Forse 408 teatri verranno dichiarati “monumento nazionale” ma di sicuro la lista è un monumento all’approssimazione
Nell'elenco approvato alla Camera il 3 aprile 2024 ci sono doppioni, clamorose lacune, edifici distrutti dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale
Il 3 aprile 2024 la Camera ha approvato la legge “Dichiarazione di monumento nazionale di Teatri italiani”, con l’elenco dei 408 teatri che hanno ottenuto l’ambito riconoscimento. A seguire le dichiarazione euforiche di amministatori e politici, con il giubilo delle testate locali, perché il campanilismo vende sempre.
“Che gioia! In città abbiamo un monumento nazionale!”
“Noi ne abbiamo tre!”
“Cinque monumenti nazionali nella nostra Provincia!”
“Un successo: 12 monumenti nazionali in Regione!”
La lista dei 408 è ricostruibile dal resoconto della seduta del 3 aprile 2024 (consultata il 6 e il 7 aprile 2024 sul sito della Camera). Al 46 teatri inseriti nell’elenco iniziale presentato in Commissione Cultura a marzo se ne sono aggiunti a centinaia, portando a un elenco che è insieme sterminato e lacunoso.
A un primo esame, mancano per esempio il Teatro Carignano di Torino o il Teatro Gustavo Modena di Genova. Se nell’elenco fanno capolino i teatri greci di Agira, Tindari, Segesta e Siracusa, non si capisce perché siano stati esclusi il Teatro Romano e l’Arena di Verona (che oltretutto è la città del sottosegreario Mazzi) o il Teatro Bellini a Napoli e il Teatro Romano di Pompei (che al ministro Sangiuliano dovrebbe essere cari).
Surreale il caso di Milano, dove figurano il Teatro delle Erbe e un distopico Teatro Fossati, ma poi manca il Teatro Gerolamo.
Ricompaiono qua e là, come per magia, alcuni teatri distrutti dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale: ma allora perché non c’è il Teatro San Marco di Livorno, dove venne fondato il Partito Comunista Italiano?
Dunque nessun controllo di merito sulle proposte raccolte. E nella fretta, qualcuno ha riletto la lista? Perché a un primo esame si rilevano diversi doppioni (anche se a volte non lo sembrano…). Per esempio, ce ne sono a Treviso e a Palermo ma anche a Gonzaga o Saluzzo…
L’unica certezza: i teatri monumento nazionale non sono e non saranno 408. In primo luogo perché passando al Senato la lista verrà ripulita (si spera) dagli errori più grossolani, e poi perché a questo punto si moltiplicheranno gli emendamenti degli esclusi.
Abbiamo inserito i 408 teatri in una mappa, con qualche annotazione a margine sui casi per noi più clamorosi. Dopo questo primo esame, continueremo a lavorare sulla mappa, anche con l’aiuto e le segnalazioni dei nostri lettori, sia sui teatri presenti nella lista sia sui teatri che dovrebbero figurare nell’elenco. Perché è giusto che siano (o non siano) nella lista? Che cosa succede in quei teatri? Che cosa dovrebbe succederci?
Restano irrisolti i nodi che Ateatro aveva già segnalato: scarsa chiarezza nei criteri con cui è stata compilata la lista (a cui va aggiunta l’incompetenza teatrale di chi l’ha gonfiata), scarsa chiarezza del rapporto tra questi “monumenti nazionali” e l’attività che vi si svolge, scarsa chiarezza del rapporto di queste realtà con il sistema del finanziamento pubblico allo spettacolo, scarsa chiarezza sugli obiettivi del provvedimento e sui finanziamenti necessari per realizzarli. Così com’è, la lista rischia di assegnare solo una patacca.
Nelle intenzioni, il provvedimento avrebbe dovuto riconoscere il valore del teatro per l’identità sia nazionale sia delle diverse comunità che popolano il nostro paese, nelle città e nei borghi: perché i teatri fanno parte del nostro paesaggio, perché il teatro ha accompagnato le svolte cruciali della storia del nostro paese, perché quelle sale sono un punto di riferimento per la collettivià, perché lo spettacolo dal vivo ha rappresentato e rappresenta un indispensabile strumento di consapevolezza civile e di crescita democratica.
Forse per dare un senso a questa rinnovata attenzione al teatro, bisogna ripensare alle funzioni e alle modalità di gestione del teatri comunali. Molti di questi teatri porebbero e dovrebbero diventare la casa di artisti che lavorino anche al servizio della comunità e del territorio in cui si trovano. L’importante non sono i muri (magari da restaurare, con un serio piano architettonico e artistico), ma la vita che ospitano, il dialogo tra la scena e la platea, la dialettica tra il teatro e la città.
Così compilato, l’elenco rischia invece di sembrare una delle liste scombiccherate e interminabili che intonavano i cantibanchi nelle fiere. “Venghino, venghino signori e belle signore!”. Ma anche questo è teatro. Meglio, teatro all’antica italiano.