Cechov, il rap e gli ayatollah, ovvero Le mie tre sorelle, la lotta delle donne iraniane e la pena di morte

Sadaf Baghbani in scena al Teatro Franco Parenti con la regia di Ashkan Khatibi e 150 proiettili in corpo

Pubblicato il 25/04/2024 / di / ateatro n. 195

Il 4 novembre 2022 Sadaf Baghbani, poco più di vent’anni, è uscita di casa per andare alla cerimonia in memoria di Hadis Najafi, uccisa qualche giorno dopo Mahsa Amini. Con migliaia di persone, tantissime ragazze, cercava di raggiungere la tomba della ragazza, nel cimitero di Teheran. La polizia ha iniziato a sparare. Dopo quelle raffiche di pallini da caccia, molte ragazze sono rimase cieche.

Sadaf Baghbani

Il corpo di Sadaf è stato lacerato da 150 proiettili di piombo. Molti sono arrivati vicino agli organi vitali, uno a pochi millimetri dall’occhio. Ha rischiato la vita, anche perché farsi curare era molto difficile. Andare in ospedale significava l’arresto e altre violenze: le donne che reclamano i loro diritti devono essere umiliate e punite. I medici non vogliono rischiare la vita o il carcere per curare di nascosto chi ha osato protestare contro il regime.
Dopo mesi di sofferenze, passati in clandestinità, Sadaf ha deciso di abbandonare l’Iran e le sue amate sorelle. E’ atterrata a Malpensa un paio di mesi fa, per curarsi, per poter essere finalmente sé stessa, per coronare il suo sogno: fare l’attrice.

Ashkan Khatibi

In Iran Ashkan Khatibi era una star, lo riconoscevano per la strada. Attore, regista, musicista, era il protagonista di Khatoon, una serie tv di enorme popolarità. I suoi guai con il regime erano iniziati nel 2009, ai tempi del riformista Mousavi, quando il Green Movement iniziò la sua battaglia per la democrazia. Insieme ad altri attori e registi venne malmenato, perse il lavoro e fu costretto a rifugiarsi per quattro anni in Germania, finché non gli fecero sapere che poteva tornare e riprendere la sua carriera. Un bel teatro, spettacoli di successo, una famiglia. Ma, come racconta a “Vanity Fair”, “poco alla volta capisco di essere diventato un piccolo ingranaggio del regime. Insegnavo teatro ai ragazzi, così ho iniziato a sostenerli, ad amplificare la loro protesta sui social.” Con quei ragazzi fonda una compagnia teatrale, Chahar Payeh (lo Sgabello). Il giorno dopo la morte di Mahsa Amini, qualcosa cambia. “C’è un interrogatorio, ma non di quelli ‘educati’ a cui ero abituato”. Subisce altre violenze, minacce, intimidazioni. Riesce a uscire dall’Iran, ma resta bloccato in Turchia, finché grazie all’aiuto di alcuni registi italiani riesce ad arrivare nel nostro paese, con un visto, per iniziare una nuova vita a 44 anni. Il video ufficiale della sua ultima canzone, Daste Akhar l’ha girato a Ferrara e canta la lotta delle donne iraniane.

Sadaf è sulla scena di una delle sale del Teatro Franco Parenti, a Milano, in uno spettacolo con la regia e la drammaturgia di Ashkan Khatibi, Le mie tre sorelle. Con 150 proiettili in corpo, Sadaf racconta la sua storia: una famiglia difficile, il profondo legame con le due sorelle, la vita quotidiana in una società dove la violenza contro le ragazze è la norma. Ci sono gli affetti, c’è la dignità, ci sono le sofferenze e le speranze di una generazione. C’è, nelle sue parole, la consapevolezza semplice e profonda delle donne iraniane, la forza della giovinezza.

Le mie tre sorelle, regia di Ashkan Khatibi

Si racconta in farsi, mentre le sue sorelle (interpretate in scena Nazanin Aban e Saba Poori) recitano in italiano, ma poi rappano la loro rabbia e la loro lotta in farsi, perché il rap è diventato per il giovani la lingua della rivolta. E s’intreccia, alla fine, con le parole di dolorosa speranza che Cechov mette sulla bocca delle sue giovani protagoniste, di fronte all’ingiustizia del mondo.

Toomaj Salehi, 33 anni, si guadagnava la vita facendo il metalmeccanico, ma era uno dei rapper più amati del paese, con più di un milione di follower tra Instagram e X.

Toomaj Salehi

Questo è il campo di battaglia.
Qualunque sia il vostro colore, venite, senza di voi manca qualcosa.
Questo è il campo di battaglia.
È il momento di attaccare il nemico senza paura.
Questo è il campo di battaglia.
Ricchi e poveri, di qualsiasi razza e popolo,
ci mettiamo in fila come cartucce.
Questo è il campo di battaglia.
La nostra spada è l’amore, il nostro cavallo è il coraggio e il nostro scudo è la fedeltà.

È il momento di far sparire le differenze e di costruire l’unità.
Sono orgoglioso di essermi affidato ai miei compatrioti e di essere diventato un sostegno per loro.
È il tempo della rabbia e della ribellione del popolo
È tempo di eliminare gli opportunisti
di qualsiasi ideologia, di qualsiasi religione.
State con noi, noi siamo stati con voi per anni.
Siamo la voce della rabbia delle persone la cui voce è stata messa a tacere.
Non chiamateci ribelli, siamo venuti per la rivoluzione.
Arabi, Assiri, Armeni, Turcomanni, Mazdarani,
Sistani, Balus, Talesi, Tat, Azari,
Curdi, Gilaki, Lor, Farsi, Qasqayi.
Siamo l’unità dei fiumi, siamo il mare.
Atleti e artisti,
venditori ambulanti e uomini d’affari,
studenti e insegnanti,
ingegneri e operai.
Gridiamo il diritto e siamo sordi ai dittatori.
Donne, libertà, vita.

Toomaj Salehi era stato arrestato nell’ottobre 2022, dopo l’uccisione di Masha Amini. Anche se ha sempre dichiarato che le sue proteste sono pacifiche, un anno fa era stato condannato a sei anni e tre mesi di reclusione. La Corte Suprema aveva escluso la pena di morte. Era stato rilasciato su cauzione nel novembre 2023. Non è bastato. E’ stato riarrestato due settimane dopo, in seguito a un video in cui raccontava le torture subite.
Il 24 aprile 2024 il tribunale rivoluzionario di Isfahan ha condannato Salehi alla pena capitale, perché colpevole di “corruzione sulla Terra”, che comprende reati come la “propaganda contro il sistema”, “incoraggiamento alla violenza”, “formazione di gruppi illegali per minare la sicurezza” e “cooperazione con Stati ostili per rovesciare la Repubblica Islamica”. Il suo avvocato ha 20 giorni per presentare l’appello.

Donne, Libertà, Vita, ovvero Zan, Zendegi, Azadi, sono le parole d’ordine delle donne nelle strade e nelle piazze dell’Iran.

IL LINK

Ashkan Khatibi sulla censura in Iran




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