TourFest2024 | Al cinema per costruire consapevolezza ambientale
Cinemambiente a Torino
Mi metto in coda e attorno a me si forma una piccola folla, composta da persone di tutte le età: capelli bianchi, bambini, giovani che si tengono per mano. È una sensazione bellissima, siamo tutti trepidanti e in attesa di poter entrare. Ciascuno di noi avrà sfogliato il programma, sarà rimasto incuriosito da un titolo e avrà deciso di segnarsi la data e l’orario. Forse la curiosità sarà cresciuta nel corso dei giorni che separavano da quella data, oppure ci si sarà informati sul tema dell’incontro o sulla storia del regista. Chissà cosa andrà a guardare questa signora a fianco a me, e invece che film avrà scelto quella famiglia vicino all’ingresso? E’ finalmente ora di entrare e non me ne stavo accorgendo!
I volontari controllano i biglietti, si salgono le scale e poi si cerca la sala giusta. Ci si accomoda sulle poltrone, e finalmente si abbassano le luci.
Inizia così la mia esperienza al Festival Cinemambiente. Si tiene a Torino nella prima settimana di giugno ed è una delle più importanti manifestazioni italiane dedicate ai film a tema ambientale. Fondato nel 1998 da Gaetano Capizzi, è giunto quest’anno alla sua 27 edizione. L’edizione 2024 si è tenuta dal 4 al 9 giugno, sotto la direzione di Lia Furxhi (data la recente drammatica scomparsa dello storico direttore e fondatore), con 76 film prodotti da registi e registe di 27 paesi. Il Festival propone film e cortometraggi a tema ambientale di registi del cinema indipendente, oltre a incontri con autori ed esperti e la partecipazione a diversi concorsi cinematografici per cortometraggi a tema ambientale riservate ai registi emergenti ed alle scuole.
E’ il festival ideale per risvegliare la consapevolezza e coscienza ambientale, e per rafforzare la conoscenza su un mondo così vasto e urgente, su temi di cui spesso i media non danno notizia.
Cuore del festival è il Cinema Massimo, proprio sotto la Mole. Il cinema è aperto e ci sono quattro volontari con le magliette azzurre. L’immagine-tema di questa edizione è un enorme sole scuro al centro di un cielo azzurro pieno di nuvole. Mi avvicino alla cassa e prendo i miei biglietti, gratuiti. Penso che sia una grande trovata, perché la conoscenza deve essere accessibile per tutti e tutte, soprattutto se si vuole creare maggiore consapevolezza. Peccato però che le sale non siano così piene: le persone che attendevano all’entrata saranno state una cinquantina. Insomma, sempre meno di quanto sarebbe bello che fossero.
Il linguaggio del cinema sa essere diretto e travolgente, attraverso i suoni, i rumori e le immagini. Mi ritrovo a viaggiare nel tempo e nello spazio, mentre guardo il cortometraggio Pouring Water on Troubled Oil di Nariman Massoumi. Il documentario è un susseguirsi di fotogrammi d’epoca che raccontano la storia poco conosciuta della Anglo-Iranian Oil Company, compagnia petrolifera anglo-iraniana nata dopo la scoperta di un giacimento petrolifero in Persia nei primi anni del Novecento. La storia è raccontata attraverso le lettere dello scrittore Dylan Thomas, ingaggiato dal governo britannico per scrivere la sceneggiatura di un film propagandistico. Thomas viene inviato in Iran per ammirare la raffineria di Abadan e la vita delle colonie britanniche. Ma la realtà davanti che si trova di fronte è ben diversa: estrema disuguaglianza e raccapricciante povertà sono le condizioni in cui vive la maggioranza della popolazione, tranne una piccola minoranza di facoltosi ed eleganti iraniani, i principali interlocutori di quel mondo di lusso sconsiderato e di malato esotismo messo in piedi per attirare i coloni britannici. Ma qual è il reale impatto della raffineria petrolifera sulla vita degli operai? Per Dylan Thomas quello del governo britannico è il tentativo di “versare dell’acqua sull’olio bollente”. Pochi anni dopo la sua visita, la popolazione operaia inizierà a ribellarsi e scioperare, e successivamente riuscirà a ribaltare la condizione di colonizzazione, anche se i britannici per ripiccano determina il blocco delle esportazioni di petrolio iraniano e ribattezzare la compagnia British Oil Company. Le lettere di Thomas restano la testimonianza del triste epilogo di una storia che si conosce troppo poco, ma che ricalca le dinamiche coloniali che gli stati occidentali continuano a perpetuare ancora oggi.
Molto diverso è stato l’evento Biodiversità e conservazione del wildlife, dialogo tra il giornalista della “Repubblica” Giacomo Talignani e diversi esperti conservazionisti: John Jurko (regista del film Rhino Man, dedicato alla storia del ranger Antoine Mzimba, ucciso nel 2022 in Sud Africa da alcuni bracconieri), Davide Bomben (esperto d’Africa e trainer di squadre di rangers che lavorano nelle aree protette africane), Michele Sofisti (CEO GCC e co-fondatore di Nzatu Food Group che ha lavorato con Antoine Mzimba), Andrea Chiesi (conservazionista e presidente di Nzatu Food Group) e Marco Gualtieri (fondatore e presidente di Seeds&Chips). Basta poco per sentirsi subito in Africa, dove è ancora molto presente il riprovevole fenomeno del bracconaggio, che mette a rischio il delicato equilibrio ecosistemico. Ci sembra un problema molto distante da noi, ma basta guardare ai nostri mari dove bracconieri si muovono alla ricerca di alcune specie protette di pesci. L’incontro parte chiedendosi che cosa significa essere conservazionisti oggi, e racconta dell’impegno del corpo dei ranger nel sorvegliare le zone protette prendendosi cura degli esemplari che le abitano. Tuttavia la più importante opera da compiere per salvaguardare le specie a rischio è la sensibilizzazione della popolazione locale che i rangers svolgono, soprattutto attraverso incontri e progetti che svolgono nelle scuole africane.
La sensibilizzazione è tema anche del film Abyss Clean Up del regista Igor D’India. Il documentario inizia con la scoperta sconvolgente di un enorme deposito di rifiuti che si trova sul fondo del mare italiano, nella zona dello Stretto di Messina. Il regista ha viaggiato per quattro anni in diverse parti del mare italiano per documentare lo stato dei fondali marini e la presenza dei rifiuti. Ne sono emerse storie incredibili, a partire dal fatto che i rifiuti visibili a occhio nudo perchè depositati sui fondali o sulle nostre spiagge, rappresentano, secondo le stime dei ricercatori, solamente il 10% dell’ammontare totale dei rifiuti riversati in mare. Per non parlare della sconvolgente situazione dei fondali antistanti la località di Varazze, dove nel 1970 grazie a un accordo tra la Fiat e le amministrazioni locali vennero sversate e fatte affondare migliaia di automobili, con l’intenzione di favorire il ripopolamento dei fondali, rimasti deserti dopo òa violenta alluvione avvenuta quell’anno. Inutile dire che ormai risulterebbe più dannoso spostare questo tipo di rifiuti che mantenerli dove sono e dove resteranno per sempre. Il film evidenzia le ombre di un mare solo apparentemente cristallino e che sembra senza futuro. Ma il futuro c’è e possiede tanti volti, come quelli dei tanti volontari subacquei che si impegnano nella pulizia dei fondali in diverse parti d’Italia. O il volto delle persone comuni, come Carmelo, giovane attivista che nel 2017 ha recuperato lo scheletro di un capodoglio spiaggiato dopo aver ingerito di alcuni rifiuti: attorno a questa storia è riuscito addirittura a creare un museo, il Museo del mare di Milazzo.
Esco dal cinema e mi rendo conto di essere molto fortunata. Ho deciso di cogliere un’opportunità per lasciarmi interrogare dalle tante storie che testimoniano l’impatto del cambiamento climatico. Mentre torno a casa, inizio a pensare: quali sono le piccole abitudini posso cambiare, per trasformare in azione le emozioni ricevute durante il festival? Nella pancia del capodoglio spiaggiato di Milazzo non si trovava un qualche strano residuo di lavorazione industriale, ma un vasetto da giardinaggio.