#Expo2015 grattacieli cultura teatro. Un’occasione mancata?
Dove sono le idee e dove sono i soldi
Questo testo è stato pubblicato su ‘Stratagemmi‘, 29.
Lo ha detto persino il Presidente Napolitano: “Credo che l’Expo sarà un Evento speciale, l’Italia mostrerà al mondo il meglio di se stessa. L’Italia si farà soggetto proponente di tematiche e soluzioni di interesse mondiale”, ha dichiarato il 12 novembre 2014.
Ma cosa implica un impegno del genere dal punto di vista culturale? Non si tratta ovviamente di fare pubblicità al made in Italy e all’Italia (anche se ce ne sarebbe bisogno, visto che il nostro paese scivola inevitabilmente all’indietro pure nelle classifiche relative al turismo). Si tratterebbe piuttosto di riflettere sul ruolo del nostro paese e di Milano, cercando di capire quale è e quale può essere la nostra identità, partendo dal ricco patrimonio che abbiamo ereditato dal passato e dalle opportunità del presente, per offrire un’immagine credibile dell’Italia, per darle un ruolo nello scenario globale, dal punto di vista politico, economico e – appunto – culturale.
Expo 2015 sarebbe stata un’ottima occasione per riflette sul declino italiano e sul possibile rilancio della nazione. L’iniziativa avrebbe potuto e dovuto partire proprio dall’ex capitale morale, da sempre motore delle modernizzazioni del paese.
Il passato prossimo di Milano non è così glorioso. Tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento, poco prima che scoppiasse Tangentopoli, il passaggio dalla fabbrica al terziario ha svuotato la “Milano da bere”, che è passata da 1,8 milioni a poco più di 1,3 milioni di abitanti. Mezzo milione di persone, sospinte verso “la Grande Milano”. Da allora, malgrado una robusta (ed evidentissima) immigrazione dall’Est e dal Sud del mondo, la popolazione della città è rimasta stabile.
Nell’autunno 2008 (mentre l’Expo di Shanghai 2010 iniziava la sua riflessione sul tema Better city, better life), l’assessore allo Sviluppo del Territorio del Comune, Carlo Masseroli, annunciava che entro il 2015 la popolazione della città sarebbe risalita fino a 2 milioni di abitanti (mentre gli esperti parlavano di 1,4 milioni di milanesi nel 2020). Il sindaco Letizia Moratti, che ha usato Expo 2015 per accendere l’orgasmo urbanistico, rassicurava: «Non ci saranno colate di cemento, la città si sta sviluppando in maniera molto armoniosa, con forte attenzione alla qualità della vita, al verde e all’ambiente».
Nel novembre 2009, il sindaco Moratti spiegava in Consiglio Comunale che Milano “nel 2006 ha vinto il premio Transparency International per l’impegno contro la corruzione negli appalti. A Cannes, abbiamo vinto il Daily Real Estate Public, il premio all’eccellenza nella gestione immobiliare per la Pubblica Amministrazione. Nel maggio 2008 il Comune di Milano si è aggiudicato una menzione speciale al premio Best Practice Patrimoni 2008 per la gestione e la valorizzazione dei patrimoni immobiliari, urbani e territoriali di proprietà o di interesse pubblico”.
Tanti premi, ma una profezia maldestra. L’emorragia prosegue ancor oggi: nel 2013 Milano ha perso altri 12.500 abitanti, malgrado il crollo del prezzo degli immobili, con un 14% di appartamenti sfitti nell’autunno 2014.
I costruttori dei nuovi quartieri di Porta Nuova, CityLife e Portello non si sono certo fermati. E adesso non possono abbassare i prezzi, perché palazzine e grattacieli sono stati dati in garanzia agli istituti di credito che hanno finanziato l’impresa, e se crollano salta tutto il sistema bancario italiano. Meglio lasciarli sfitti o invenduti, in attesa che scoppi la bolla. E’ una storia che Milano conosce già, viste le disavventure di Ligresti e delle sue torri e di Zunino a Santa Giulia.
Il fulcro del poker immobiliare era proprio l’area dove sta sorgendo Expo. Il 26 novembre 2014 l’asta che doveva assegnare i terreni di Rho-Pero alla fine della manifestazione è andata deserta: nessun privato ne vuole sapere. La “piattaforma” di cemento resta in carico alla collettività, che dovrà “smaltire” l’ingombrante residuo. “Ci mettiamo il nuovo stadio?” “No, la cittadella delle start up!” Già cominciano a spartirsi le nuove torte del post Expo…
Per gli ideatori una speculazione urbanistica così ambiziosa e irrealistica, qualunque progetto culturale doveva apparire una distrazione irrilevante o molesta. E’ bastato spendere la firma di qualche archistar come Liebeskind o Zarah Hadid. L’importante era vincere la gara a chi alzava il più alto grattacielo padano, per superare i 127 metri del Pirellone di Giò Ponti. Il Formigone della Regione Lombardia? Il Pirillo dell’Unicredit? Il Dritto di Isozaki a CityLife, con i suoi 220 metri!
Sotto l’ispido skyline di vetrocemento, il progetto cultural-spettacolare di Expo 2015 è rimasto asfittico, prigioniero di un curioso paradosso. Là dove ci sono – o ci dovrebbero essere – le idee, non ci sono soldi. Là dove ci sono i soldi, non ci sono idee.
Expo in Città, iniziativa del Comune di Milano, raccoglie e rilancia la progettualità culturale della metropoli, coinvolgendo teatri, compagnie, orchestre, bande e gruppi musicali, editori, gallerie d’arte, librerie e biblioteche, scuole e università, associazioni, fondazioni, enti e istituti vari. Ma non ha le risorse per finanziare alcun progetto. Così ha ideato un palinsesto, accostando un tema a ciascuno dei sei mesi di Expo, e associando a ciascun tema/mese una notissima icona milanese, dall’Ultima cena di Leonardo alla Pietà Rondanini di Michelangelo (acquistata nel 1952 dal crowdfunding della cittadinanza), dal Quarto stato di Pellizza da Volpedo al taglio di Lucio Fontana.
Il Comune ha affidato coordinamento e organizzazione al Piccolo Teatro e si è assunto il compito di comunicare un’offerta ricchissima (almeno dal punto di vista quantitativo) ai visitatori italiani e stranieri.
Il presupposto è che l’offerta della città sia quella di una grande capitale culturale, e che dunque la sua “attività ordinaria” è sufficiente per soddisfare il pubblico di una grande kermesse internazionale. Del resto, a Milano operano le eccellenze del “made in Italy”: i teatri grandi e piccoli, il Nobel Dario Fo, i grandi gruppi editoriali, e poi ci sono le università e la moda e il design e la pubblicità…
Expo spa i denari li ha, ma non è interessata alle cosiddette “eccellenze milanesi”. Per quattro mesi su sei (tanto dura Expo), da giugno a settembre, il grande teatro da 12.000 posti è stato affidato in esclusiva al Cirque du Soleil, per un cachet di oltre 8 milioni di euro. Anche chi non sa nulla di cultura e di spettacolo conosce la troupe canadese, una multinazionale dello show business che si esibisce in tutto il mondo e passa spesso in televisione. E’ la scelta ideale per qualunque ufficio marketing: un brand noto e affidabile, un prodotto garantito che basta “customizzare” e “localizzare” per mostrare quanto è bella l’Italia, mettendoci dentro magari il Duomo, la gondola e il Colosseo, la pizza e lo spaghetto. Anche il titolo è una garanzia: Allavita! ricorda successi mondiali come La dolce vita o La vita è bella, Volare! o Mamma mia!, Otto e mezzo, Vacanze romane, Cinquecento, Vespa, Eataly…
Questa decisione implica che i brand italiani dello spettacolo e della cultura non siano all’altezza della sfida di Expo. Siamo noti nel mondo, oltre che per il Piccolo e la Scala, per la Commedia dell’Arte, per registi da Oscar come Salvatores, Benigni, Tornatore o Sorrentino. In campo teatrale operano artisti riconosciuti in tutto il mondo come Romeo Castellucci, Pippo Delbono, Emma Dante, i Motus… Per l’ufficio marketing di Expo spa tutto questo non ha alcun valore. Evidentemente le cosiddette “eccellenze italiane” non sono così eccellenti. Noi italiani siamo i primi a pensare di non avere nulla da proporre. Lo scandalo non è il Cirque du Soleil, ma il fatto che nessuna realtà italiana sia stata ritenuta affidabile e “vendibile”. Gli intellettuali e gli artisti italiani sono d’accordo: quando a inizio 2014 è arrivata la notizia che Expo aveva scelto il Cirque, nessuno ha protestato, a parte Roberto Bolle. Se a fine anno è arrivata qualche lamentela, rilanciata da Coirrado Augias su “la Repubblica”, è partita da Roma, non da Milano. E poi, meglio un artista straniero, piuttosto che il tuo odiato (e invidiato) rivale! E’ il degrado del provincialismo: silenzio pubblico e mugugno privato.
Se Expo spa raggiunge gli obiettivi annunciati (22 milioni di visitatori in sei mesi), il Cirque du Soleil è una scommessa a rischio zero. Expo spa annuncia che i biglietti per Allavita! costeranno in media 35 euro. Se ogni sera si vendono 10.000 biglietti, ogni replica porterà un incasso di 350.000 euro. Per recuperare 8 milioni, basterebbero 23 repliche (anche se poi bisogna vedere a quanto ammonta la scheda tecnica dello spettacolo, e chi se la accolla). Per riempire quattro mesi di repliche, bisogna spedire nell’anfiteatro circa 1.200.000 spettatori, il 5% circa dei visitatori previsti. Se i tour operator internazionali hanno inserito Allavita! nel loro “pacchetto Expo”, si può fare.
Tuttavia gestire in questo modo l’aspetto spettacolare di Expo non è un progetto culturale. E’ un appalto. E’ una scelta molto diversa, per esempio, dai sei spettacoli allestiti da Luca Ronconi per le Olimpiadi di Torino nel 2006, o dal “tutto Shakespeare” (37 spettacoli in 37 lingue diverse) realizzato da compagnie di tutto il mondo per le Olimpiadi di Londra 2012. Progetti che si possono (e debbono) discutere, nelle loro finalità, nelle loro modalità di realizzazione, nei loro esiti, ma che hanno messo in modo idee e energie culturali.
Per realizzare un credibile progetto culturale sono necessarie alcune condizioni. In primo luogo, una volontà politica. Sono poi indispensabili la consapevolezza della propria identità, che va acquisita e discussa: ci deve essere anche il desiderio di farla evolvere e di comunicarla al mondo. Bisogna trovare le risorse. Ci vuole un tessuto culturale ricco di stimoli e personalità creative: vanno coinvolte e coordinate le figure adatte, sul versante della creazione, della produzione, della comunicazione.
Serve tempo. Nel settembre 2014, a pochi mesi dall’inaugurazione di Expo, il presidente Roberto Maroni ha affidato il progetto culturale della Regione Lombardia a Vittorio Sgarbi. In un intervallo così breve, è impossibile concepire e realizzare un’iniziativa culturale seria e credibile. La trovata (in parte abortita, oltretutto) è stata deportare a Milano “12 capolavori”, ovvero opere gadget, astratte dal loro contesto. Senza idee, restano solo le icone: l’opera d’arte ridotta a francobollo sulla bustina dello zucchero al bar.
Il risultato? Non si è fatto e non si sta facendo nulla che valorizzi davvero la civiltà italiana. Expo rischia di ridursi a un evento immobiliare, che non coinvolge i cittadini ma solo una élite politico-economico-finanziaria, con il contorno inquietante di faccendieri e ‘ndranghetisti: il fango che affiora inchiesta dopo inchiesta, retata dopo retata. Gli 8 milioni di euro destinati allo “spettacolo dell’Expo” dimostrano che – quando si vuole – i soldi si trovano, e pure tanti. Il problema è lo svuotamento di qualunque progettualità e identità culturale. Mancano la fiducia, la visione, le idee. Manca la pazienza per realizzarle. Si improvvisa, ci si arrangia, si imbocca la strada più facile. Così Expo rischia di diventare la sagra del sottoprodotto culturale. Ma a quel punto potremo solo dirci che è lo specchio del nostro paese. E’ l’inciviltà italiana.
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