Le parole del teatro: memoria | L’incontro Giulia Alonzo e Oliviero Ponte di Pino con gli spettatori dell’ITC Teatro
A San Lazzaro per Spettacolo, spettatori e no all'ITC Teatro
Siamo partiti nel 2022 da un’idea molto semplice: far incontrare alcuni “spettatori professionisti” come noi di Ateatro, Giulia Alonzo e Oliviero Ponte di Pino, e alcuni “teatranti professionisti” del Teatro dell’Argine (Nicola Bonazzi, Micaela Casalboni, Andrea Paolucci), con un gruppo di appassionati che frequentano l’ITC e/o i suoi laboratori, e magari anche altri teatri, tra cui Lorenzo Cavrini, Brankica Grudic, Marco Martinelli, Diana Naldi, Elisa Pompilio, Luisa Maurizzi, Anna Maria Rosi.
Volevamo ragionare insieme intorno ad alcune parole, scelte insieme a partire dalle curiosità condivise, per capire qualcosa di più su quell’arte che tanto ci affascina. Volevamo provare ad approfondire temi che incuriosiscono alcuni spettatori, sulle pratiche e sugli elementi costitutivi della messinscena, un percorso di conoscenza non solo e non tanto delle compagnie in programma, bensì dei processi che stanno dietro e attorno la creazione e la costruzione di uno spettacolo.
Gli incontri sono stati ospitati dal tendone dell’ITC Lab e accompagnati da un sostanzioso aperitivo.
Frammenti di un dizionario per il teatro
26.11.2022 | Stupore (vedi la scheda)
03.12.2022 | Memoria
28.01.2023 | Tempi
04.02.2023 | Verità scenica
25.02.2023 | Fine
20.01.2024 | Comunità
27.01.2024 | Regia
24.02.2024 | Mito
06.04.2024 | …
Memoria
ITC Teatro, 3 dicembre 2022
“Memoria” è la seconda parola scelta dagli spettatori dell’ITC Teatro come bussola nel nostro viaggio nel “paese di teatro”.
Il teatro è l’arte della memoria. Gli attori usano l’espressione “fare memoria” per riferirsi all’attività di memorizzazione del testo che è alla base dell’evento teatrale. Per gli attori il teatro è anche memoria del corpo, delle azioni e dei gesti e della loro collocazione nello spazio.
Da questo punto di vista, il teatro è riattivazione della memoria, realizzazione di qualcosa che è stato progettato in precedenza, in maniera più o meno dettagliata. Il teatro occidentale è memoria ogni volta ravvivata nel presente di una tradizione lunga oltre 2500 anni, un filo rosso che va dall’antica Atene a oggi.
Però c’è un paradosso. Uno spettacolo non è un libro o un quadro, non lascia una traccia materiale: scompare nel momento stesso in cui accade, per poi vivere unicamente nel ricordo dello spettatore.
Com’è giusto, al Teatro dell’Argine l’attenzione si concentra sulla memoria dello spettatore.
“Se lo spettacolo non mi è piaciuto, stop. Però è chiaro che c’è una selezione. Probabilmente la traccia che lascia uno spettacolo nella mia memoria è associata alle emozioni che avevo già dentro quella sera, quando sono andato a teatro. La visione di uno spettacolo è fortemente legata alle emozioni che sto provando in quel momento. Per questo motivo non do un giudizio a caldo, ma continuo a elaborare.”
La memoria di uno spettacolo, se è efficace, continua a lavorare nel tempo. Ma la nostra attenzione è intermittente, il ricordo parziale, con il tempo si affievolisce.
Ma cosa ci si ricorda di uno spettacolo, magari dopo decenni? Perché una certa immagine resta impressa nella memoria, e altre si affievoliscono subito? Perché di certi spettacoli non ricordiamo quasi nulla?
“A me restano solo dei frammenti, soprattutto dopo tanti anni. Il modo in cui hanno mosso una sedia, alcune battute. La musica è uno degli elementi che rimangono di più.”
“No, non è questo. Amleto è stato fatto da mille attori, ma quelli memorabili sono tre: e non c’entrano le battute, le luci o le musiche. Sono loro.”
“Andare a teatro per me è come quando incontri una persona per la prima volta. Una sensazione: non sai se hai visto gli occhi, il naso, ma è una sensazione generale. Andare a teatro è uguale: una sensazione generale, un tutto che poi è creato di particolari.”
Ma allora perché, di uno spettacolo, appena calato il sipario oppure a distanza di anni, ci ricordiamo proprio quel particolare?
“Sono sensazioni estremamente soggettive che si agganciano al nostro vissuto. Non entriamo in sala da soli, ma con tutta la nostra storia e il nostro essere, il nostro territorio, i nostri studi, e anche la situazione emotiva di quel momento. C’è chi avanza l’ipotesi di dover entrare a teatro senza emozioni, ma tutti sanno che è impossibile entrare in un luogo senza emozioni.”
Una citazione di Gianni Rodari ci invita a distinguere tra ricordo e memoria, perché come lui stesso amava ripetere:
“I ricordi sono il lato poetico e patetico della nostra memoria”.
Per Rodari, i ricordi sono i frammenti individuali dettati dalla nostra emozione, che mettono in gioco i sentimenti e le soggettività. La memoria invece può diventare un elemento collettivo di costruzione di comunità.
“Quando siamo andate a vedere lo spettacolo di Micaela Casalboni La luce intorno, a un certo punto piangevamo tutte: era un flusso di energia condiviso in un ambiente protetto. La memoria di quell’emozione condivisa non mi lascerà.”
“Mi ricordo di aver letto uno studio scientifico che mostrava che quando vedono uno spettacolo le persone entrano in sintonia, accade per esempio i battiti del cuore. Sono emozioni condivise che aiutano a essere comunità.”
Ma in che modo il teatro può aiutarci a costruire una memoria collettiva? A molti viene subito in mente il teatro sociale e civile.
“Il racconto del Vajont di Marco Paolini ha aiutato a creare coscienza civile.”
Qualcuno sostiene che gli italiani sono un popolo senza memoria.
“Mi ricordo un testo di Stefano Massini con Ottavia Piccolo, Cosa Nostra spiegata ai bambini. Il teatro è forse lo strumento che meglio permette di riflettere sulla nostra storia: ha una funzione civile, è una memoria storica che permette di riflettere su un passato che è anche individuale.”
Ma non sono solo gli spettacoli di teatro civile che aiutano a costruire la memoria collettiva.
“Anche se andiamo a vedere uno spettacolo di prosa come Pinocchio possiamo costruire comunità attorno a quel fatto.”
Accadeva con il teatro greco, quando la comunità dei cittadini si raccoglieva per rivivere e discutere i miti condivisi. Nell’Ottocento il teatro era ancora un mezzo di comunicazione di massa, un evento popolare, dove si andava non solo per assistere a uno spettacolo, ma anche per mangiare e bere, per conoscersi e riconoscersi come elementi di una comunità.
“E’ proprio quello che fa il Teatro dell’Argine. Io qui sto bene, ci vengo anche per vedere persone che – lo so – provano le stesse emozioni che provo io, oltre che per mangiare le polpette. Ma a parte noi, il pubblico del teatro è aumentato? Perché m sembra che manchino i giovani: dove sono? Stiamo perdendo la memoria del teatro?”
Se il teatro è la memoria della comunità, tutte le sue diverse componenti dovrebbero essere coinvolte e sentirsi rappresentate. Ma le statistiche ci dicono (e lo vediamo quando frequentiamo i luoghi della cultura) che i cittadini e le cittadine italiane che vanno a teatro sono una piccola minoranza (uno su dieci) e molte fasce della popolazione non sono rappresentate, né sulla scena né in platea.
“I giovani a teatro ci vanno, ma dipende dalla capacità di coinvolgerli.
“Quando ero in Argentina, a teatro ho visto un sacco di giovani. Quindi la scarsa frequentazione del teatro da parte dei giovani non è una situazione irreversibile, è solo questione di proposte culturali.”
“Allora forse la domanda non è perché i giovani non vanno a teatro, ma come possiamo farci aiutare nel proporre nuove memorie.”
“A noi piacevano i mattoni: ricordo i mattoni di Ronconi al Fabbricone, e anche altri spettacoli dove si stava insieme otto ore. Ma non so se i giovani oggi vogliano questo tipo di fruizione.”
“Mancano forse momenti di confronto come questo. Comunità è quando c’è condivisione di un sentire, di aver partecipato, di aver condiviso.”
Il teatro è memoria anche dal punto di vista degli attori, che ripetono lo stesso copione replica dopo replica. Ma anche lo spettatore può tornare a vedere più di una volta lo stesso spettacolo.
“Io non amo rivedere gli spettacoli, perché resto legato a quel momento, a quell’emozione. Mi è capitato solo tre volte.”
“Nemmeno io torno a rivedere gli spettacoli che mi sono piaciuti, per non rovinare l’emozione.”
“Io invece torno a vedere alcuni spettacoli, per i pensieri che mi hanno stimolato.”
Ma questi pensieri poi te li porti anche nella tua quotidianità?
“Sì, rimangono per giorni e vanno a modificare cose di me.”
Giulia Alonzo conclude l’incontro con un a riflessione sul rapporto tra il teatro e il digitale. Lei, come molti giovani, alcuni degli spettacoli citati dagli ospiti delle parole del teatro, li ha visti in digitale. Almeno dal punto di vista della documentazione, la memoria del teatro è cambiata, non è più così effimera. Oggi gli spettacoli si possono rivedere quante volte si vuole su diversi dispositivi, dalla televisione al computer, si possono ingrandire, zoomare, amplificare, riascoltare… Queste nuove possibilità cambiano la prospettiva della memoria del teatro su due livelli distinti. Il primo è le modalità di archivio in sé del teatro, non più basato sulla narrazione, sulla documentazione, ma sulla possibilità di vedere – seppur senza l’aura del qui e ora – l’opera integrale.
Il secondo livello è invece legato alle nuove modalità di fruizione: se so che un’opera rimane a mia disposizione per sempre, quale sarà il mio grado di attenzione nel momento in cui io guardo dal vivo l’opera? Quali sono i dettagli che conservo sapendo che posso rivederla in qualsiasi momento?
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