Avvertimenti al pubblico
Il teatro nell'era dei disclaimers, delle content disclosures, dei trigger warnings e degli spoilers
ATTENZIONE!!! In questo saggio si parla di ogni genere di perversione e si allude ad argomenti controversi. Contiene dunque numerose annotazioni che potranno irritare diverse categorie di lettori, a cominciare dai benpensanti e da chi crede al politicamente corretto.
Si preavverte inoltre che alcune delle affermazioni che leggerete sono, almeno nelle intenzioni, ironiche o satiriche e dunque non vanno prese alla lettera.
Le citazioni tra virgolette, ove non altrimenti specificato, comparivano nei siti e nei programmi di sala dei teatri o degli spettacoli menzionati.
L’autore assicura che nel corso della scrittura di questo testo non ha compiuto alcun tipo di violenza contro animali, fatta eccezione per l’autore medesimo, e non ha fumato sigarette di alcun tipo, né vegetali né elettroniche.
Sempre più spesso lo spettatore teatrale è accompagnato alla visione dello spettacolo da avvertimenti più o meno inquietanti.
L’avvertenza può essere generica, come nel caso di Caridad di Angelica Liddell all’Arena del Sole di Bologna, malgrado la sarabanda di nudi integrali, una carcassa di bovino appesa in bella vista (e conservata in un furgone frigorifero tra una replica e l’altra), più dodici gatti, una bara e una ghigliottina in scena, il tutto condito da un linguaggio violento ed oltraggioso, volutamente provocatorio:
“La visione dello spettacolo è consigliata a un pubblico adulto o minori accompagnati”.
Chi voleva acquistare un biglietto per assistere a Bestie di scena di Emma Dante, sul sito del Piccolo Teatro di Milano veniva avvertito (o ingolosito) dall’avvertenza:
“Nello spettacolo sono presenti scene di nudo integrale: se ne consiglia la visione a un pubblico maggiore di 16 anni.”
In effetti i danzatori e le danzatrici restavano totalmente nudi e spensierati in scena per tutti i 70 minuti dello spettacolo.
Il Pinocchio di Antonio Latella avrebbe potuto sembrare un titolo per bimbi e bimbe, ma in realtà scatenava una scomoda riflessione sul rapporto genitori-figli. Dunque la direzione del Piccolo Teatro si premurava di avvertire che
“Per le tematiche affrontate e il linguaggio utilizzato in alcune scene, la visione dello spettacolo è consigliata dai 14 anni.”
Ormai si possono assegnare tesi di laurea sulla filologia delle avvertenze parateatrali. Per Il Terzo Reich, la inquietante e provocatoria riflessione sul linguaggio di Romeo Castellucci, sul sito di Triennale Teatro si poteva leggere:
“Sconsigliata la visione a persone fotosensibili, epilettiche e cardiopatiche. In dotazione tappi per le orecchie”.
Il programma di sala distribuito prima dello spettacolo era più dettagliato, e più preciso di molte recensioni:
“L’installazione è allestita in una sala completamente buia e presenta audio a volumi elevati e immagini ad alta frequenza che possono essere sconsigliate a chi è affetto da epilessia e a persone fotosensibili. L’installazione è sconsigliata a minori di 13 anni.”
Di recente al Globe Theatre di Londra, prima di Romeo and Juliet, il pubblico veniva gentilmente avvertito che il testo di William Shakespeare contiene
“language of violence, sexual references, misogyny and racism.”
E se andate a vedere Il gabbiano di Anton Cechov, è molto probabile che vi colpisca uno spoiler come
“Nel corso dello spettacolo verrà esploso un colpo di pistola.”
Il maestro del suspence Alfred Hitchcock spiegava che se in un film si vede una pistola, “prima o poi deve sparare”. Adesso non c’è nemmeno più bisogno di far vedere l’arma, basta mettere il pubblico sull’avviso con uno spoiler. E resterà per tutto lo spettacolo in attesa del fatale sparo.
L’avvertenza più clamorosa resta in ogni caso quella di Peter Handke, che fin dal titolo preannunciava Insulti al pubblico: il testo, diretto nel 1966 da Claus Peymann a Francoforte, ebbe immediato successo e venne riallestito in vari teatri in tutto il mondo.
Qui non viene dato al teatro quel che è del teatro. Qui non troverete soddisfazione. Il vostro desiderio di guardare resterà inappagato. Nessuna scintilla scoccherà tra noi e voi. Non si fremerà per la tensione. Queste tavole non significano il mondo. Queste tavole servono soltanto a noi per starci su. Questo non è un altro mondo rispetto al vostro. Voi siete il tema. Voi siete al centro. Voi siete nel punto focale delle nostre parole. (…) Voi siete un evento. Voi siete l’evento.
Ma evidentemente erano altri tempi. Il clima culturale sta cambiando.
Fino a qualche tempo fa, gli avvertimenti agli spettatori riguardano soprattutto il loro comportamento. Per esempio il divieto di portare cibo e bevande in sala o, più di recente, l’indicazione (o l’ordine) di spegnere i cellulari, o almeno di silenziarli perché disturbano attori e pubblico.
Assai attenti al galateo dei clienti sono da sempre i locali di strip tease e di lap dance, che vietano il contatto fisico tra i/le performer e quello dei i/le performer con gli spettatori. La Lap Dance Association del Regno Unito ha messo a punto un codice di condotta per operatori e danzatori/danzatrici, che può essere applicato quando un locale richiede la licenza. Dell’argomento si è discusso persino in Parlamento.
Un esempio di galateo da strip club lo offre la Playhouse, un gentlemen club con sedi a Cardiff e Southampton.
# Vietato toccare i danzatori/danzatrici;
# Vietato fare fotografie o video;
# Presentarsi con un abbigliamento appropriato;
# Vietato chiedere prestazioni sessuali agli artisti;
# Vietato portare cibo o bevande dall’esterno;
# Rispettare gli artisti e le artiste (sul sito si avverte il bisogno di specificare che anche loro “sono esseri umani”, n.d.a.).
Può essere divertente confrontare questa lista con una delle avvertenze consegnata all’unico spettatore di The Pleasure of Being: Washing, Feeding, Holding, performance one-on-one di e con Adrian Howells, prima di spogliarsi ed entrare nella stanza da bagno dove si svolgeva la performance:
“Se scegli di stare nudo, indossare un costume da bagno o rimanere parzialmente coperto, voglio che tu sappia che non ti laverò né asciugherò i genitali.”
Una prima categoria di istruzioni specifica dunque i comportamenti illeciti degli spettatori.
Un’altra tipologia di messaggio ha invece l’obiettivo di avvertire il pubblico dei rischi che può correre partecipando a uno spettacolo, e nello sesso tempo cerca di mettere gli operatori al riparo da eventuali polemiche o azioni legali da parte spettatori che si sentano in vario modo disturbati o offesi.
In particolare, alcuni di questi messaggi mirano a tutelare fasce di pubblico considerate fragili, per motivi fisici o psichici, per storia personale, ma anche spettatori (soprattutto giovani) che potrebbero restare turbati da rappresentazioni che in vario modo trasgrediscono quella che viene ritenuta la morale corrente (e implicitamente corretta): particolarmente attenti a questi aspetti sono i genitori, preoccupati per l’impatto su figli e figlie di libri, quadri, spettacoli, film…
Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, l’attenzione alla sensibilità degli spettatori si è concretizzata nella crescente diffusione di disclaimers, in cui i produttori si dichiarano esenti da responsabilità rispetto a certi temi o aspetti; e di warnings, ovvero avvertimenti rivolti agli spettatori rispetto allo spettacolo a cui assisteranno.
Tipici esempi disclaimer sono quelli che compaiono alla fine di un film, in cui si specifica che gli animali che compaiono nella pellicola non sono stati maltrattati, o quelli in cui si specifica che “riferimenti a fatti e persone reali non sono intenzionali”, o ancora quelli che specificano che lo spettacolo ha finalità umoristiche o satiriche.
I warnings possono riguardare aspetti sia tecnici (technical warnings sull’uso di luci stroboscopiche, che possono innescare crisi epilettiche, nebbia oppure rumori e suoni ad alto volume) sia contenutistici (trigger, content o thematic warnings, ma anche content disclosures).
Il termine trigger (grilletto) fa invece riferimento alla capacità di un testo, di una scena, di un’immagine di riattivare nello spettatore una memoria sgradevole, per esempio una violenza subita, sia personale sia collettiva. L’espressione trigger warning, legata in origine a contesti post-traumatici per identificare eventi che potevano risvegliare nella vittima la memoria del trauma, ha cominciato a prendere piede nei siti femministi che discutevano della violenza contro le donne e si è successivamente allargato ad altri contesti. Vengono così preavvertite di possibili tematiche sensibili fasce della popolazione che fino a poco tempo fa erano state discriminate, sia nella realtà sia nell’ambito delle creazioni artistiche (visto che spesso gli artisti esprimono inevitabilmente molti dei pregiudizi del loro tempo e del loro pubblico).
Nel 2014, la American Association of University Professors ha criticato l’uso dei content warnings nell’ambiente universitario:
“La presunzione che gli studenti debbano essere protetti piuttosto che sfidati in una classe è allo stesso tempo infantilizzante e anti-intellettuale. Rende il comfort una priorità più alta dell’impegno intellettuale e… individua come obiettivo argomenti politicamente controversi come sesso, razza, classe, capitalismo e colonialismo.”
(On Trigger Warnings, approvato dal Committee A on Academic Freedom and Tenure, agosto 2014)
Da allora le polemiche sono continuate, anche rispetto a studenti (e spettatori) con disturbi post traumatici: diversi specialisti hanno sostenuto che gli avvertimenti, che respingono persone che ritengono di avere qualche fragilità, rischiano di favorire comportamenti elusivi, favorendo una cultura che diminuisce la resilienza, orientata in primo luogo a impartire lezioni di virtù politica, e sono dunque “controproducenti per il processo educativo”.
Per gli appassionati del genere, è addirittura disponibile il triggerwarningdatabase, relativo alla produzione libraria, che elenca decine di categorie e sottocategorie.
Inutile aggiungere che alcuni autori usano il triggerwarningdatabase come checklist dei temi da inserire nelle loro opere.
I temi su cui si possono esercitare gli “avvertimenti” sono pressoché infiniti, anche perché chiunque può essere irritato da qualunque cosa, come dimostrano millenni di tabù e censure alimentari, sessuali, comportamentali. Allo stesso modo chiunque può essere attratto da qualunque cosa: l’essere umano è perverso polimorfo, ciò che per alcuni è ributtante per altri è irresistibile oggetto di desiderio.
Il Royal Court Theatre di Londra negli anni Sessanta ha portato in scena Angry Young Men come John Osborne e Kingsley Amis, e poi Arnold Wesker, John Arden e Edward Bond. Negli anni Ottanta è arrivato lo In Your Face Theatre, con Martin Crimp, Sarah Kane, Sylvia Wynter, Mark Ravenhill e Martin McDonagh. Testi aggressivi, scandalosi, che in diversi casi hanno catturato l’attenzione della censura. Sul sito del Royal Court, alla pagina Script Submissions Content Warnings, si spiega che gli avvertimenti che precedono i testi devono precedere “contenuti potenzialmente sensibili”, che vanno segnalati affinché il lettore possa prepararsi ad affrontare, o eventualmente ad abbandonare, il testo “per il loro benessere”. Segue una lista (“non esaustiva”) dei principali content warnings:
• Sexual assault | • Violenza sessuale |
• Abuse | • Abuso |
• Child abuse/paedophilia/incest | • Violenza sui minori/pedofilia/incesto |
• Animal cruelty or animal death | • Crudeltà o morte di animali |
• Self-harm and suicide | • Autolesionismo e suicidio |
• Eating disorders, body hatred, and fat phobia | • Disturbi alimentari, odio corporeo e grassofobia |
• Violence | • Violenza |
• Pornographic content | • Contenuto pornografico |
• Kidnapping and abduction | • Rapimento e sequestro di persone |
• Death or dying | • Morte o agonia |
• Pregnancy/childbirth | • Gravidanza/parto |
• Miscarriages/abortion | • Aborti/aborto spontaneo |
• Blood | • Sangue |
• Mental illness and ableism | • Malattia mentale e ableismo |
• Racism and racial slurs or hateful language directed at religious groups | • Razzismo e insulti razziali o linguaggio odioso rivolto contro gruppi religiosi |
• Sexism and misogyny | • Sessismo e misoginia |
• Classism | • Classismo |
• Transphobia and trans misogyny | • Transfobia e misoginia trans |
In pratica, queste categorie comprendono (quasi) tutto quello che è andato in scena al Royal Court, ma anche la grande maggioranza dei capolavori della letteratura drammatica. E molto di quello che si vede in televisione o sulle piattaforme, per non parlare dei siti porno.
Il Creed Repertory Theatre allestisce una versione teatrale del Mastino dei Baskerville, una delle più celebri indagini di Sherlock Holmes, e la direzione del teatro si sente in dovere di avvertire il pubblico che
“Il testo contiene frasi moderatamente volgari e significative deduzioni scientifiche.
Anticipazioni sui contenuti: colpi d’arma da fuoco e uso di armi da fuoco teatrali. Fumo di sigaretta simulato. Discussione su morte e omicidio.”
In qualunque giallo che si rispetti ci deve essere almeno un cadavere e si discute a lungo sulle circostanze che lo hanno reso tale e sul responsabile.
Come ha spiegato Ralph Fiennes, in un’intervista a Laura Kuenssberg per One’s Sunday sulla BBC,
“I drammi di Shakespeare sono pieni di assassini, pieni di orrore. Quando ero un giovane studente appassionato di teatro, non mi capitava mai di ricevere avvertimenti che mi dicessero ‘Ecco il Re Lear, Gloucester si farà cavare gli occhi’”.
La terribile parabola del sovrano che abbandona il trono a favore delle figlie ingrate è stata a lungo considerata barbara e moralmente insopportabile. Fino all’Ottocento al testo di Shakespeare si preferì lo sdolcinato adattamento firmato da Nahum Tate nel 1681, The History of King Lear, che si concludeva con l’anziano sovrano di nuovo sul trono e Cordelia sposa di Edgar, che nell’ultima battuta decretava il lieto fine: “truth and virtue shall at last succeed” (“alla fine la verità e la virtù trionferanno”). L’atroce finale shakespeariano venne ripristinato solo nel 1823 da Edmund Kean.
Oggi l’Almeida Theatre di Londra fa morire Cordelia (come accade nel copione di Shakespeare) ma, prima di segnare il numero di telefono da chiamare in caso di difficoltà, avverte che King Lear porta in scena
“atti di autolesionismo e di violenza esplicita e riferimenti al suicidio. La messinscena prevede luci stroboscopiche, nebbia, forti rumori improvvisi e il fumo di sigarette vegetali”.
Con la stessa logica, prima di accostarsi al Vangelo il lettore dovrebbe essere informato che nel testo compaiono un parto (a Betlemme, anche se non vengono commesse violenze contro bue e asinello), violenza contro i bambini (la strage degli innocenti), crudeltà contro gli animali (i porci che si buttano al fiume, il cammello nella cruna dell’ago), si consuma alcol in diverse occasioni (in grandi quantità a Cana e poi all’Ultima Cena), non manca un clamoroso un suicidio (Giuda), ci sono il linguaggio odioso contro gruppi religiosi (“Guai a voi scribi e farisei!” e l’invettiva contro i mercanti nel tempio) e il classismo (contro “i ricchi”), mentre il sangue scorre a fiumi (il top resta la testa mozzata del Battista) e la morte è una presenza costante (con l’episodio particolarmente inquietante dello zombi Lazzaro). Forse bisognerebbe aggiungere che la quantità di eventi miracolosi può disturbare gli spiriti laici e irritare gli illuministi che lottano contro le superstizioni religiose.
Il testo di Jews. In Their Own Words del giornalista Jonathan Freedland è basato su una serie di interviste, per andare a scoprire le radici dell’antisemitismo.
La lista dei content warnings sul sito del Royal Court Theatre comprende:
Explicit references to both overt and covert antisemitism including: | Riferimenti espliciti all’antisemitismo sia palese che nascosto, tra cui: |
Its historic roots and the development of Jewish stereotypes | Le sue radici storiche e lo sviluppo degli stereotipi ebraici |
How it presents through stereotypes in the media and arts | Come si presenta attraverso gli stereotipi nei media e nelle arti |
Antisemitism within politics | Antisemitismo in ambito politico |
Conspiracy theories | Teorie del complotto |
Extreme graphic descriptions of physical, verbal and online abuse | Descrizioni esplicite ed estreme di abusi fisici, verbali e online |
Visual representations of antisemitic stereotypes (masks, caricature etc.) | Rappresentazioni visive di stereotipi antisemiti (maschere, caricature ecc.) |
Historic execution and genocide | Esecuzioni storiche e genocidio |
There are also references to: | Sono inoltre presenti riferimenti a: |
Other forms of racism including Anti-Blackness and Islamophobia | Altre forme di razzismo tra cui quello contro i neri e l’islamofobia |
COVID | COVID |
Misogyny | Misoginia |
Sexual violence | Violenza sessuale |
The Holocaust | L’Olocausto |
The murder of children | L’omicidio dei bambini |
Affrontare il tema dell’antisemitismo significa anche esplorare le ragioni e il linguaggio degli antisemiti, così come in Acqua di colonia di Frosini-Timpano, per de-costruire l’immaginario coloniale degli italiani, era necessario portare in scena i luoghi comuni ferocemente razzisti di cui sono intrisi la scuola, le canzonette, il giornalismo, la pubblicità che hanno indottrinato gli “italiani brava gente”…
Quando ha portato in scena The Merchant of Venice, la regista Brigid Larmour ha trasformato il protagonista Shylock in una matriarca dell’East End di Londra alle prese con il fascismo britannico di Mosley nel 1936.
Il Criterion Theatre di Londra ha messo sull’avviso rispetto all’antisemitismo del testo, suscitando la reazione dell’attrice ebrea Tracy-Ann Oberman, protagonista dello spettacolo:
“Se qualche elemento dello spettacolo che hai visto ti ha sconvolto, vai a rileggerti il testo, per cercare di capire perché e quando è stato scritto – e perché è così. Puoi provare emozioni scomode, ma sei in un ambiente sicuro, il teatro. Puoi provare paura, pietà, rabbia, orrore, indignazione… E questo ti può trasformare”.
In Gran Bretagna il dibattito è assai acceso, come dimostrano diversi articoli del “Times” e del “Guardian” (vedi per esempio Harriet Sherwood, While many criticise content guidance in art and literature, others argue they help people make informed choices, 2 ottobre 2023, e Neha Gohil, Audiences should be ‘shocked and disturbed’ by the impact of theatre, says Schindler’s List and Harry Potter actor, 11 febbraio 2024). Alcuni grandi protagonisti delle scene britanniche hanno espresso la loro irritazione per i content warnings.
“Penso che l’impatto del teatro dev’essere che ti sconvolge e ti disturba. Non credo che lo spettatore debba essere preparato per queste cose, quand’erano giovane non c’erano trigger warnings per gli spettacoli.” (Ralph Fiennes)
“Fuori dai teatri e nei foyer, il pubblico viene avvertito: ‘Ci sarà un rumore forte e a un certo punto luci stroboscopiche’, ‘ Ci sono riferimenti al fumo’, ‘Ci sono riferimenti al lutto’. Per me è ridicolo, sì, davvero, mi piace farmi sorprendere da rumori forti e da comportamenti oltraggiosi sulla scena”. (Ian McKellen a Sky News)
“Ma allora dobbiamo segnalare qualunque cosa. E’ ridicolo. Stanno cercando di insultare la mentalità di chi va a teatro”.
(Christopher Biggins, sugli avvisi al Globe Theatre di Londra prima di Romeo and Juliet)
Per la direttrice artistica del Bristol Old Vic, Nancy Medina, “il linguaggio emotivo dei warnings e dei triggers” dovrebbe essere sostituito da “informazioni costruttive e utili a tutti sui temi e sulle specificità dello spettacolo”, per aiutare gli spettatori e fare “scelte informate sull’accessibilità del lavoro” prima di acquistare il biglietto.
Nell’estate del 2023 il Chichester Festival ha portato in scena The Sound of Music, il musical che ha ispirato il film Tutti insieme appassionatamente con Julie Andrews, avvertendo sul sito che lo spettacolo toccava temi come
“musica; famiglia; amore; la minaccia della Germania nazista e l’annessione dell’Austria”.
Poi precisava che alcune persone avrebbero potuto trovare certi temi “distressing”, ovvero “angoscianti”. In una lettera al “Times”, l’attore Simon Callow ha scritto che la frase tradiva
“una lacuna fondamentale nella comprensione di quello che è il teatro, che non presenta un modello di comportamento, ma un crogiolo in cui possiamo vedere ciò che è umano. [Il teatro] non è un pulpito ma una palestra dell’immaginazione. E’ chiaro che quello che accade in scena è interpretato da attori, all’interno di una scenografia, e che tutto questo è frutto dell’immaginazione”.
Nonostante queste prese di posizione, e le proteste contro l’infantilizzazione del pubblico, i content warnings si moltiplicano, nell’educazione e nelle arti. E con loro si moltiplicano, soprattutto in ambito universitario, le guide, i tutorial e gli how to che spiegano come realizzare questi avvertimenti nella maniera corretta, con il rischio di trasformare questa pratica nell’ennesima procedura burocratica.
Da un lato questo apparato tende a indurre forme di autocensura. Se l’obiettivo è non irritare nessuna fascia di spettatori, la strategia più efficace consiste nell’evitare qualunque contenuto emotivamente e intellettualmente impegnativo, accontentandosi del kitsch più consolatorio.
Da un altro punto di vista, gli avvisi possono facilitare l’accessibilità al teatro di fasce di spettatori con sensibilità particolari, dando le necessarie rassicurazioni su quello che andranno a vedere, e quindi allargando il pubblico potenziale a coloro che non vanno a teatro perché temono di dover affrontare esperienze sgradevoli, o – peggio – pericolose per la salute. In generale, si tratta di dare allo spettatore il potere di scegliere che cosa vedere e che cosa non vedere, tenendo conto che al solito quello che si può vedere viene deciso in buona parte da un maschio bianco occidentale colto, benestante e un po’ annoiato.
Sul sito del Royal Court, nella scheda dei content warnings relativi a ogni spettacolo, si può leggere che
“Non vogliamo spoilerare a nessuno l’esperienza di una nuova pièce al Royal Court e dunque cerchiamo di non diffondere troppe anticipazioni durante la promozione dello spettacolo.”
Subito sotto questo disclaimer sui warnings, compare il link “Show more details”, che è necessario aprire per leggere la lista degli avvertimenti.
La scelta è dunque quella di non imporre la lettura dei warnings, ma di lasciare al visitatore la possibilità di leggerli (peraltro sconsigliata).
E’ una strategia obliqua, che tiene conto dello spirito del tempo e cerca di addomesticarlo.
E’ solo uno dei tanti paradossi del politicamente corretto, non certo l’unico.
Negli avvertimenti rivolti ai potenziali spettatori di The Importance of Being Earnest di Oscar Wilde si legge:
“The play includes some major Victorian shade.”
Victorian shades sono le abat-jour che smorzavano la luce della lampade casalinghe, ma il warning non si riferisce a eventuali lampadari d’antiquariato nella scenografia.
L’epoca vittoriana, quando Wilde scrisse il suo capolavoro, era caratterizzata da un perbenismo bigotto. Ad alcune categorie di persone che dovevano restare invisibili si alludeva con espressioni eufemistiche e giochi di parole che oggi appaiono offensivi.
Più di recente il termine “shade” (il verbo to shade significa “fare ombra, schermare”) è stato adottato nell’ambiente degli spettacoli di drag, per indicare la pratica di sminuire una persona utilizzando anche espressioni comiche o satiriche, quando non esplicitamente offensive. Successivamente l’espressione si è diffusa in altri ambiti, per indicare una pratica sgradevole di attaccoa singole persone o categorie, che sminuisce il bersaglio, magari con un pizzico di ipocrita ferocia.
Quello che era politicamente corretto ai tempi della regina Vittoria, oggi appare inaccettabile. Quello che all’epoca veniva considerato spiritoso, oggi è un oltraggio. E tra un secolo accadrà lo stesso alle nostre attuali retoriche.
Oggi artisti, curatori e organizzatori, ma anche spettatori e “non-spettatori”, stanno partecipando è una battaglia culturale, che ridefinisce ciò di cui non si può/deve parlare, e ciò di cui si può/deve parlare, e di come se ne deve parlare, e a chi. Da un lato c’è la forza eversiva dell’arte, la sua libertà, la sua necessità di esplorare le “zone oscure”, di porare alla luce il rimosso, l’osceno, ovvero ciò che sta fuori dalla scena pubblica. Da sempre l’arte cerca il nuovo, la sorpresa. Dall’altro ci sono un canone artistico e un sistema culturale che si sono sedimentati nei secoli, escludendo e discriminando una larga parte dell’umanità. I punti di vista e le sensibilità si moltiplicano e si intrecciano. E diventa sempre più facile toccare una specifica sensibilità, eccitando la suscettibilità di questa o quella identità. Sullo sfondo, c’è la necessità di allargare la partecipazione culturale, senza escludere nessuno e nessuna.
La bussola dovrebbe essere il principio di tolleranza: sono libero di vedere tutto quello che voglio, e di non vedere quello che non voglio vedere (che è anche la regola base del consumismo, dove tutto, tutti e tutte possono diventare merce). Ma le differenze non sono solo gusti e preferenze da soddisfare. Sono anche potenziale fonte di divisioni e potenziali fratture all’interno della società.
Che cosa fare allora dei conflitti che generano? Attutirli con gli eufemismi del politicamete corretto è un’ipocrisia che li nasconde, mettendo la polvere sotto il tappeto, salvo farli esplodere a scoppio ritardato. I content warnings tendono a creare delle bolle, separando chi vuole affrontare determinati temi e situazioni e chi li vuole evitare. Il dibattito pubblico rischia di polarizzare le posizioni, portando a contrapposizioni senza via d’uscita.
Nel frattempo dovremo diventare più abili a scrivere content e trigger warnings senza fare troppi spoiler.
Le storie noi le costruiamo nella nostra testa. Prendiamo le parole e diamo loro forza, guardiamo attraverso occhi altrui e vediamo, sperimentiamo, ciò che altri vedono. Sono luoghi sicuri le storie? mi chiedo. E ancora: Dovrebbero essere dei luoghi sicuri?
Neil Gaiman, Trigger Warning, 2016
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