La struggente poesia dell’imperfezione
Cinema Cielo di Danio Manfredini vent'anni dopo
È il settembre del 1997 e il Cinema Cielo, all’angolo tra viale Premuda e via Macedonio Melloni a Milano, chiude le sue porte per sempre. Una sala che ha attraversato la storia del cinema, dai film di Rodolfo Valentino nel 1927 a Le magnifiche porcelline nel 1996, passando per i cult della settima arte, quali Rocco e i suoi fratelli, Ben Hur, Arancia Meccanica, Amarcord… E per i film meno raccomandabili. Un cinema che racconta la parabola di tante sale nate in un periodo in cui la fruizione era completamente diversa, un vero atto collettivo. Poi la moltiplicazione dei canali televisivi che programmano film, l’invasione dei VHS e dell’home video, e alla fine l’avvento di Internet, portano al declino della sale cinematografiche, soprattutto quelle di periferia. Per i cinema a luci rosse, il colpo di grazia arriva dai filmati amatoriali e da canali come YouPorn (e magari da Tinder…).
Io sono nato che già i cinema per adulti stavano scomparendo e sono cresciuto in un momento storico in cui i contenuti video sono forieri di individualità. Tant’è vero che oggi, quando una pellicola “riempie le sale”, è un evento straordinario e quando un programma televisivo raduna più persone davanti alla tv “tutto si blocca”.
Con la diffusione di internet e delle cuffie auricolari, le persone hanno iniziato a fruire la cultura in modo diverso, guardare i film in privato, un modo anche per concedersi un momento di solitudine ed evadere per qualche ora dalla vita sociale. Così si è andato a perdere quel senso di comunità che si può ammirare, non senza un pizzico di nostalgia, in L’ultimo spettacolo di Peter Bogdanovich e in Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore.
Un senso di comunità molto presente invece in Cinema Cielo di Danio Manfredini, anche in scena insieme a Patrizia Airoldi, Vincenzo Del Prete, Danio Manfredini e Giuseppe Semeraro, per una coproduzione Sardegna Teatri e Teatri di Bari. Uno spettacolo che mostra l’interno di una sala cinematografica per adulti durante la proiezione del film Notre-Dame-des-Fleur di Jean Genet e racconta una comunità che abbraccia ogni individuo, senza distinzione di classe sociale o di età, che orbita attorno a quel Cinema Cielo in cerca di un po’ di sesso. La cura che ha Manfredini nel rappresentare le diverse parti di questa collettività è raffinatissima, traspaiono gli anni di studi e di ricerca per cogliere l’essenza di ogni personaggio senza alcuna forma di giudizio o pietismo, ma mettendo in luce solamente la spasmodica esigenza di esprimere la propria sessualità.

Cinema Cielo di Danio Manfredini (ph. Daniele Ronchi)
Si coglie sul palco la poesia delle persone, che come ogni forma poetica è indescrivibile ed è legata a un elemento che accomuna ognuno, l’imperfezione. Infatti, il Cinema Cielo è permeato di bugie, di travestimenti, di persone invalide o con disabilità e in questa biodiversità concentratissima si manifesta la collettività. Nessuno prevale sull’altro, non c’è spazio per il dibattito e il confronto (i dialoghi, per tutto lo spettacolo, sono ridotti ai minimi termini, anche perché durante le proiezioni solitamente non si parla) e il corpo si fa vero protagonista di questo ecosistema così umano e dunque reale.
Queste coordinate sono le stesse che definiscono i film pornografici che si focalizzano sull’uso del corpo a discapito di un dialogo frammentato e spesso ridicolo.
Si potrebbe aprire una riflessione su come è cambiata la pornografia dagli anni Duemila in poi, rispetto ai film degli anni Ottanta-Novanta, anche rispetto all’arrivo di nuove piattaforme digitali che consentono un consumo privato e sempre a portata di clic. Si potrebbe parlare di come oggi i contenuti siano più spudorati, mentre le persone più pudiche e di come qualche decennio fa fosse esattamente il contrario, i film più raffinati e le persone più viscide. Si potrebbe discutere su come sia cambiata la percezione dell’omosessualità dal secondo Novecento ai giorni nostri, ma a Cinema Cielo e a Danio Manfredini tutti questi aspetti non interessano. A più di vent’anni dal debutto ripropone lo stesso spettacolo, perché l’urgenza è quella di mostrare dei personaggi in cerca di sé stessi e di amore da parte degli altri. E questa esigenza è senza tempo.

Cinema Cielo di Danio Manfredini. (ph. Daniele Ronchi)
Certo, oggi pare un po’ vintage quell’ambiente e quel tipo di narrazione dell’omosessualità, in cui quelli che oggi chiameremmo queer sono persone volgari, violente e arrabbiate, che devono sfogare la loro frustrazione sul prossimo. A ogni modo, rimane molto attuale il bisogno di amore e di essere accettati in una società che chiede loro, al contrario, di travestirsi. Le parrucche, le stampelle, le tette finte, gli impermeabili, le maschere, diventano strumenti per essere “altro”: da un lato per tutelare la propria immagine pubblica e la propria reputazione nella società borghese, dall’altra dei mezzi per sperimentare un’estetica in linea con la propria personalità.
Così anche la pellicola che viene idealmente proiettata, Notre-Dame-des-fleurs di Genet, racconta la storia di un ragazzo transgender che, alla fine dell’Ottocento, scappa a Parigi per poter vivere la sua sessualità (intesa in senso lato) senza subire costrizioni. Nella capitale francese inizia a farsi chiamare Divine e frequenta altri tipi come lui, tutti un po’ persi, assassini, ladri, magnaccia, prostitute, e tutti con lo stesso obiettivo: costruirsi una vita libera dai giudizi borghesi in una società fortemente borghese che li emargina come diversi. Va da sé che la favola non è certo a lieto fine, a conclusione della storia prevale su quasi tutti la morte e il degrado.

Cinema Cielo di Danio Manfredini (ph. Daniele Ronchi)
Come faceva notare lo stesso Manfredini nell’intervista di Oliviero Ponte di Pino L’arte dura e delicata dell’attore (sctitto in occasione del debutto dello spettacolo nel 2003, quando il Cinema Cielo era già stato chiuso da tempo e ne restava solo il ricordo), il film, e di contraltare lo spettacolo, si può dividere in due sezioni, la prima in cui prevale l’amore e la seconda in cui ha la meglio la morte. La scena si apre proprio con una prostituta travestita da angelo che annuncia di essere stata mandata da Dio per portare l’amore agli uomini e termina con un Gesù crocifisso che oscilla in maniera instabile su due trampoli: un filo che interseca il sacro e profano, ultimando la critica tagliente ad una società perbenista e bigotta che preferisce escludere piuttosto che accogliere.
Mi risuona allora quello che Dario Bellezza, poeta che ha fatto della sua omosessualità la sua bandiera, scriveva in Storia personale del 1974:
È Dio che muore con me:
sempre è un Dio – il Dio
delle marchette e dei ladri, –
ma pur sempre un Dio senile
che scrive stanchi racconti
pornografici, ragazzini
masturba, fugge dal Tempio
dove Dei pagani vengono
adorati sotto false icone
(Tutte le poesie, Dario Bellezza, Mondadori, 2015, p. 204)
IL LINK
Le recensioni di “ateatro”: Cinema Cielo (20/07/2003)ù
Cinema Cielo
ideazione e regia Danio Manfredini
con Patrizia Airoldi, Vincenzo Del Prete, Danio Manfredini, Giuseppe Semeraro
scenografia, maschere, manichini, costumi Danio Manfredini
luci Maurizio Viani
suono Marco Olivieri
produzione Sardegna Teatro, Teatri di Bari
distribuzione Agidi
Visto il 15/03/2025 al Teatro Menotti di Milano.
Tag: cinema e teatro (45), Danio Manfredini (9)