecnologie e padroneggeremo le loro potenzialità.
Infine, abbiamo la consapevolezza che il videoteatro non è affatto un settore omogeneo, ma che vive di una pluralità di esperienze e di approcci. Questa ricchezza è un patrimonio ancora da conoscere, studiare e valorizzare. All’interno di questa forma di comunicazione ed espressione (o, se si preferisce, all’interno di questo genere artistico) per certi aspetti magmatica riteniamo tuttavia possibile discriminare alcuni filoni e approcci.

Nell’ambito del videoteatro abbiamo dunque identificato alcuni format.
Per format Aldo Grasso, nella sua Enciclopedia della televisione (Garzanti, Milano, 2002, s.v.), intende uno “schema originale e compiuto di un programma comprendente elementi sia contenutistici (tematica, genere, scopo, ecc) sia strutturali (articolazione delle sue fasi sequenziali e/o narrative, apparato scenico, personaggi fissi ecc.), già rodato attraverso un’emissione televisiva”. Per A. Brogi e C. Cilli (Motion cross, http://www.xlab.it) i format sono “moduli che dimostrano come un unico contenuto possa essere, nei suoi aspetti contemporaneamente sintattici e semantici, una esperienza unica ma differenziabile a seconda del media per il quale è progettato”. La prima definizione privilegia gli aspetti contenutistici e strutturali, la seconda quella che possiamo definire transmedialità o intermedialità. Senza voler entrare nel merito, nel nostro uso del termine cerchiamo di tener conto di queste diverse valenze, che peraltro riflettono la ricchezza e la complessità della materia.
I format da noi identificati recuperano e aggiornano la fondamentale distinzione teorizzata da Andrea Balzola a cui rimandiamo (La nuova scena elettronica). Alcuni risulteranno immediatamente riconoscibili, altri sono volutamente più aperti e hanno confini meno definiti (a volte possono anche sovrapporsi: spetterà eventualmente all’autore l’inserimento della propria opera in una categoria o in un’altra). Ovviamente un video utilizzato in scena nel corso di uno spettacolo teatrale non ha lo stesso valore e significato del video che documenta (o interpreta) quello spettacolo, e non può avere la stessa griglia di lettura e la stessa interpretazione. La discriminante è data dall’analisi del contenuto e della forma dell’opera.

I format del videoteatro

1. il videoteatro vero e proprio, ovvero qualunque ripresa video di uno spettacolo o di un testo teatrale. E’ il format più antico e consolidato. In teoria, questo format comprende le reinvenzioni o riscritture artistiche e d’autore da spettacoli o le videocreazioni autonome ispirate a una drammaturgia/testo/autore.

2. il documentario teatrale, ovvero il video o il filmato che documenta un’esperienza in vario modo legata al teatro. Può essere un documentario dedicato a uno spettacolo, a una compagnia, a un teatro, a un laboratorio; può essere un omaggio, una biografica d’autore, d’attore, di un movimento, di un festival, di architetture teatrali storiche, eccetera. Rientrano in questo format i backstage, ma anche le opere che ricostruiscono le fasi degli interventi del teatro nel sociale, per esempio esperienze di teatro carcere o presso gli anziani. Anche questo genere è nato praticamente con la televisione e ha ormai una storia lunga, gloriosa e assai articolata. Rientrano nella categoria anche i cosiddetti Videodocumentari di creazione (su quest’ultimo tema vedi Sandra Lischi, Il linguaggio del video, Carocci, 2005). 3.
Al TTV di quest’anno non sono in programma né il geniale film-documentario di e su Marcel.lì Antunez Roca (El Dibuixant) né il ricco documentario presentato pochi mesi fa alla Berlinale sull’opera teatrale di Robert Wilson (Absolute Wilson), così come non è presente il film della Mnouchkine prodotto da Arté su uno dei suoi capolavori teatrali, Le dernier caravansérail. Si tratta di tre artisti di fama mondiale che hanno variamente sperimentato sia tecnologie in scena sia la riscrittura filmica dei loro spettacoli (tematiche dunque centrali per una manifestazione come TTV).

3. i promo e i clip: a caratterizzare questo format è la durata. Il genere si è affermato a partire dagli anni Ottanta, da un lato riprendendo analoghe esperienze in campo musicale, dall’altro sfruttando le maggiori possibilità d’accesso alle nuove tecnologie. Anche in questo caso, rientrano nel format i clip d’autore. 4.

Questa classificazione copre, secondo noi in maniera adeguata, il territorio interessato dal videoteatro fino all’inizio degli anni Novanta e all’avvento di internet.
La diffusione di nuovi supporti – cd-rom, internet, dvd, eccetera – ha però aperto la possibilità di creazione di nuovi format. Vista la tendenziale convergenza delle diverse piattaforme in un unico codice digitale, ci sembra inutile discriminare tra i diversi supporti.

4. piattaforme ipermediali: si tratta del filone che privilegia l’integrazione tra diversi media ed è indipendente dalla piattaforma che lo supporta. Rientrano dunque in questa categoria computer-mediated projects, oggetti mediali, siti internet, network e piattaforme web; blog; crossmedial projects: ipertesti drammaturgici open source, digital story telling. 5.

I format finora elencati trascurano però un aspetto centrale del rapporto tra teatro e video, ovvero – più in generale – l’utilizzo delle nuove tecnologie sulla scena, le performance teatrali che usano le tecnologie informatiche. Si tratta di un nuovo teatro virtuale che tra l’altro negli ultimi tempi sta vivendo una nuova fioritura grazie alla maggior facilità d’uso e ampia diffusione di interfacce per l’animazione e la grafica 3D Real Time, sistemi di Motion capture, interfacce aptiche e tecnologie blue o green screen sperimentando diversi livelli di interattività instaurabili con lo spettatore. Pensiamo anche ai progetti di teatro virtuale concepiti per e con la rete (streaming video-theatre, teatro chat, live performance on line, dal Desktop Theatre, al APT di Birringen)..
Sull’argomento vedi tra l’altro:
Theatrical Performance in the World Wide Web di Gabriele Pfeiffer pubblicato sulla rivista “Trans”;
– il saggio dedicato al progetto Hamnet in Internet Relais Chat.
Possiamo raccogliere queste esperienze, certo molto differenziate, in un altro filone di sperimentazione tecnica e linguistica.

5. spettacoli dal vivo con uso di nuove tecnologie: si va da una soluzione basica, l’uso del video in scena, che appare ormai arcaica, fin troppo “facile”, diffusa e invadente, a varie forme di telepresenza, dal già citato impatto dell’animazione e della grafica 3D real time e dei sistemi di motion capture ad ambienti virtuali immersivi e interattivi fruibile tramiti connessione web, alle performance con console wireless che interagiscono direttamente e visibilmente con il landscape sonoro e visivo della rappresentazione in atto.
Si può recuperare l’utile distinzione di Franck Bauchard sui due tipi di interfacce che aprono la riflessione sul fronte del teatro interattivo:
Nel primo tipo di interfacce, il dispositivo materiale e il software serve da mediatore fra il computer e delle unità periferiche (camere, strumenti tradizionali e virtuali…). Ci si orienta allora verso la costituzione di vere e proprie regie digitali, che combinano molteplici fonti sonori e visive: immagini video in presa diretta, elaborazione digitale dell’immagine in tempo reale, immagine prese su Internet, immagini d’archivio, voci off preregistrate, elementi musicali prodotti e trasformati in diretta…Questa regia digitale può essere controllata da tecnici, o più raramente dagli interpreti, il che comporta necessariamente che gli interpreti integrino ancor più nella recitazione le loro interazioni con le interfacce.
Il secondo tipo di ricerca sulle interfacce, più frequente in ambito coreografico che in ambito teatrale, è incentrato sulla creazione di oggetti o di “esseri” digitali interattivi a partire dalla captazione di movimenti degli interpreti. L’interfaccia si pone allora fra due sistemi di natura diversa, fra i quali il computer svolge delle operazioni di traduzione. Le interazioni fra il reale e il virtuale determinano allora lo svolgimento della rappresentazione e la costruzione dell’azione scenica.
Questi cinque format coprono secondo noi l’intero settore del videoteatro così come si è sedimentato (e come si è storicizzato), e come si presenta oggi. Al contempo offrono una prima griglia di orientamento in un settore produttivo sfaccettato, in continua e rapida evoluzione, purtroppo scarsamente esplorato e studiato, soprattutto in Italia. La colpa di questa arretratezza e scarsa conoscenza collettiva della ricerca tecnologica più attuale in ambito teatrale va attribuita proprio allo scarso aggiornamento dei festival che continuano a proporre i soliti noti del “Quartiere Italia” e a guardare con sospetto – se non addirittura a osteggiare fermamente – le performance tecnologiche. Se il TTV ha un compito, dovrebbe essere quello di offrire una sorta di “finestra sul mondo del tecnoteatro”, sensibilizzare pubblico e istituzioni, orientare la programmazione dei festival, promuovere il genere nelle sue varie articolazioni, attività a cui il TTV in verità è sempre stato ben poco incline.
Più in generale l’Italia festivaliera non ha mai ospitato, per fare degli esempi significativi, il francese Jean François Peyret, i giapponesi Dumb Type, gli statunitensi Critical Art Ensemble e solo da pochi anni grazie a Polverigi e a RomaEuropa abbiamo avuto l’onore di vedere anche da noi il Big Art Group o William Kentridge (ai quali significativamente il TTV non ha mai dedicato alcuno spazio, così come non ha mai proposto una riflessione organica sul percorso di Robert Lepage). Ma anche alcuni tra gli italiani “più famosi” che si occupano di tecnologia a teatro vengono quasi del tutto oscurati in patria: Studio Azzurro, Paolo Atzori e Roberto Paci Dalò svolgono ormai la loro attività performativa quasi esclusivamente all’estero…
A cosa sono sensibili i direttori dei festival italiani? Alla carta stampata, alla moda, alle celebrazioni dei centenari, al “fenomeno” della stagione creato a tavolino? E all’estero? Quasi tutti i festival o spazi di ospitalità anche multimediale prevedono dei Call for proposal, da Fresnoy in Francia al festival di live arts “New Territories” di Glasgow, a “News Forms” in Arizona.
Crediamo che ci siano tutti presupposti affinché si apra un dibattito serio e costruttivo sulla produzione tecnoteatrale italiana e internazionale, individuando eventualmente nuovi luoghi e nuove realtà che possano ospitare un confronto continuo e proficuo.

Anna_Maria_Monteverdi_e_Oliviero_Ponte_di_Pino

2006-04-29T00:00:00




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