Con Giovanna Marini | La profezia di Anutis
Un'intervista a Laura Giavon
Clara Gebbia intervista per ateatro alcuni artiste e artisti che, a partire dal mondo musicale di Giovanna Marini, hanno sviluppato una loro personale ricerca e identità artistica.
Un omaggio a Giovanna e uno sguardo sul futuro, per vedere ancora una volta come i canti di tradizione orale, indagati e trasmutati, possano nutrire la musica di oggi.
Ho incontrato Laura Giavon, musicista e cantante friulana, nella sua casa del quartiere Pigneto a Roma. Laura, lunghissimi capelli e accento marcatamente friulano, oltre alla splendida voce e alla lucidità dello sguardo sul mondo musicale di tradizione orale, ha il merito di avere catalogato e archiviato le partiture polifoniche di Giovanna Marini, lavoro che ha completato poco prima della scomparsa della compositrice, avvenuta lo scorso maggio. Laura Giavon ci racconta il perché ha intrapreso l’incontro con la musica di Giovanna Marini, che è stato anche un viaggio alla scoperta di sé e delle proprie radici più profonde.
Laura, come è nata l’idea di catalogare e archiviare le partiture polifoniche di Giovanna Marini?
Il mio incontro con Giovanna è avvenuto un anno fa, il tramite è stato Valter Colle (antropologo e imprenditore in ambito culturale, fondatore della etichetta discografica Nota – n.d.r.).
Valter Colle è un personaggio fondamentale per la cultura friulana e in generale per la cultura italiana. Da quando mi sono ritrasferita in Italia, dopo aver vissuto per anni all’estero, è stato per me un punto di riferimento.
Valter mi ha sempre parlato di Giovanna Marini, ma nonostante avesse il merito di aver pubblicato tutti i suoi dischi, insieme abbiamo notato che c’era una grave carenza: era difficile reperire le partiture per i musicisti che volevano cantare la sua musica. Avendo fatto un percorso accademico, so che è importante depositare il materiale cartaceo dei compositori: non ci si può basare sull’ascolto se si vuole fare un lavoro serio.
Il mio rapporto con Giovanna è iniziato proprio quando con Anutis, il quartetto che avevo messo insieme, abbiamo deciso di mettere in scena la Cantata per Pasolini. Abbiamo avuto moltissime difficoltà a reperire le partiture, che erano necessarie perché Giovanna è una compositrice che ha una scrittura musicale complessa. C’è nella sua musica qualcosa di innovativo, di speciale, che in polifonia prima di lei non si era mai visto. Giovanna spinge le voci fuori dai loro ‘recinti’, per usare una sua espressione.
Quando mi è venuta l’idea di sistematizzare il materiale di Giovanna, ho avuto l’intuizione che il lavoro sulle partiture doveva essere guidato da lei stessa, anche perché lei soffriva di essere riconosciuta come cantastorie, narratrice, musicista ‘popolare’, e non come compositrice. Quindi ho chiesto a Valter di proporre a Giovanna di poter curare il suo archivio, e per farlo mi sono trasferita a Roma un anno fa. Nella mia idea dovevo rimanerci tre mesi e invece sono ancora qui. Abbiamo finito di ordinare l’archivio poco prima che Giovanna mancasse.
La produzione di Giovanna è vasta ed estremamente varia. Che tipo di lavoro avete fatto? Cosa e come siete riusciti a catalogare?
Siamo riusciti a catalogare e digitalizzare le sue partiture polifoniche. Mi è dispiaciuto non essere riuscita a catalogare il materiale didattico e quello relativo al canto di tradizione orale, ma non c’è stato abbastanza tempo. Inoltre questo materiale si trovava in un luogo diverso da quello delle sue composizioni. Già Xavier Rebut, suo assistente musicale per parecchi anni alla Scuola Popolare di Musica di Testaccio, aveva fatto un grande lavoro di catalogazione, ma andrebbe tutto digitalizzato. In ogni caso, aver finito il lavoro sulle partiture è stato importantissimo, perché si temeva che non si riuscisse più ad accedere a questo sapere. Adesso toccherà a Valter Colle il compito di pubblicare l’opera omnia, e fare in modo che questo materiale sia accessibile a tutti. Per fare un esempio, se io fossi un insegnante al Conservatorio, farei studiare la musica di Giovanna, per la sua particolarità e perché è importante cantare musica contemporanea.
Hai detto che Giovanna soffriva del fatto di non essere riconosciuta dai musicisti accademici. Perché secondo te c’è stata questa difficoltà da parte del mondo musicale di comprendere il lavoro di Giovanna? C’è sempre stato una sorta di snobismo nei suoi confronti: secondo te a cosa è dovuto?
Per vari motivi. Sicuramente perché è donna, e per di più una donna forte ed estremamente intelligente, che ha utilizzato la musica come veicolo per le sue idee anche politiche. Giovanna aveva una grande facilità di raccontare le cose che accadevano, mi rendo conto che studiando la sua musica sto scoprendo la storia d’Italia. A livello musicale credo sia dovuto al fatto di essere contro le etichette e in questo ho trovato una guida, perché ho sempre fatto parte di quella fazione di musicisti che non riesce a identificarsi e a trovare un proprio spazio preciso nel mondo lavorativo musicale proprio perché si rifiuta di etichettarsi. Quando in Conservatorio studiavo musica classica ero considerata ‘la jazzista’ perché studiavo anche jazz, tra i jazzisti ero quella stramba che cantava Monteverdi…
In sostanza per essere riconosciuti di solito è necessario precisare il proprio genere musicale, ma in realtà la musica è unica. Giovanna è stata riconosciuta come cantate politica, narratrice e cantastorie, e pochissimi conoscono il suo lavoro polifonico. C’è anche una difficoltà ad ascoltare la sua voce, proprio perché fuori dal recinto. Inoltre questo è un paese che non riesce a dare valore alle proprie punte di diamante, almeno non nella musica contemporanea. La cultura viene veicolata in maniera superficiale e convenzionale, e la musica di Giovanna devi andarla a cercare, non viene data in ascolto.
In realtà lei è innovativa quanto lo era un Josquin Desprez (compositore franco-fiammingo di musica rinascimentale che attingeva al repertorio popolare, n.d.r.) nel Quattrocento.
Vedere Giovanna a Roma è stato importante per contestualizzarla nel suo mondo, per vederla all’opera alla Scuola Popolare di Musica di Testaccio, con i cori popolari. Perché in fondo anche lei forse rifiutava il mondo della musica colta, che riteneva frustrante, dando valore anche alla spontaneità.
Poi c’è anche una difficoltà in Italia a valorizzare il patrimonio e la cultura orale in genere.
Anzi c’è stata una vera e propria spaccatura con la cultura orale, si è creata una voragine enorme tra la tradizione e il nuovo. Una figura della caratura di Giovanna Marini, che ha cercato di portare avanti elementi della cultura orale – ormai perduta – anche a livello di scrittura, ha un’enorme importanza. Adesso mancano le storie che vengono dal basso, ed è un problema anche per la musica ‘colta’, che ha sempre attinto dalla cultura orale popolare ma non viceversa. Anche i corali di Bach sono melodie popolari luterane che lui ha preso e armonizzato proprio perché il popolo doveva partecipare in chiesa durante la messa.
Dicevi che l’esigenza di consultare le partiture di Giovanna Marini è emersa quando hai deciso con il tuo quartetto di mettere in scena la Cantata per Pasolini. Come è nato il quartetto Anutis?
Anutis è nato nel 2022. Formare un quartetto era un mio desiderio da tempo, ma non riuscivo a trovare le persone giuste. A un certo punto ho trovato lo slancio necessario e l’ho formato assieme a Juliana Azevedo, cantante portoghese che vive a Roma. Eravamo colleghe in conservatorio e da anni volevamo cantare insieme. Poi c’è Alba Nacinovich, istriana di Fiume, e Caterina De Biaggio, una mia conterranea friulana. Il 2022 era l’anno di Pasolini, in Friuli c’erano dappertutto eventi pasoliniani e mi sembrava incredibile che nessuno proponesse la Cantata per Pasolini di Giovanna, l’unica compositrice che ha messo in musica le sue poesie. E mi è sembrato doveroso cantarla noi.
Il tuo incontro con Giovanna è avvenuto circa un anno fa. Ma quando hai incontrato la sua musica? Ha fatto parte in qualche modo della tua cultura musicale?
Se personalmente ho incontrato Giovanna un anno fa, musicalmente l’ho incontrata da adolescente attraverso i miei genitori. Non ricordo esattamente quando, ma mia madre è musicista e mio padre collezionista di dischi. È stato lui che al mio diploma di laurea, dove pur non essendo chitarrista ho suonato una canzone con la chitarra, mi ha detto “Sembri Giovanna Marini”.
Quando hai capito che volevi approfondire lo studio della sua musica, e perché?
In un primo tempo non avevo capito l’importanza della figura musicale di Giovanna Marini, anche perché studiavo all’estero, ad Amsterdam, dove sono rimasta sette anni. Sono andata via dall’Italia molto presto, a quindici anni, e sono stata fuori per più di dieci anni, prima in Austria e poi ad Amsterdam. Giovanna è cominciata a diventare importante nel mio percorso di ricerca quando ho iniziato a chiedermi chi ero, quali erano i miei canti, qual era la mia voce, quando ho cominciato a cercare un’origine. Per questo mi sono messa a fare ricerca nella musica popolare italiana, anche perché ad Amsterdam ho incontrato per esempio spagnoli, greci, gente che era in contatto profondo con la propria musica tradizionale.
Noi italiani, che abbiamo un’enorme ricchezza musicale, non abbiamo una cultura popolare identitaria. Forse proprio perché è così variegata si fa fatica a riconoscerla come unitaria. Ma al di là di questo, credo che qualcosa sia successo nel nostro paese: sono sicura che ci sia stato un boicottaggio della cultura popolare anche se ancora non ho capito esattamente cosa sia successo e perché. La musica greca e la musica balcanica richiedono una grande professionalità sia a livello strumentale che vocale, invece la musica popolare in Italia è come se fosse essere una cosa facile, da fare quasi per gioco. Ho letto tempo fa un articolo di Alan Lomax. Diceva che l’anno che aveva passato in Italia era stato in assoluto il più ricco della sua vita, aveva visto un’eterogeneità di cultura e musica popolare che non aveva incontrato da nessun’altra parte e attribuiva l’appiattimento della cultura musicale al Festival di Sanremo. Chissà…
Giovanna comunque, come dicevo, per me è diventata importante quando ho cercato la mia identità vocale e la mia appartenenza. Sono tornata a vivere in Italia sei mesi prima del Covid, ed è stata una scelta coraggiosa perché lavorare in Italia con la musica non è facile. In realtà tutto è successo perché mi ero trasferita per un periodo in Zimbabwe, perché un mio cugino, sposato con una donna del posto, aveva aperto una scuola a gestione familiare. Sono andata lì dopo il diploma in conservatorio e ci sono rimasta alcuni mesi. Quando sono tornata in Olanda, ero convinta che sarei rimasta a vivere lì, perché il mondo delle opportunità per i musicisti è completamente diverso: lavoravo nei cori, cantavo, insegnavo con una paga assolutamente imparagonabile alle paghe italiane. Ma dopo lo Zimbabwe mi sono resa conto che lì, dall’altra parte del mondo, sotto l’equatore, in tre mesi mi ero molto sentita molto più a casa che ad Amsterdam, dove avevo vissuto per sette anni. Avevo bisogno di tornare al Sud del mondo. La prospettiva di vita olandese era troppo fredda per me, quindi ho deciso di rientrare in Italia.
Poi c’è stato il Covid che ci ha fermato tutti nello spazio e nel tempo. Nel frattempo avevo conosciuto le ragazze con cui poi ho fondato Anutis. Nel settembre 2022 abbiamo cominciato a lavorare alla Cantata per Pasolini e con l’aiuto di Valter siamo potute scendere a Roma e lavorare con Giovanna alla sua musica.
Cosa c’è di diverso tra la vostra Cantata e quella dello storico Quartetto Vocale?
La Cantata l’abbiamo rivisitata, proprio perché non volevamo essere una brutta copia del quartetto di Giovanna. Lei ci ha dato molta libertà, purché rispettassimo il senso della sua musica. Avevo desiderio di lavorare in maniera teatrale sulla scena, e l’abbiamo fatto insieme ad Alid Talliente, regista e attrice friulana che ha vissuto a lungo a Roma.
Non volevamo fosse una carrellata della sua musica. Giovanna legava tutto con i suoi racconti. Noi abbiamo scritto poco testo, giusto qualche incipit per dare il modo al pubblico di entrare dentro quello che cantiamo. Abbiamo diviso la musica della Cantata per Paolo Pasolini in tre quadri: il primo è quello dei Turcs tal Friùl, il secondo è quello politico, il terzo è quello poetico sulle Poesie a Casarsa. Il concetto è lo stesso di Giovanna: quattro donne in scena vestite di nero ma con una partitura di gesti semplici che servono a far fluire la musica e darci una dimensione corporea che è necessaria. D’altra parte in scena ci sono solo i nostri corpi.
Mi interessa l’aspetto teatrale e lo ricerco, e per me era importante che ci fosse, pur non essendo attrici. Abbiamo debuttato con la Cantata a Udine a dicembre 2022 al Teatro San Giorgio, e poi abbiamo cominciato a fare concerti in giro. Il quartetto è stato sostenuto da una piccola produzione del Coro del Friuli-Venezia Giulia diretto da Cristiano Dell’Oste insieme a Valter Colle che è stato il nostro tramite con Giovanna.
Il quartetto si chiama Anutis, un nome che ha origini pasoliniane. Vuoi spiegarcelo?
Le prime musiche su cui abbiamo lavorato sono state quelle dei Turcs tal Friùl. Questo testo teatrale di Pasolini, che era andato perduto, poi ritrovato e pubblicato postumo nel ’76, racconta di Casarsa, paese natìo di Pasolini, che nel Cinquecento aspettava l’invasione dei turchi. Nel 1995 è stato messo in scena da Elio De Capitani su musiche di Giovanna Marini. Il testo è bellissimo, ha un livello di tensione sempre crescente e lo spettacolo si interrompe nel momento in cui stanno per arrivare i turchi. Il paese si riunisce in questa tensione, paura e angoscia. Alcuni dicono che bisogna andare in chiesa a pregare e altri che si devono respingere i turchi con i forconi. Queste due fazioni sono rappresentate da due fratelli e c’è una figura di oracolo che è Anuta Perlina. Lei ha attraversato molti dolori e per questo è diventata saggia. Giovanna ha avuto l’intuizione di affidare questo ruolo ad un coro di donne che si muovono tutte contemporaneamente e cantano.
Il vostro prossimo progetto come Anutis è quello di rappresentare un’altra cantata di Giovanna, La grande madre impazzita. Come mai avete scelto proprio questo lavoro?
Perché è un testo estremamente attuale che racconta di una grande madre che vuole imporre la sua visione del mondo ai figli e dice che la guerra e la fame non esistono. I figli allora mettono in piedi un complotto per ucciderla. Oltre alla musica, che merita di rivivere, questa cantata è interessante perché anche il testo è di Giovanna, è a pieno titolo un’opera di teatro musica. Altri lavori in cui lei scrive anche il testo anche teatrale non ce ne sono, è l’unico tutto di suo pugno.
Hai altri progetti oltre ad Anutis?
Ho un duo con un batterista friuliano, Marco D’Orlando, e sta uscendo il nostro nuovo disco, Rivocs, per Nota. È un lavoro che abbiamo iniziato tempo fa per voce, percussioni e basso insieme ad altri strumenti come xilofono e Glockenspiel.
Nell’immaginario di questo disco c’è la campagna friulana dove siamo cresciuti, la musica e i testi sono nostri, ci abbiamo lavorato tantissimo nell’arco di tre anni. Poi ho tanti altri progetti, tra cui far partire un coro a Roma con un repertorio vario. Ma il progetto fondamentale resta quello di cantare, a modo nostro, il repertorio di Giovanna Marini, e siamo felici che ora, dopo aver messo ordine nel suo archivio, altri musicisti potranno avere accesso alle sue opere che potranno essere accessibili anche alle generazioni future.
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