BP2010 L’impressionante fotoromanzo delle Buone Pratiche 2010

Con i link a relazioni, interventi e Buone Pratiche e il video dell'intervento di Alessandro Bergonzoni

Pubblicato il 29/12/2010 / di / ateatro n. 125

Oltre 300 persone hanno affollato nella giornata del 13 febbraio l’ITC-Teatro di San Lazzaro: un successo che è andato là di ogni previsione, ottenuto – va aggiunto – con le nostre sole forze, che sono molto limitate: un sito intenet, le nostre mail, qualche telefonata, l’indipendenza e la libertà dell’iniziativa.
Per noi il vero protagonista delle Buone Pratiche è da sempre il popolo del teatro: chi ama il teatro, chi vive nel teatro e di teatro, e ha voglia di riflettere sui suoi problemi e soprattutto sul suo futuro. Artisti, organizzatori, studiosi e studenti che hanno voglia di incontrarsi, parlare, confrontarsi e magari contarsi.
Per quanto ci riguarda, abbiamo fatto del nostro meglio per soddisfare le aspettative suscitate dalla nostra convocazione: mettendo in campo presenze qualificate, memoria e progettualità, idee e pratiche.
La giornata è stata, a nostro giudizio, ricca e intensa, ricca di spunti che andranno apprfonditi: basta leggere le relazioni e i materiali pubblicati sul sito, e anche questo “impressionante fotoromanzo”, redatto con pazienza da Danila Strati, Davide Pansera, Agnese Bonini e Silvia Vendraminetto (grazie grazie).
Un “fotoromanzo impressionante” anche perché nel corso di una giornata abbiamo potuto ascoltare moltissime persone che avevano moltissimo da dirci: se una giornata come quella del 13 febbraio ha un difettto, è che abbamo troppe cose da dirci, troppi temi su cui confrontarsi – e forse ogni volta ci manca il tempo per tirare le fila e magari far cristallizzare qualche proposta concreta (anche se davero non sappimo se questo sia davvero il compito delle Buone Pratiche o di ateatro: ma qualcosa forse inventeremo…).
In ogni caso, le Buone Pratiche hanno sedimentato, quest’anno e nel corso delle edizioni precedenti, una straordinaria mole di materiali: è un patrimonio che mettiamo volentieri a disposizione di tutti.

I veri protagonisti delle Buone Pratiche: il pubblico che ha affollato la platea e anche il palcoscenico dell’ITC-Teatro (foto di Lorenzo Cimmino).

Marco Macciantelli (sindaco di San Lazzaro)
Il sindaco esprime soddisfazione per il fatto che San Lazzaro e l’ITC-Teatro ospitino un’iniziativa caratterizzata da un dibattito così ampio (circa 60 interventi previsti), un’occasione di riflessione per fare il punto sulla situazione teatrale del paese. Come amministratore, vuole esprimere soddisfazione sull’esperienza dell’ITC-Teatro: una realtà ben radicata nel territorio, esperienza di teatro attivo e vivente. Anche i dati lo dimostrano: l’ITC-Teatro è al terzo posto come presenze fra i teatri sotto 250 posti, ed esprime una qualità molto alta dal punto di vista artistico e gestionale. Il massimo livello sul piano del possibile, in assenza di un intervento significativo dello Stato, e nell’impossibilità di contare seriamente sul ruolo del privato: semplicemente perché teatro è pubblica utilità. E’ fondamentale riconoscere che nel nostro paese l’attività teatrale è prevalentemente sostenuta dalle amministrazioni locali, anche per quanto riguarda gli stabili. Ma in particolare sul territorio, dove il tessuto teatrale è formato da gruppi e reti locali, con l’assenza di interventi significativi dello Stato. Le Buone Pratiche si attuano in un incrocio fra cultura, territorio ed enti locali

Il reparto fumatori: il gazebo fuori dall’ITC-Teatro (foto di Lorenzo Cimmino).

Maura Pozzani (Assessore alla Cultura, Provincia di Bologna)
In un saluto intenzionalmente breve, sottolinea come buone pratiche si attuino anche da parte degli amministratori. A Bologna e provincia se ne verificano alcune, esperienza a livello territorio, in cui la qualità è molto importante. Qualche esempio:
1. Tracce: la rassegna è arrivata alla 14° edizione. 16 spettacoli fra cui tanti premi nazionali. Giovani compagnie che si mettono in gioco.
2. Parole e Musica: un progetto che coinvolge luoghi difficili da raggiungere. Il teatro deve arrivare anche dove è difficile, per il tempo o per la lontananza.
3. Cartelloni unici: teatri che coordinano la programmazione, offrendo una circuitazione più ampia alle compagnie, e la possibilità di usufruire dello stesso spettacolo a un maggior numero di persone.
Le buone pratiche partono dall’infanzia. L’assessore ricorda anche Claudio Meldolesi e Leo De Berardinis e la loro qualità artistica e il loro lavoro sul territorio.
Bisogna evitare che i giovani scappino dal territorio, dare loro spazio. Collaborare con umiltà e con passione: così si riesce a proporre un teatro in cui le buone pratiche siano messe in pratica ogni giorno.

Andrea Paolucci (ITC-Teatro)
Il direttore dell’ ITC-Teatro ringrazia e esprime soddisfazione per l’ospitalità di Buone Prartiche.

Oliviero Ponte di Pino ricorda che nelle ultime edizioni Laura Mariani e Claudio Meldolesi hanno partecipato attivamente e con grande generosità alle Buone Pratiche, offrendo un contributo importante alla riflessione.
Claudio Meldolesi amava utilizzare una parola chiave, “riattivare” (una parola chiave), ovvero rimettere in funzione le energie: l’intervento attivo, le buone pratiche si sono rivelate costitutivo del lavoro di Meldolesi, congeniali alla pratica concreta del teatro da cui arrivava (diplomato alla Silvio d’Amico), e derivava l’ispirazione della sua attività di studioso.

Laura Mariani –> Meldolesi, un maestro
Laura Mariani legge il suo intervento. Claudio è stato un “maestro” per tutto il percorso artistico e professionale che ha svolto: portatore di un pensiero forte e originale – espresso attraverso la qualità letteraria della scrittura – ma maestro anche per l’affetto e il collegamento che ha mantenuto con i suoi maestri. Maestro per il suo modo di relazionarsi e stare al mondo. Considerava il teatro in termini unitari sul piano istituzionale, e, da uomo del 68, aveva contrastato il suo tempo.

Caffè per tutti!!! L’affollato foyer dell’ITC-Teatro (foto di Lorenzo Cimmino).

Oliviero Ponte di Pino e Mimma Gallina –> Identità, differenze, indipendenza
Oliviero ribadisce che la presenza di Meldolesi è stata un valore grandissimo. Si unisce al ricordo di Leo, punto di riferimento fondamentale. E menziona anche a Giancarlo Nanni, recentemente scomparso. Poco prima, Nanni aveva regalato ad ateatro un’idea molto bella e molto semplice: quella, anche a seguito delle polemiche sui 150 anni dall’unità d’Italia, di un grande lavoro collettivo della gente di teatro su questo tema, un impegno comune per un paese che non fa conti con passato. Una proposta che forse si può ancora cogliere: ci sono tante compagnie che su questi temi lavorano da tempo, forse è ancora possibile mettersi insieme e dare forza a questo progetto.
Oliviero e Mimma richiamano sinteticamente i temi dei documenti di convocazione e introduzione al tema delle Buone Pratiche. A cominciare dalle dichiarazioni offensive di Bondi confronti di chi si occupa di cultura.
Segnali più piccoli ma molto inquietanti si sono recentemente verificati a Milano: Giulio Cavalli vive da mesi sotto scorta; di recente fuori dal teatro in cui recitava sno stati trovati 23 proiettili; Daniele Timpano ha visto il suo Dux in scatola “molestato” da uno squadraccia fascista durante una replica al Teatro i.
Sono fenomeni che rivelano trasformazioni più profonde.
Tornando al tema di questa edizione delle Buone Pratiche, nel teatro italiano è in atto un processo di omologazione, le differenze sono andate via via scomparendo: è scomparsa perfino la definizione di teatro pubblico nel nuovo progetto di legge. Questo è giusto o sbagliato?
Nei momenti di crisi ci ha suggerito la frase di Meldolesi citata da Laura Mariani, dobbiamo ripensare alla nostra storia, alla nostra identità. Un altro spunto di riflessione è dato dall’evoluzione dello scenario politico italiano. Dal sistema proporzionale si è passati al maggioritario: le opposizioni sono più decise e cambia la posizione anche di chi fa teatro e cultura. Capita spesso per esempio che un cambio di amministrazione porti all’azzeramento di un progetto precedentemente approvato. Una volta non succedeva in modo così visibile: si pratica una discontinuità al ribasso, con la tendenza a privilegiare nel territorio situazioni non professionali. Il teatro vive quindi un eccesso di offerta, ma molto spesso poco qualificata dal punto di vista professionale. La giornata ha due obiettivi: affrontare il tema e fare il punto e lavorare sulle buone pratiche. E, forse, confrontarsi e lanciare forme concrete di collaborazione.

Maura Pozzati, Marco Macciantelli, Oliviero Ponte di Pino, Laura Mariani (foto di Lorenzo Cimmino).

Teatro pubblico, teatro commerciale, teatro indipendente

Il primo tavolo della giornata, è dedicato ad affrontare i temi nelle linee generali e fornire elementi conoscitivi aggiornati ai partecipanti.

Patrizia Ghedini –> Verso una nuova legge nazionale dello spettacolo: il confronto tra Stato e Regioni
Il tempo consente di trattare solo alcuni punti fondamentali. Secondo Patrizia Ghedini, funzionaria della Regione Emilia Romagna, è importante capire quali sono le ragioni delle Regioni rispetto al progetto di legge nazionale sul tappeto, in modo che le relazioni possano diventare più comprensibili ad una platea ampia.
Rispetto al disegno di legge, le Regioni riconoscono lo sforzo a livello parlamentare delle onorevoli Carlucci e De Biasi per arrivare ad un testo bipartisan. Non è la prima volta che succede. Anche nel 2004 si era arrivati a un testo condiviso, che cadde perché il Governo presentò un emendamento teso a ribadire la centralità nella gestione del FUS. Questo nuovo testo è importante e alcuni punti sono condivisibili. Altri invece, poco chiari. Altri ancora, incostituzionali.
Bisogna partire da un riferimento chiaro: le Regioni hanno competenza legislativa e di regolamentazione del settore. I problemi e le perplessità che possono insorgere nel settore a questo proposito sono tanti. Le Regioni riconoscono la potestà del Parlamento di legiferare, non vogliono ruoli non loro, chiedono però un confronto che offra garanzia sul “dopo legge”. Solo scelte gestibili e condivisibili potranno non essere mai oggetto di ricorsi alla corte costituzionale.
La legge presenta poi problemi d’impianto. Ecco in breve le questioni più problematiche:
– la correttezza sul piano costituzionale;
– la chiarezza sulla collaborazione tra i diversi piani istituzionali:
(l’Onorevole Emilia De Biasi presente in sala e Patrizia Ghedini si confrontano con scambi di battute su interpretazioni diverse della legge)
– tutto passa attraverso una gestione centralistica;
– incoerenza con le norme sul federalismo fiscale.
Le Regioni hanno proposto gli “accordi di programma”, un’intesa in sede di “conferenza unificata” consentirà di stabilire indirizzi regionali condivisi e individuare elementi di intervento chiari, compatibili e fondati sulla certezza delle risorse (che vanno definite triennalmente, senza variazioni in corso d’opera). Quindi una sorta di confronto preventivo, per avere la garanzia che un percorso concordato possa essere seguito anche da parte delle regioni meno avanzate.
Ghedini sottolinea infine l’importanza degli Osservatòri dello spettacolo: si è attivato un progetto interregionale, in collaborazione con l’Osservatorio nazionale, il progetto è in atto e sta dando risultati positivi. Perché non tentare un’esperienza simile, anche per condividere risorse e strumenti in relazione alla nuova legge?

L’intervento di Patrizia Ghedini (foto di Lorenzo Cimmino).

Giulio Stumpo –> I consumi creativi
Partiamo dalla scoperta della radioattività: Enrico Fermi mette un rullino fotografico in un cassetto in cui ci sono ggetti radioattivi, il rullino non può essere sviluppato. Il salto di tipo creativo di Fermi è capire che c’è un problema nel cassetto, non nella macchina fotografica. E’ necessario un salto creativo nello spettacolo per sviluppare una coscienza collettiva e una crescita creativa della società. Il Teatro deve contribuire a questo obiettivo.
Una società creativa richiede meno vincoli alla circolazione d’idee: è impensabile che una società competitiva non sviluppi collaborazione e dialogo all’interno. Ma i primi incapaci di fare rete siamo proprio noi operatori: è davvero difficile creare reti e sinergie “nello stesso palazzo”, è un tema su cui dobbiamo riflettere.
Fra le città creative, un esempio è proprio Bologna. Una città che si chiude al resto del mondo non può essere considerata creativa. La Francia e gli Stati Uniti sono società creative perché si sono aperti all’esterno, a condivisione, integrazione, accoglienza. Finchè non si cambia, la riforma dello spettacolo può non servire a nulla.
Qualche dato per riflettere sulla dimensione del teatro (pubblico o privato), nel 2010: 140.000 lavoratori dello spettacolo secondo l’Enpals, oltre al lavoro sommerso. Il reddito medio è di 7.000 euro annui, le giornate lavorate circa 70 all’anno. La maggior parte di chi lavora nel settore spettacolo è al di sotto della soglia di povertà. Lo Stato investe 84 milioni nella prosa (pochissimo), i consumi culturali sono diminuiti del 7% nello scorso anno. Il fatturato è diminuito del 6%.
Quale può essere il tema, quindi?
– è necessaria una più forte e seria programmazione territoriale;
– la cultura costa, ma l’incultura costa molto di più.

La parola a Giulio Stumpo: da sinistra Giovanna Marinelli, Andrea Rebaglio e Roberto Calari (foto di Lorenzo Cimmino).

Roberto Calari –> Ruolo degli sponsor e movimento cooperativo
Roberto Calari, dirigente del movimento cooperativo, sottolinea la differenza fra la sponsorizzazione tradizionale (concessa a fronte di un ritorno di immagine) e il rapporto di partenariato, che si basa sulla consapevolezza e l’impegno sociale e territoriale delle imprese, coinvolte a sostenere un progetto culturale di cui è possibile valutare la ricaduta. E’ necessario stabilire un linguaggio comune fra imprese e operatori culturali in questa direzione. Gli operatori mancano spesso di chiarezza nel definire e illustrare la propria missione. Uno strumento che potrebbe essere molto utile in questa direzione è il “bilancio sociale”.

Andrea Rebaglio –> Fondazioni, creatività, innovazione
Andrea Rebaglio, del settore arte e cultura di Fondazione Cariplo, ricorda origine e funzione delle Fondazioni di origine bancaria, e come siano diventate progressivamente attori sempre più rilevanti nell’economia delle arti e della cultura (con un incremento medio degli investimenti, pari al 10% annuo). Né sponsor – non richiedendo se non marginalmente ritorni di immagine – né partner – nel momento in cui recepiscono piuttosto che concordare progetti – ma muovendosi in bilico fra i due ruoli. Le modalità di intervento delle Fondazioni (che non sono diffuse uniformemente in tutta Italia), non sono sempre equiparabili e nell’ultimo anno alcune hanno risentito pesantemente della crisi riducendo gli investimenti o intaccando le riserve. La loro funzione si pone però sempre come sussidiaria, e non sostitutiva rispetto all’intervento dell’ente locale. Fondazione Cariplo, ha orientato questo ruolo al sostengo di progetti e organizzazioni indipendenti e innovativi, limitando le erogazioni favore di realtà istituzionali a una percentuale marginale dei propri interventi. Fra questi spicca, anche per il carattere sperimentale, il progetto ETRE -esperienze teatrali di residenza – che ha portato a selezionare a sostenere il rapporto col territorio lombardo di un gruppo di compagnie: su queste esperienze, nell’ottica di un confronto internazionale, avrà luogo un convegno il 12 e 13 marzo.

Giovanna Marinelli –> Teatri Stabili Pubblici. Quale modello è ancora possibile
È arrivato il momento di riflettere e fermarci un attimo.
Per Giovanna Marinelli, direttore del Teatro di Roma, il teatro è ancora sentito come luogo di libertà e non omologazione. Viviamo in modo troppo rapido, mancano momenti di confronto e studio, e mancano i momenti per costruire una propria identità. Si perde il senso del rapporto tra passato, presente e futuro. Il teatro vive di libera espressione, tende a presidiare zone di dissenso, perde la sua autenticità se si omologa, mentre è fondamentale per costruire memoria e una società basata sulle differenze. Il teatro è anche un luogo fondamentale per l’incontro tra società e classe dirigente. All’origine, il teatro pubblico sentiva che era suo dovere partecipare ai processi di costruzione della società. L’autonomia del teatro pubblico era una conseguenza di un’identità forte e di un progetto culturale, ma anche organizzativo ed economico che portava alla difesa degli artisti e della creatività. Tutti gli scostamenti sono stati accettabili, finchè non hanno messo in forse il progetto originario.
Il teatro è arte del presente e proprio per questo è elemento intimo della nostra memoria. Proprio per questo iè necessario, ed è necessario anche un teatro pubblico. Ma non è più costì per la classe politica e non solo. Probabilmente bisogna ripartire dal pubblico per ricostruire un’identità. A Roma ultimamente i numeri del teatro sono sorprendenti. Quindi da qualche parte si può provare a ripartire. Contesto chi nega la funzione originaria del teatro pubblico: di un teatro che si relaziona con il territorio Oggi è totale l’indifferenza del potere nei confronti del teatro, e la capacità di ascolto è minima. Sempre più numerose le ingerenze. Il teatro deve quindi far riferimento in primo luogo al proprio pubblico. Deve lavorare in profondità e in silenzio per creare occasioni, iniziative che creino dialogo tra pubblico e teatro, che alimentino un circolo virtuoso tra teatro e cittadini.
Il futuro si gioca in un rapporto corretto tra teatro e politica. E’ sugli obiettivi che la politica si deve muovere. Va ricostruito un legame tra artisti ed istituzioni, per evitare l’inaridimento delle istituzioni.

(pochi giorni dopo aver pronunciato questo appassionato e lucido intervento, Giovanna Marinelli si è dimessa “per motivi personali” dalla direzione del Teatro di Roma, n.d.r.)

Velia Papa –> Il nuovo teatro: l’anomalia italiana e la dimensione europea
Tutti i gruppi che si affacciano all’estero, il più delle volte in coproduzione, vivono un senso di frustrazione, perché percepiscono un netto scarto, un gap rispetto all’Italia.
Se ne parla da vent’anni: da noi non ci sono confini tra pubblico e privato, siamo tutti sul mercato e in concorrenza sulle stesse cose e questo è un elemento di fragilità. La crisi economica ha portato più creatività? Piuttosto rende più evidenti le debolezze del nostro sistema. All’estero ci sono interlocutori affidabili, che dicono chiaramente se ci sono i soldi o meno, te li garantiscono per un periodo di tempo ben preciso, i bandi sono trasparenti. Invece in Italia il sistema è allo stesso tempo precario e statico, senza mobilità. Dopo aver fatto un’esperienza come amministratore pubblico, ho imparato che il settore pubblico deve chiarire i propri obiettivi ma anche che l’operatore si deve porre diversamente rispetto a esso e agli amministratori. L’indipendenza non è uno status, ma un modo di rapportarsi con l’interlocutore pubblico, superando gli ambiti limitati che il teatro tende a darsi.
Per uscire da questi limiti si può fare appello alla forza del teatro e dell’immaginazione, partecipare ai processi di trasformazione dei territori, cercare uno spazio all’interno dei processi di rinnovamento e le dinamiche sociali. Durante gli ultimi due ultimi viaggi, ho fatto alcune osservazioni significative: a Nantes, nella piantina turistica della città, è riportata un’icona: quella della compagnia Royale De Luxe, nata come gruppo di teatro di strada. La città in trasformazione associa la sua immagine non ai musei o all’opera ma a una compagnia di teatro di strada.
A Terragona il teatro di strada si fa “industria culturale”, ha finanziamenti adeguati, si progetta ferfino la città in funzione di un festival che dura quattro giorni l’anno, i soggetti coinvolto compartecipano a inventare un modo nuovo di vivere un territorio.
E’ evidente la marginalità del teatro italiano rispetto a quello che succede a livello internazionale. È sconvolgente come in Italia – a livello delle nuove normative – si possa pensare di dividere l’attività in internazionale, nazionale territoriale.

Roberto Toni –> Pubblico, commerciale, indipendente: siamo davvero sicuri che oggi possiamo attribuire loro ruoli, funzioni, identità, progetti differenziati?

Francesco De Biase –> Un ragionevole sguardo al futuro. Per nuove politiche culturali

Alessandro Bergonzoni con Velia Papa, Oliviero Ponte di Pino, Giovanna Marinelli (foto di Lorenzo Cimmino).

L’intervento di Alessandro Bergonzoni sul canale youtube di www.ateato.it.

L’indipendenza è ancora una virtù?

Gerardo Guccini –> La rete, lo stagno, il mondo: tre declinazioni simboliche sull’identità dei gruppi
L’identità a cui ci si riferisce è costituita dalla rete dell’insieme di relazioni che connettono la realtà culturale in un insieme di realtà culturali omogenee in un certo periodo. Sono in aumento le organizzazioni teatrali che trovano un senso di identità nel proprio settore di appartenenza: “Dove sto?”, “Quali maestri seguo?” “Quali modalità di rapporto ho con la realtà?”
Eugenio Barba usava il termine: “ghetto”. Nel 1976, anno in cui scriveva, le realtà di gruppo avvertivano l’esigenza di un’apertura all’extrateatrale. Eppure Barba difende il concetto di ghetto come principio identitario, che non definisce “chi siamo”, ma “dove siamo”. Dentro o fuori. Ghetto come spazio distinto dal contesto. Il principio identitario rimanda all’immagine dello specchio, una realtà autoreferenziale che però si autodefinisce. Il mito di Narciso è il mito dell’io, ma anche il mito del doppio e il teatro è il luogo del doppio. A questo proposito ci sono due teorie e interpretazioni del mito: una rinascimentale in cui Narciso rifiuta l’amore per essere completamente sé; e una junghiana che vede in Narciso il luogo dell’archetipo. Narciso si riflette e vede l’immobilità. A partire dagli anni 80 il rapporto con il mondo extra teatrale cambia, e comincia l’inclusione di altri mondi all’interno del teatro. Per esempio i carcerati, o extracomunitari che vengono inclusi in un lavoro teatrale di base identitario, volto all’individuazione di nuovi linguaggi.

Gerardo Guccini, Mimmo Sorrentino, Mimma Gallina, Elio De Capitani, Oliviero Ponte di Pino, Pietro Floridia (foto di Lorenzo Cimmino).

Elio De Capitani –> 13566 giorni di vita-nel-teatro
Finalmente, dopo 13566 giorni di vita della compagnia, ecco l’apertura di un nuovo teatro, L’Elfo-Puccini. Tre sale: Fassbinder, Shakespeare, Bausch.
Shakespeare perché porta con se il “moderno”. Anche in un teatro che fa ricerca sul contemporaneo non bisogna dimenticare l’epoca moderna, perché il contemporaneo non ha superato il moderno. Le tensioni e i temi sono comuni ad un arco di tempo molto più grande. Ciò che è stato non deve diventare passato in maniera troppo rapida. E’ sorprendente che si possa pensare – e si riferisce a un articolo recente di Renato Palazzi – che se uno spettacolo arriva a Milano sei mesi dopo il debutto, inserito magari nella stagione teatrale successiva, è già vecchio.
Ecco quindi perché Pina Bausch. Ovvero l’importanza del repertorio, che diventa il patrimonio che incarniamo, il patrimonio che è dentro l’attore, il lavoro che fa l’attore su se stesso non passa velocemente, ma si sedimenta nella sua memoria.
Infine Fassbinder artista e scrittore di cinema e teatro, che come maestro non ci ha lasciato solo prassi, ma un lascito scritto.
Tre nomi di altrettanti grandi artisti per raccontare il progetto di un gruppo.
Anche De Capitani vuole ricordare Claudio Meldolesi e con lui un altro grande maestro Brecht: il saggio Brecht regista di Meldolesi è uno di quei libri che possono cambiare la vita.

Stefano Pasquini –> Cultura e agricoltura
L’agricoltura e il teatro sono entrambe attività antieconomiche con unl’unica differenza: nessuno vuole fare l’agricoltore mentre il teatro vogliono farlo tutti.
Attraverso il finanziamento per l’attività agricola, una legge che finanziava l’attività di agriturismo, le Ariette hanno finanziato anche la propria attività teatrale. Nel 2002 l’agriturismo è stato chiuso.
La passione è una cattiva pratica. Dopo aver dato molto ad un territorio, dopo dodici anni il comune di Castello di Serravalle ci ha tagliato il finanziamento. Erano ben 5000 euro…
Ma anche in tempi di crisi bisogna continuare a radicare il proprio lavoro nel territorio, trasformare il lavoro teatrale insieme ai cambiamenti della società e cercare nuove prospettive. L’agricoltura ci dà uno spunto: i contributi sono piccoli ma vi possono accedere tutti quelli che hanno i requisiti ovviamente in proporzione alla propria attività e questo dà la certezza del diritto e sottrae la valutazione del finanziamento alla discrezionalità. Ma nel teatro non è così ed è per questo che le Ariette non hanno mai fatto richiesta di contributo al ministero.
Sarebbe ora di fare un po’ di sindacalismo. I francesi hanno fatto saltare Avignone, in Italia non ce ne sarebbe il coraggio.

Pietro Floridia –> Lo spazio dell’indipendenza: tra le radici e l’altrove
Quando pensiamo qualcosa, crediamo di essere separati dall’oggetto della nostra analisi o critica, ma in realtà siamo dentro lo stesso gioco.
L’indipendenza non è legata solo alla propria ricerca, ma anche all’influenza del sistema. Dimenticarlo, sarebbe come pensare di poter scegliere quale aria respirare. Ulisse per interagire con il contesto e ascoltare il canto delle sirene senza rimanerne schiavo si fa legare all’albero della nave e dice ai suoi uomini di disattendere il suo ordine di slegarlo. Per interagire con il contesto senza rimanerne schiavi non basta pensare per sé, imbastire in maniera artigianale una serie di contrappesi che tirino in senso apposto al nostro per mantenerci in equilibrio. Paradossalmente mettere in discussione la propria identità come qualcosa di fisso.
L’indipendenza non è sciogliersi dai legami, ma scegliere da cosa dipendere, di quale sistema diventare parte. Il Teatro dell’Argine ha scelto di dipendere dal territorio, dalle persone normali che lo abitano, dalla comunità, ma non basta che le persone abitino uno stesso territorio per fare una comunità. Di questi tempi è come se la terra fosse friabile e mancasse l’acqua per amalgamare tutto. Ho sempre visto il pubblico come tante solitudini fino a quando non ho fatto la mia esperienza in Palestina in cui la comunità condivide, parla, tira fuori quello che si pensa.

Stefano Pasquini parla, lo ascoltano da sinistra Mimmo Sorrentino, Mimma Gallina, Elio De Capitani, Oliviero Ponte di Pino, Petro Floridia, Luigi Dadina (foto di Lorenzo Cimmino).

Luigi Dadina –> CISIM una casa del popolo a Lido Adriano
(intervene con Marco Cavalcoli di Fanny e Alexander)
Per fare teatro è indispensabile sapere di essere stranieri, per stare in gruppo bisogna sperimentare la solitudine. Ravenna è stata un po’ la capitale del teatro italiano contemporaneo giovane alla fine degli anni Settanta. Dopo quindi anni di lavoro, il Comune di Ravenna ha avuto l’intuizione di dare in gestione i teatri della città al Teatro delle Albe. Il 21/23 maggio ci sarà un piccolo festival e la città si popolerà di trenta gruppi di Ravenna, alcuni giovanissimi, di cui almeno dieci professionisti…Bello, bellissimo!
Ma c’è una perplessità: qual è il futuro per questi gruppi? Non potranno avere accesso ai finanziamenti. Un’ipotesi è quella di aprire una sede teatrale dove far convivere più compagnie e fare un’unica associazione per condividere l’organizzazione e mantenere ciascuno la propria identità artistica.
Un progetto complementare: Lido Adriano è un posto popolato da molti stranieri e gli italiani presenti sono a loro volto immigrati dalla Sicilia, da Napoli… Essere stranieri per essere curiosi per la vita degli altri. È una vocazione delle Albe lavorare con gli stranieri.

Massimiliano Civica –> La poetica dell’economia: indipendenza e mercato nelle loro interrelazioni
Direttore del Teatro della Tosse, stabile privato di interesse pubblico, Civica porta la testimonianza di due sistemi differenti.
Come regista di una compagnia di teatro di ricerca ho prodotto uno spettacolo con un solo attore, che si proponeva per cachet che andavano da un minimo di 400 euro fino a 1500 (ma al massimo ne ha ottenuti 1200). Questa politica era vincente riferendosi ai soggetti del teatro di ricerca quindi al proprio bacino di riferimento. Il costo dello spettacolo era conveniente ed è riuscito a girare molto. La presidentessa di un circuito teatrale estivo (il testo era un classico) ha visto lo spettacolo e voleva acquistare trenta repliche. Sono seguiti i contatti con i responsabili tecnico-organizzativi: lo spettacolo ha esigenze vicine a zero per montaggio, smontaggio e scheda tecnica…. Le trenta repliche sono state subito cancellate! Quello spettacolo non faceva lavorare tecnici, service, ecctera. Non era funzionale a quel sistema.
Quando sono stato nominato direttore del Teatro della Tosse, sono partito co

Redazione_ateatro

2010-02-23T00:00:00




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