TourFest 2024 | La danza in mezzo alle persone
Un'intervista a Massimo Carosi, direttore artistico di Danza Urbana a Bologna
A settembre si è svolta la ventottesima edizione di Danza Urbana, il festival che porta la danza in giro per la città di Bologna. Abbiamo intervistato il direttore artistico Massimo Carosi tra progettualità e difficoltà di proporre un linguaggio di ricerca in una città ormai vocata all’eventizzazione.
Come è andata l’edizione di quest’anno di Danza Urbana?
MC: La cosa che mi sorprende ogni volta è che il pubblico partecipa anche senza sapere chi sono gli artisti in scena. C’è una grande curiosità, spinta anche dalla fiducia che ha nel nostro progetto. Poi molti degli spettacoli che avevano un ingresso limitato hanno fatto sold out, quindi la presenza del pubblico è stato un ottimo riscontro.
Danza Urbana è stato tra i primi in Italia a portare la danza in paesaggi urbani. Nel contesto di Bologna, che in questi anni si è trasformata radicalmente, avete notato anche un cambiamento di pubblico?
MC: Sin dal 1997 il festival utilizza i luoghi pubblici di Bologna, documentando negli anni le trasformazioni urbane e sociali della città. Ogni edizione diventa un racconto in movimento, che rivela i cambiamenti del tessuto cittadino. Per esempio quest’anno Virgilio Sieni ha portato Sleep in the Car in piazza Santo Stefano, un luogo iconico della città. Un tempo centro di quiete e aggregazione sociale, appare oggi trasformata, dominata dagli aperitivi e frequentata principalmente da turisti, sembra aver perso il suo ruolo di spazio di incontro per i cittadini. Questo contrasto è evidente rispetto a Piazza San Francesco, un’altra piazza storica del centro, che invece si conferma un luogo vivace e partecipato, specialmente da studenti e residenti, dove gli eventi del festival trovano maggiore riscontro.
Un’altra creazione significativa, Porpora che cammina di Dom, ha attraversato la città dal centro storico fino all’estrema periferia, tracciando un percorso che rende visibili le trasformazioni urbane. L’opera sottolinea il crescente processo di gentrificazione, che modifica l’uso degli spazi pubblici e la loro accessibilità per i cittadini. Danza Urbana esplora queste dinamiche attraverso performance che mettono in relazione l’arte con lo spazio pubblico, affrontando temi come il diritto alla città e la mutazione delle aree urbane. Il festival pone tali cambiamenti al centro del dibattito culturale, invitando il pubblico a riflettere sul rapporto tra luoghi, comunità e identità urbana.
In città come Bologna che stanno affrontando il problema dell’overtourism, secondo te i festival in che modo rischiano di diventare uno strumento per attrarre turismo?
MC: Il cuore di un festival culturale non dovrebbe essere il mero intrattenimento o la promozione turistica, ma la creazione di un racconto profondo e riflessivo della città. Questo implica una scelta curatoriale che vada oltre il consumo superficiale di luoghi iconici e spettacoli, ma che si concentri sull’attivazione di processi culturali e dibattiti significativi. Danza Urbana prova a superare l’eventismo: non più grandi spettacoli di piazza per attrarre numeri, ma un impegno a relazionarsi con il tessuto urbano e sociale, coinvolgendo spazi periferici, anonimi o rigenerati, senza limitarsi ai luoghi storici. L’obiettivo è osservare e interrogarsi sulla città in modo critico e partecipativo. In questo senso, un festival diventa un laboratorio che costruisce relazioni con i cittadini e stimola riflessioni collettive, resistendo alle logiche del marketing territoriale e promuovendo autentiche azioni culturali.
Immagino un processo per il quale servono energie e risorse… Quali sono le attività che portate avanti durante l’anno in vista del festival?
MC: Danza Urbana rappresenta un punto di convergenza di percorsi e attività sviluppati durante l’anno. Tra i progetti principali, Dancescapes si distingue per promuovere il ricambio generazionale nella danza, finanziato dal Ministero della Cultura. Il progetto supporta giovani autori attraverso borse di ricerca coreografica e residenze artistiche, accompagnate da mentoring, percorsi di formazione, promozione attraverso opportunità di visibilità e borse di mobilità all’estero, promozione. L’obiettivo è esplorare il rapporto tra coreografia, paesaggio urbano e naturale, e spazio pubblico.
Chi sono gli artisti selezionati quest’anno?
MC: Per le borse di ricerca coreografica Bodyscape 2024 sono stati selezionati due progetti innovativi.
Rampante di Daria Greco, liberamente ispirato al Barone Rampante di Italo Calvino, esplora le pratiche dell’ascolto del circostante e della solitudine attraverso un tempo vegetativo e il cambio di prospettiva determinato dalla relazione con un albero. Il secondo progetto, Sogni al Campo di Filippo Porro, indaga il paesaggio della campagna, riconnesso simbolicamente al suo ruolo ancestrale di ambiente di condivisione e collettività e quale luogo di memorie e lavoro collettivo. I progetti hanno avuto luogo in residenze della rete Habitat: Greco alle Torri dell’Acqua di Budrio, mentre Porro alle Sementerie Artistiche, scelte in armonia con le rispettive ricerche.
È terminata anche la residenza formativa di sei giorni per dieci giovani autori, guidata da Leonardo Delogu, con il suo approccio poetico e filosofico al paesaggio, e Alessandro Carboni, che propone un metodo di composizione a partire dalla mappatura urbana. Tra i formatori ci sono il geografo Franco Farinelli, l’architetta paesaggista Annalisa Metta, la storica della danza Rossella Mazzaglia, la storica dell’arte e curatrice Viviana Gravano e l’antropologa Patrizia Cirino.
Questo dà anche una restituzione della complessità di intessere relazioni con enti così diversi…
MC: Danza Urbana è uno snodo di differenti reti.
Il festival si configura esso stesso come una rete complessa in dialogo con amministrazioni pubbliche, associazioni locali, istituzioni culturali e realtà nazionali e internazionali. Tra i nostri partner abbiamo l’Università di Bologna, il Polo Museale dell’Emilia-Romagna e il Ministero della Cultura, oltre a numerose iniziative nate dal basso. E ancora, Rete Habitat è un’iniziativa territoriale – promossa e coordinata da Danza Urbana – volta a fornire spazi gratuiti di lavoro e residenza agli artisti. Ha sostenuto solo nel 2023 19 compagnie con 275 giorni di attività. Coinvolge 14 spazi in 9 comuni dell’area metropolitana di Bologna. La rete risponde alla carenza di strutture dedicate alla danza nella città. A livello internazionale e nazionale, il festival è connesso a reti come Anticorpi Emilia-Romagna, Crisol, il Network Anticorpi XL di cui coordina l’azione Danza Urbana XL per la circuitazione di opere di giovani autori nei paesaggi urbani. La normativa ministeriale, che limita la rendicontazione di eventi gratuiti, penalizza questo ambito per questo diventa necessario costruire reti a supporto degli artisti e della diffusione delle opere di danza urbana. La nostra Associazione continua a sostenere la mobilità e la visibilità degli artisti emergenti offrendo tramite il suo progetto Dancescapes delle borse di mobilità all’estero e sviluppando azioni di scambio e promozione internazionale. Collaborazioni significative includono Red Acieloabierto (rete spagnola di danza nei paesaggi) e Masdanza, concorso coreografico internazionale che, da 15 anni, consente di scoprire artisti emergenti di tutto il mondo, in particolare dall’Asia e Sud America.
Inoltre, il festival mantiene relazioni attive con realtà culturali del Mediterraneo (Libano, Israele, Marocco, Tunisia). In risposta all’attuale crisi in Libano, sta sviluppando un progetto di rete con altre realtà italiane per ospitare giovani artisti libanesi, offrendo loro opportunità di lavoro e connessioni per il futuro. Questa iniziativa rafforza il dialogo interculturale e la scoperta di nuove prospettive artistiche.
Per quanto riguarda invece la sostenibilità ambientale, un festival diffuso come il vostro che va a toccare molti luoghi diversi, in che modo riesce ad attivare processi di sostenibilità?
MC: Il festival si distingue per la sua sostenibilità, con spettacoli prevalentemente diurni che riducono la necessità di impianti luce o allestimenti tecnici complessi. Gli impianti audio, quando necessari, sono portatili e a batteria, minimizzando l’impatto logistico e ambientale.
La filosofia del festival si basa sull’integrazione con i luoghi senza stravolgerli, evitando palcoscenici o tribune, valorizzando invece i contesti naturali o architettonici come parte integrante delle performance. Quest’anno, dieci luoghi sono stati coinvolti, con spettacoli a basso impatto ambientale.
Anche la mobilità del pubblico è ottimizzata: gli eventi sono organizzati in percorsi percorribili a piedi in pochi minuti, riducendo ulteriormente l’impatto ambientale. La sostenibilità e il rispetto per il paesaggio sono valori centrali per un festival che si intreccia con il territorio in modo responsabile. Inoltre, dal punto di vista della sostenibilità sociale il festival si offre e alla cittadinanza con spettacoli diffusi sul territorio, in spazi pubblici e gratuiti.
Tag: DeloguLeonardo (2), Virgilio Sieni (12)