Focus Adolescen[z]a | Quando gli adolescenti salgono in scena e prendono la parola

Che cosa è successo il 2 dicembre 2023 al Teatro Fontana

Pubblicato il 13/02/2024 / di / ateatro n. 190 | Focus AdoleScen[z]a

“Circa un paio di anni fa abbiamo cominciato a ragionare come Associazione Culturale Ateatro su quello che sta succedendo alle giovani generazioni. Abbiamo iniziato a parlare con chi si occupa di teatro per e con gli adolescenti, a collezionare materiale e buone pratiche che poi abbiamo raccolto in un dossier. Abbiamo organizzato una serie di incontri con un gruppo di lavoro molto numeroso, con più di 50 operatori del settore ed esperti di varia estrazione. Abbiamo organizzato una tavola rotonda con gli operatori il 26 ottobre 2023 a Brescia, in collaborazione con Teatro Telaio. E oggi siamo qui, al Teatro Fontana, per chiudere questa fase della ricerca”.

Focus AdoleScen[z]a | L’avant-programme della giornata del 2 dicembre 2023Con queste parole il 2 dicembre 2023 Oliviero Ponte di Pino ha inaugurato il Focus Adolescen(z)a, in collaborazione con Elsinor, Teatro Fontana e Teatro Telaio. Sostenuto dalla Direzione Generale dello Spettacolo del Ministero della Cultura e con il contributo di Fondazione Cariplo, il progetto era iniziato nella primavera del 2022. Durante questo incontro conclusivo, si è voluto fare il punto della situazione, rivolgendosi a educatori e genitori, ma anche a un pubblico più ampio. Sono state presentate le testimonianze relative a molte iniziative prese in esame durante il percorso di ricerca, attraverso gli interventi degli adolescenti che vi hanno preso parte. Inoltre sono stati inclusi anche i contributi di alcuni esperti che osservano il mondo degli adolescenti.
Le considerazioni sviluppate nel corso della giornata confluiranno in una pubblicazione prevista per il 2024.

“Siamo entrati in scena”

Una delle principali ragioni che ha spinto a creare il Focus Adolescen[z]a, come riportato anche dal programmatico spunto iniziale, è stata “l’impressione che le giovani generazioni fossero state pesantemente segnate, forse più di altre, dalla pandemia e dall’isolamento”.
Il progetto ha via via identificato altri aspetti della questione e nuclei tematici. Merita una particolare attenzione la relazione tra le realtà prese in esame e le comunità in cui si inseriscono. Giulia Innocenti Malini, che modera l’incontro insieme a Oliviero Ponte di Pino, nota che nella maggior parte dei casi

“il teatro arriva a lavorare con gli adolescenti non per iniziativa dei teatranti, ma delle scuole e dei centri di educazione e territoriali, che intuiscono che nell’esperienza del teatro ci sia qualcosa di interessante e delle risorse significative non soltanto per la crescita della persona adolescente, ma per la collettività nel suo complesso”.

Se gli adolescenti sono membri della società che stanno attraversando una fase delicata dello sviluppo, vanno dunque considerati i modi in cui le pratiche teatrali possano essere utili per fare fronte alle difficoltà di questa età, e in ultima analisi giovare alla comunità intera.
Un altro dato problematico è la mancanza di una rappresentazione attendibile degli adolescenti da parte dei media. La tendenza è scivolare in quella che Ponte di Pino definisce

“una doppia caricatura dei giovani, dipinti alternativamente come teppisti irrequieti da sedare o abulici hikikomori depressi”.

La partecipazione di diverse voci all’incontro, a cominciare da quella dei ragazzi e delle ragazze, ha evidenziato che un’immagine così esasperata è distorta e fuorviante, proponendo altre narrazioni, di prima mano e meno semplicistiche.
Tra gli ulteriori punti di interesse emersi nel corso della giornata, molti sono stati riassunti nell’intervento di Laura Pigozzi. Rifacendosi alla testimonianza dei ragazzi del laboratorio Creature selvagge, nato in seno alla sezione “People” del festival Oriente Occidente di Rovereto, la psicanalista parte da un’analogia tra teatro e adolescenza: il passaggio dall’infanzia all’età adulta rappresenta il momento critico in cui si è finalmente chiamati a prendere parte all’azione della vita, con tutte le difficoltà che un simile cambiamento comporta.
Una volta saliti sul palco, una crescita effettiva è possibile solo attraverso l’esposizione agli stimoli e ai rischi del mondo esterno: è necessario abbracciare questa sfida e “confrontarsi con temi grandi, da adulti, o si rimane bambini”. Di frequente gli stessi genitori sono purtroppo complici nel processo di infantilizzazione, con un atteggiamento di protezione eccessiva e di “claustrofilia” che ostacola uno sviluppo felice dell’individuo. Ma se si resta accasciati nella propria comfort zone, si cede inevitabilmente alla freudiana pulsione di morte e “si rinuncia al movimento della crescita, della vita”.
Ma nella vita e sulla scena non si è soli: si può e si deve fare affidamento sulla rete sociale, su quella degli amici e su quella civica, con un coinvolgimento profondo, per prendersi cura del valore umano delle relazioni e dei comportamenti. Se questo manca, la reazione diventa tossica. Il contributo che il teatro può dare in questo percorso risulta molto prezioso.

Sguardi sull’adolescenza

Mario Bianchi ha aperto la giornata a partire dalla sua esperienza di attento osservatore degli spettacoli per adolescenti, raccolta nel suo libro Il teatro ragazzi in Italia (FrancoAngeli, 2002), che mappa l’evoluzione del settore dal 2008 al 2022. L’autore rileva come all’inizio della sua ricerca fossero molto pochi i lavori espressamente pensati per un pubblico di giovani. Negli ultimi quindici anni si è passati dal proporre ai ragazzi e alle ragazze unicamente i titoli del repertorio teatrale classico a produzioni o riadattamenti ad hoc per spettatori di specifiche fasce d’età. Se questi lavori affrontano temi che li riguardano da vicino con linguaggi a loro affini, ragazzi e ragazze si mostrano ben disposti nei confronti del teatro, che può così diventare un’importante occasione di crescita e scambio.

I LINK
Lo spettacolo dal vivo per le giovani generazioni | 4. Quando il teatro non è una roba da vecchi (parte 1) | 34 spettacoli sugli adolescenti e sui loro problemi
Lo spettacolo dal vivo per le giovani generazioni | 5. Quando il teatro non è una roba da vecchi (parte 2) | Altri spettacoli sugli adolescenti e sui loro problemi

Questo diverso atteggiamento è il frutto virtuoso di uno sguardo esterno sugli adolescenti da parte degli adulti, che risponde effettivamente ai loro bisogni. Tuttavia più di frequente, come fa notare l’ex magistrato Gherardo Colombo, che spesso incontra ragazze e ragazzi per discutere di giustizia e democrazia, “noi tendiamo ad astrarre, e parliamo di adolescenza, non di adolescenti. Ma attribuendo una generalizzazione ai casi singoli si fa quasi violenza agli individui”.
Federica Zanetti, professoressa associata del dipartimento di scienze dell’educazione dell’Università di Bologna, parla di “adolescenti come argomento degli adulti ma non come protagonisti”. Nel suo intervento sviluppato intorno al termine “immaginari” – “degli adulti sugli adolescenti, degli adolescenti rispetto agli adulti, e anche degli immaginari che proviamo a costruire insieme” – sottolinea la necessità “non di concedere, ma di garantire, difendere, riconoscere” gli spazi di ascolto e scambio, nel pubblico e non, per terminare la narrazione degli studenti invariabilmente “ansiosi, aggressivi, indolenti, annoiati”, come li ritrae tra gli altri la recente indagine di Nomisma Ansia e stress tra gli studenti già dalla scuola primaria (che raccoglie la testimonianza univoca degli insegnanti di scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado su tutto il territorio nazionale). Un quadro di questo tipo, secondo Zanetti, “piatto e senza speranza, serve agli adulti per vedere il problema fuori, quando magari è dentro: dentro la scuola, dentro le relazioni, dentro le progettualità come possibilità di trovare delle soluzioni per i veri problemi”.
Anche Elena Marta, docente presso la facoltà di psicologia dell’Università Cattolica del “Sacro Cuore” e curatrice del rapporto della Fondazione Toniolo Indagine Rapporto Giovani Adolescenti, sostiene che “quello che fa la differenza è lo sguardo che noi posiamo sugli adolescenti”. Con uno “sguardo di fiducia, generativo”, ci si può apprestare a proporre dei valori, dei riferimenti, senza proiettarli o imporli in maniera autoritaria, ma in una posizione di scambio da pari: “io posso offrirti quello che so e poi tu lo userai per crescere nel tuo momento storico sulla base di capacità che io ti riconosco”. Marta riporta l’esempio di Adolescenti&Adulti, avviato nel 2021 in due scuole superiori dei comuni di Maniago e Spilimbergo, in provincia di Pordenone, che ha visto coinvolti il Tavolo Educativo Don Milani, i Servizi Sociali che operano nel territorio e l’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo. Il progetto, volto alla ricerca di azioni per facilitare la relazione tra generazioni, si è avvalso nell’interpretazione dei dati (raccolti attraverso strumenti di indagine tradizionali come questionari e focus group) anche di un percorso di ricerca-azione partecipata (RAP), un approccio che consiste in un confronto diretto tra tutte le parti coinvolte nel processo, al fine di avanzare soluzioni “fattibili, sostenibili e rispondenti ai bisogni effettivi” individuati nel contesto di ricerca. Gli adolescenti sono stati messi nella posizione di esprimersi e di collaborare con genitori e istituzioni. Da questa fruttuosa esperienza è nato il libro che ne ha seguito il percorso (Fateci domande intelligenti Adolescenti e adulti in ricerca di prossimità nelle Valli e Dolomiti friulane, a cura dalla stessa Elena Marta con Dario Donei, Vita e Pensiero, Milano, 2022).
Anche Franco Del Corno, psicologo e psicoterapeuta, sostiene ci sia bisogno di poter considerare le reali necessità dei ragazzi, e non quelle supposte dagli adulti, e che ciò sia possibile solo attraverso la comunicazione. Considerando la società nella sua evoluzione e il ricambio generazionale che necessariamente la interessa, le azioni che vengono condotte in favore dei giovani, in quanto investimento nella società futura, devono risultare in un’eredità che possa essere sentita come utile da loro. Bisogna quindi porre le basi per una collaborazione più ampia:

“La comunità implica comunicare, dirsi le cose, parlarsi, tra tutti coloro che la compongono. In questo senso non si vanifica una possibilità di aiuto reciproco che io credo sia una delle cose che davvero danno senso all’esistenza in questi tempi”.

Figli della Pandemia

“Se proviamo a metterci in ascolto degli adolescenti”, continua Elena Marta, “che cosa ci è sembrato che emergesse di questa generazione? In questo momento molti ragazzi e ragazze hanno due bisogni fondamentali: il primo è rielaborare quello che è accaduto in questi anni”. La pandemia ha avuto il pregio di evidenziare alcune problematicità della società mettendone in crisi i valori. Per esempio ha mostrato i limiti di un modello di performatività irrealistico, che non ammette l’errore, “incapace di far capire che il problema non è la caduta, la questione è come ci si rialza”. Il Covid ha dato la possibilità di riflettere sull’insensatezza e la disumanità di un sistema che, assumendo la prestazione come misura di ogni cosa, assimila l’identità al rendimento, non riconosce il valore delle relazioni e rifiuta qualsiasi altro approccio alla vita. Constatare che al termine dell’emergenza pandemica questo esame di coscienza si sia concluso con un nulla di fatto è stato per gli adolescenti particolarmente doloroso e avvilente.
Il secondo bisogno, che la pandemia ha sicuramente frustrato ancor più del normale, è quello di far parte di una comunità. Elena Marta riassume così la posizione dei ragazzi al riguardo: durante il lockdown “avete (voi adulti) parlato tanto di interdipendenza, anche in modo imbarazzante, sui balconi a cantare, a suonare come se vi voleste tutti bene… Che ipocrisia! Non era vero!!!”.
Anche in questo senso gli adolescenti, che avevano creduto nella “magia della comunità, del poter stare e fare qualcosa insieme”, sono rimasti delusi. Il ritorno alla normalità non è stato accompagnato dal ripensamento della scala valoriale che era stato annunciato.
Elena Marta continua a dar voce a ragazzi e ragazze: “A due anni di distanza, questa cosa non l’ho ancora capita. Non ho fatto in tempo a elaborare quella situazione ed è arrivata una guerra che io non mi aspettavo avreste fatto scoppiare vicino a casa. Ma allora chi siete? Come posso contare su di voi?”
In questo scenario, molte delle attività teatrali prese in considerazione da Focus Adolescen[z]a “offrono spazi di rielaborazione che non sono così consueti”. Innanzitutto sono un luogo in cui “fare i conti con le proprie emozioni e i propri vissuti”, ma anche un’occasione per “ricostruire insieme questi legami, stando al fianco gli uni agli altri e assumendosi ciascuno le proprie responsabilità”.

Genitori e figli

In che modo il teatro rende possibile un contatto tra le generazioni? Secondo il senatore Roberto Rampi, ospite di Focus Adolescen[z]a in veste di genitore, l’arte e in particolare il teatro “permettono di aprire dei dialoghi dove non è possibile averne” attraverso la rappresentazione. Nella dimensione della scena, che come “rappresentazione della realtà è in certa misura più reale della realtà, possiamo dirci cose che al di fuori non potremmo dire”.
Il teatro non fornisce solo un pretesto, ma anche i mezzi per dare voce a questioni che rimarrebbero inespresse. Un esempio: i ragazzi di Creature selvagge per quattro mesi hanno intrapreso un percorso con una prima fase di laboratorio teatrale e una di montaggio dello spettacolo e della sceneggiatura, rifacendosi all’Assemblea degli animali di Filelfo. Impersonando i loro personalissimi alter ego ferini, hanno istituito un’analogia tra il rapporto uomini-animali e adulti-adolescenti, cercando di mettere in discussione i termini in cui entrambi si pongono. Nelle parole di Chiara, una dei partecipanti al progetto, “uno degli scopi era buttare giù quello che noi adolescenti teniamo sempre dentro. I miei genitori sono venuti allo spettacolo e si sono resi conto di alcune piccole cose che non sono mai riuscita a dire loro”. Anche Francesca, una sua compagna, riporta la sua esperienza:

“Ho invitato quasi tutti i miei parenti sopra i cinquant’anni a vedere lo spettacolo, perché venivano espressi i sentimenti di rabbia degli adolescenti. Inaspettatamente poi c’è stata una riflessione, mi hanno fatto domande… Il teatro ha smosso veramente qualcosa”.

Pioverà bellezza (ph. Gianfranco Rota)

Un altro progetto volto a valorizzare l’espressione dei ragazzi e promuovere momenti di condivisione tra generazioni è Pioverà bellezza, coordinato dal Teatro dell’Argine nell’ambito di Bergamo Brescia Capitale italiana della cultura 2023. L’iniziativa, rivolta agli studenti delle scuole medie di Bergamo, ha coinvolto oltre 70 classi di 15 istituti attraverso l’azione di sei compagnie teatrali della città (Erbamil, La Pulce, Pandemonium Teatro, Teatro Caverna, Teatro del Vento, Teatro Prova). Il percorso si è sviluppato attraverso due anni di attività come laboratori di teatro e scrittura creativa, differenziati di classe in classe, e si è concluso con un evento di due giorni che ha interessato tutta la cittadinanza sia nelle varie scuole, sia nelle strade e piazze del centro. Durante la manifestazione i ragazzi, tutti muniti di un proprio ombrello personalizzato, si sono cimentati in letture e piccole rappresentazioni. Si sono alternate azioni corali ad altre più individuali, recitando insieme ai compagni o da soli rivolti a un adulto che ospitavano sotto l’ombrello, in un momento più raccolto. Infine ha avuto luogo un’azione collettiva degli oltre 1500 studenti coinvolti. Oltre a stimolare la comunicazione tra generazioni, il progetto ha anche contribuito a far nascere e consolidare relazioni tra i ragazzi. “Mi sono trovata meglio anche con altri compagni con cui magari non parlavo, sono arrivata a parlarci e passarci tempo insieme”, riporta una dei partecipanti.
Sempre nell’ambito di Bergamo Brescia Capitale italiana della cultura 2023, un’altra iniziativa ha coinvolto venti giovani tra 17 ai 24 anni. Step by Step. Incontrarsi è una passeggiata è un cammino sulla Via delle Sorelle, un tracciato inaugurato proprio in occasione di BGBS23 che collega le due città in sei tappe. Dopo sei giorni di incontri preparatori online, i ragazzi, divisi in due gruppi, sono partiti da ciascun capo del percorso per riunirsi a metà del cammino, nel comune di Sarnico. L’attività è nata per stimolare il dialogo sulla situazione politica, sociale e ambientale dell’Europa. Si è dunque deciso di svolgerla tra l’8 e il 10 settembre 2023, a ridosso del dibattito sullo Stato dell’Unione al Parlamento Europeo di Strasburgo, previsto per il 13 settembre. Lungo il cammino, si sono tenuti scambi sull’argomento tra i partecipanti. Al termine di ogni giornata, all’arrivo di ogni tappa era previsto un evento di restituzione pubblica. Hanno partecipato alle discussioni anche personalità della vita politica locale, per esempio alcuni sindaci dei Comuni attraversati. Una volta giunti a Sarnico, hanno coronato l’incontro un ultimo momento di riflessione collettiva e una festa. “È stato un grande momento di dialogo, molto aperto e libero, tra persone della stessa età ma anche intergenerazionale, perché abbiamo incontrato un sacco di amministratori del territorio”, ricorda Stefano, uno dei camminatori. Un altro partecipante, Abdul, racconta di come, parlando con le persone che ha incontrato, ha scoperto il senso dell’intraprendere un cammino: “Lo si fa per ritrovare un po’ il senso del perché si sia qui sulla terra, si sia umani, si viva”.

Generazioni o ruoli?

Diverse attività prese in considerazione si segnalano per l’efficacia nel mettere in contatto generazioni diverse. Ma nella maggior parte dei casi i partecipanti danno maggiore risalto ai legami che hanno stretto con i coetanei. Su questo fronte la pandemia ha avuto un enorme impatto. Molte testimonianze sottolineano il valore e la necessità delle relazioni interpersonali, e delle possibilità di crescita che ne derivano. Ma un approccio che distingue adulti e ragazzi presenta diversi limiti, e parecchi dei problemi individuati sono imputabili almeno in certa misura all’esasperazione di questo paradigma generazionale. Vivere le relazioni unicamente attraverso i ruoli le svuota della loro autenticità e aumenta la distanza tra le persone. Anche nei contesti in cui sia richiesto un ruolo, si pensi alla scuola e al rapporto tra insegnanti e allievi, è possibile agire in maniera tale da non escludere il dato umano, senza mettere necessariamente in dubbio la sensatezza di una costruzione di questo tipo.
Secondo Ludovico Arte, preside dell’Istituto Tecnico Statale per il Turismo “Marco Polo” di Firenze, se questo non succede, anche il valore e il potenziale beneficio di attività come quelle teatrali non hanno modo di realizzarsi. Non riuscendo a fare breccia nella struttura scolastica, possono giovare solo ai diretti interessati, senza arricchire il sistema nel suo insieme.

“Non si può fare teatro che porta vita in scuole che sono morte, e molte scuole di questo paese sono morte.”

Specialmente nelle scuole “bene”, per il modo in cui viene praticato,

“il teatro è una specie di foglia di fico, di una scuola che pensa di promuovere cultura, ma non si interessa delle persone: ‘Non è affare mio se tu non stai bene, io ti spiego la matematica, poi verifico con un compito se la sai, e se non la sai ti metto quattro’. Il teatro può essere straordinario e liberatorio, ma dentro una scuola che è liberatoria, che si interroga sul senso dell’educazione In una scuola oppressiva che silenzia la libertà delle persone, dei ragazzi e degli insegnanti, il teatro nasconde ciò che non funziona”.

Perché si presentino le condizioni in cui il teatro possa davvero arricchire l’ambiente scolastico, esso deve essere incluso strutturalmente, e non introdotto in maniera circoscritta e superficiale, deve farlo diventare “carne viva della quotidianità della scuola”.

La non-scuola del Teatro delle Albe al Castello Sforzesco di Milano

Tra le realtà osservate da Focus Adolescen[z]a, la non-scuola si distingue per la capacità di mettere in discussione questo sistema. Nata nel 1991 per iniziativa di Marco Martinelli con il Teatro delle Albe di Ravenna (ora attiva anche con il supporto di Maurizio Lupinelli), è rivolta a studenti di scuole superiori e medie ma anche dei primi anni di università, e a ragazzi da varie comunità e scuole di lingua L2. In questo laboratorio ‘non-teatrale’, attraverso una serie di attività di incontro e gioco i partecipanti arrivano ad apprendere la recitazione divertendosi e senza ricevere una preparazione di carattere prettamente tecnico. Il lavoro si articola attraverso incontri settimanali per un periodo di circa sei mesi, al termine dei quali è prevista la restituzione di uno spettacolo montato dal gruppo. Il laboratorio non è condotto da insegnanti, ma da “guide”, ovvero ragazzi e ragazze che hanno già frequentato la non-scuola in precedenza, preparati per accompagnare i nuovi partecipanti lungo il percorso. Vengono proposte opere letterarie o teatrali come come spunto di riflessione, per individuarne i temi principali e da qui iniziare un lavoro di improvvisazione. A partire dal materiale che emerge in questa fase, le guide elaborano un copione e si passa al montaggio della restituzione finale. Il progetto rappresenta un’alternativa a iniziative costruite in maniera più convenzionale, che ricalcano la dinamica di ruoli di stampo scolastico e ripensa la struttura di attività simili attraverso le figure delle guide e un approccio non didattico. Il grande successo e la diffusione della non-scuola – attiva a Milano grazie alla collaborazione con Olinda – ne confermano la validità.

La trasgressione

Gherardo Colombo, tornando alle difficoltà generate da un approccio rigidamente legato ai ruoli, ne approfondisce le ripercussioni sul rapporto tra adolescenti e autorità. Perché un incontro sia possibile, è cruciale il modo di porsi nei loro confronti:

“I ragazzi sono con te tanto quanto tu sei con loro; se fai l’insegnante che sta dietro la cattedra, loro fanno gli studenti che stanno dietro ai banchi. Nella relazione bisogna essere visti, e i ragazzi ci sono, sono visibili, ma non lo sei tu che insegni”.

Così nasce e cresce un’indisposizione a ogni tipo di rapporto. La sfiducia nei confronti delle persone adulte si estende alle loro istituzioni. A quel punto ogni indicazione da parte loro rischia di essere percepita come un’imposizione e spesso rifiutata.

Kepler 452, Comizi d’amore al Liceo Minghetti 2023. Ph. Michele Lapini

Il peso e il ruolo che giocano lo sguardo e la presenza degli adulti nel loro rapporto con gli adolescenti e nel comportamento di questi ultimi emerge dalla testimonianza su Comizi d’amore, un progetto del 2023 della compagnia Kepler 452. Ispirandosi all’omonima inchiesta cinematografica di Pier Paolo Pasolini, a sessant’anni di distanza la nuova versione di Comizi d’amore ripropone le stesse domande sull’amore, sulla sessualità e altri temi, ma concentrandosi sugli studenti di tre istituti di secondo grado bolognesi. L’iniziativa, supportata dal Comune di Bologna, ha raccolto le opinioni degli adolescenti, per poi portarle in scena nelle stesse scuole attraverso spettacoli interpretati dai membri della compagni e da alcuni degli studenti. Una parte del progetto al Liceo “Minghetti” ha avuto luogo durante l’occupazione dell’istituto e i due testimoni giunti da Bologna ritengono che questo abbia modificato lo sviluppo e gli esiti dell’inchiesta in maniera positiva, ricevendo un’adesione meno mediata e raccogliendo testimonianze più autentiche. Una studentessa, Alice, afferma che “all’interno dell’occupazione non ci sono tabù, non ci sono gli adulti che ti guardano, non ci sono le regole normali della società. Entriamo a scuola e non facciamo quello che facciamo di solito. Quindi anche quei filtri che noi ci poniamo nella nostra mente nel parlare di sesso non esistono più in una situazione così libera e fuori dall’ordinario”.
Tornando all’intervento di Gherardo Colombo, l’atteggiamento degli adolescenti nei confronti degli adulti può assumere la forma di un’esplicita opposizione. Anche se, come fa presente Giulia Innocenti Malini, la dimensione della trasgressione è in certo grado propria dell’adolescenza. Per Colombo si verifica in due casi: quando la regola non è percepita come giusta, o quando non è compresa. Le leggi però, almeno nel momento in cui vengono concepite, non andrebbero interpretate come un comando, ma come un’istruzione, un’informazione utile per raggiungere un dato scopo. Tutte le leggi umane sono in certo grado arbitrarie: e in alcuni casi, anche se sono volte a garantire pari possibilità, possono invece sfociare nella sopraffazione. Il progresso civile consiste nell’assestamento e nell’affinamento delle regole: se necessitano di essere migliorate, devono essere trasgredite. È quindi necessario cercare di far comprendere la sensatezza delle regole perché possa esserci un’adesione spontanea.
La dinamica di adesione e trasgressione si riflette anche nelle relazioni, nel ricercare un equilibrio tra le parti e un common ground tanto nella comunicazione intergenerazionale quanto nell’azione. L’efficacia di strumenti come la RAP sta proprio nell’inclusione dei ragazzi nel processo di ricerca di una risposta a una “questione”, che dà la possibilità di considerare le forze in campo e i mezzi che possono essere utilizzati. Una soluzione che invece venga presentata già pronta, non giustificata nella sua formulazione e non passibile di modifica, per quanto potenzialmente adeguata, non può che incontrare minore consenso. Colombo afferma che “se la libertà è scelta, e la scelta necessita di conoscenza, devo conoscere le alternative per poter scegliere”. Infine indica anche un’altra via per ispirare la libera adesione a scelte di per sé obbligate. Un esempio tra tutti, la scuola: “Poiché ciò che è obbligatorio potrebbe diventare piacevole nel momento in cui fosse attraente, e in quel momento il dovere diventa volere”.
Le testimonianze dei giovani durante la giornata lo confermano. I ragazzi e le ragazze di Creature selvagge, che spesso raccontano di aver aderito al progetto con qualche riserva iniziale, hanno accettato di partecipare proprio in virtù del fatto che avrebbero potuto abbandonarlo in qualunque momento qualora non li avesse convinti. È sempre stata data loro la possibilità di ritirarsi dal laboratorio, o di seguirlo ma senza esibirsi nella rappresentazione finale. In realtà anche chi come Gabriele, che originariamente avrebbe dovuto solo contribuire all’accompagnamento musicale, non era direttamente coinvolto, ha deciso di recitare. Francesca, una sua compagna, sintetizza la posizione del gruppo:

“Secondo noi il teatro come meccanismo di coinvolgimento degli studenti in una scuola non deve essere imposto.”

Silvio Castiglioni e il coro dei Persiani

Un caso analogo è quello dei ragazzi di una classe del Liceo “Sacro Cuore” di Milano, che tra settembre e ottobre 2023 hanno preso parte una serie di otto incontri tenuti dall’attore Silvio Castiglioni, culminati poi nella rappresentazione de I Persiani di Eschilo della compagnia I Sacchi di Sabbia. Durante il percorso, articolato attraverso un laboratorio di scrittura e momenti di esercitazione teatrale, hanno trattato del tema della guerra, approfondendo diversi aspetti, come “la visione del nemico, il lutto, la tracotanza”, cercando anche di istituire un confronto con l’attualità. Infine gli studenti e le studentesse hanno avuto la possibilità di salire sul palco del Teatro Oscar insieme a Silvio Castiglioni, dando corpo e voce al coro dei Persiani. “Il percorso è stato fatto da tutta la classe, ma andare in scena era una scelta volontaria di ciascuno; però alla fine l’abbiamo fatto tutti”, racconta uno dei ragazzi. Sul lavoro preparatorio, Matilde ricorda che “non ci è mai stato richiesto di fare più di quel che sentivamo fosse giusto e bello che noi facessimo”.

Autonomia

La libertà e l’autonomia garantita al coro dei Persiani è stata utile anche in altri modi. Durante la fase di scrittura, per la produzione dei testi (anonimi), non erano stati dati limiti o richieste stringenti, né in termini di forma né di lunghezza. Pur prendendo le mosse dagli spunti via via individuati, anche in fatto di contenuto si è lasciato un certo margine d’azione. Successivamente, confrontando i brani, gli studenti hanno notato come certi temi ricorressero con insistenza. Un’altra partecipante al progetto, Benedetta, riporta che “per esempio è emerso molto il tema della solitudine. E ci siamo accorti, nonostante le diverse personalità, di avere tutti le stesse sofferenze e le stesse difficoltà”. Riconosciuto il dato della solitudine, i giovani “Persiani” hanno avuto lo spazio per considerarlo come meglio credevano, in questo caso rispondendo con un appello al senso di comunità “corale” che si stava venendo a creare tra loro. Hanno dunque trovato autonomamente un modo per approcciare la questione e crescere, per acquisire gli strumenti adeguati per affrontare la situazione. Ma soprattutto, attraverso il percorso che li ha portati a questo esito, hanno potuto confrontarsi con un tema delicato ed elaborarlo fino a giungere in modo personale a una “soluzione”. Questo è un esempio bellissimo di come un processo simile possa avvenire spontaneamente, per iniziativa dei ragazzi stessi.

Fruitor passiv a Up to You Festival

Il festival Up to You, a Bergamo, riprendendo la formula della direzione partecipata dai giovani fatto proprio e diffuso da Risonanze Network, ha ideato un percorso rivolto a ragazzi e ragazze under 30 ideato da Qui e Ora Residenza Teatrale. Dopo un percorso di formazione, hanno realizzato un festival teatrale. I giovani “direttori artistici” sono accompagnati nella selezione degli spettacoli per il festival e successivamente nelle varie fasi organizzative, dalla logistica alla comunicazione. Sono i partecipanti a scegliere come orientare il festival, su cosa focalizzare l’attenzione, che linguaggi adottare, quali temi trattare. Valeria Tacchi, che ha partecipato sin dall’edizione pilota del 2019, ritiene che il principale punto di forza dell’iniziativa sia il continuo rinnovamento della proposta culturale che, venendo progettata dai nuovi partecipanti di ogni edizione, risulta sempre fresca, originale, contemporanea:

“Si porta una crescita, un cambiamento del festival stesso, perché il festival rispecchia le nostre esigenze e le nostre necessità. Ci concentriamo su spettacoli che siano a noi vicini per le tematiche: se c’è qualcosa che parla a me, può parlare anche a qualche mio coetaneo. Che si distinguano per il linguaggio, che sia innovativo, non teatro serio, teatro ‘teatroso’, cerchiamo di allontanarci da quella cosa lì, proporre altro”.

Di questo processo di direzione partecipata il regista Roger Bernat ha ricavato nel 2023 prima uno spettacolo, Fruitor Passiv, protagonisti alcuni dei ragazzie delle ragazze che avevano prfeso parte al processo di selezione; e poi una performance partecipata La scelta.
Up to You è un festival per giovani, realizzato dai giovani e spicca per il grado di autonomia garantita ai partecipanti. Ponendo l’attenzione là dove sentono la necessità di confrontarsi con una questione precisa, i ragazzi riescono a trovare una propria espressione e proporre una visione inedita dell’attualità.

I tabù

Gli adolescenti devono toccare con mano il mondo, fare i conti con temi che in apparenza non li riguardano, per poter crescere nella maniera più adeguata. Sono molto calzanti i versi di un altro progetto partecipato del Teatro dell’Argine con i giovani, Cos’è quella cosa che…, citati da Federica Zanetti:

“C’è solo un modo per avanzare
Per provare a camminare
Smettetela di domandare
E lasciateci fare”.

Se questo processo non è avviato autonomamente, è possibile e doveroso proporre altre vie per invitare e accompagnare i ragazzi in questo sviluppo. Durante il suo intervento, Mario Bianchi ha elencato alcuni spettacoli per adolescenti particolarmente riusciti: i più incisivi e formativi sarebbero quelli che trattano dei “temi tabù, come il sesso e la morte”. Grazie a spettacoli in grado di affrontare queste tematiche, si colma una lacuna nell’educazione dei ragazzi, tanto scolastica quanto familiare, dal momento che “non se ne può parlare – e poi se ne vedono le conseguenze”. Laura Pigozzi rileva che vi sia in molti casi una attiva resistenza nell’esporre agli adolescenti temi che in quanto “giovani adulti” dovrebbero riguardarli. A+A Storia di una prima volta di Giuliano Scarpinato tratta di sesso in maniera intelligente e sincera: diversi genitori impedirono ai figli di assistere a una replica organizzata da un liceo milanese, perché, dissero, “delle questioni sessuali vorremmo parlare noi ai nostri figli”. Il commento di Laura Pigozzi:

“Al liceo vanno persone dai 14 ai 19 anni. Se a quest’età a tuo figlio non hai ancora detto niente sul sesso, quando pensi di dirglielo?”.

Anche Comizi d’amore, come abbiamo visto, affronta il tema della sessualità e dell’affettività. Per Marco, studente del Liceo Classico “Minghetti” coinvolto nel progetto, “sì, il sesso e il porno, ma più in generale la sessualità risulta essere un tabù all’interno della scuola. L’educazione sessuale e affettiva non sono argomenti ancora sdoganati”. Comizi d’amore ha dunque permesso ai ragazzi di confrontarsi con questioni di primaria importanza per la loro crescita personale, ma che risultano trascurate o completamente assenti.

Bunker, regia e drammaturgia di Michele Comite

In maniera analoga il Progetto Psychachè. Il dolore è mentale, coordinato da Giovanna Bronzini con il Collettivo Clochart, ha inizialmente incontrato molte difficoltà prima di trovare sostegno nell’autunno 2019 presso il Liceo “Rosmini” di Rovereto. Il progetto, un lavoro di sensibilizzazione e un invito alla riflessione sul tema del suicidio adolescenziale, è poi sfociato in un laboratorio teatrale e infine nella realizzazione dello spettacolo Bunker. Il lavoro ha preso forma a partire dalle suggestioni e dagli spunti dei partecipanti, i quali hanno raccolto materiale vario, articoli di cronaca e brani sull’argomento, per poi sviluppare una narrazione coerente interpretata dal Collettivo Clochart, a cui hanno preso parte anche alcuni dei liceali coinvolti. A progetto avviato, diversi studenti si sono ritirati per volere dei genitori, anche se molti altri se ne sono aggiunti. Così lo spettacolo subisce variazioni a ogni replica, adattandosi al contributo e alla sensibilità dei nuovi partecipanti e dei membri del Collettivo. Riporta Anna, un membro di Clochart:

“Bisogna parlarne, è una cosa che va affrontata da con per i giovani, e anche per gli adulti, che sono i primi a non voler toccare l’argomento, perché tabù, per il rischio di emulazione. Ma se di un problema non si parla, non lo si può affrontare e anzi si accumula polvere sotto il tappeto. I giovani non sanno più a chi rivolgersi per parlare del disagio con cui si stanno confrontando, chiusi in sé stessi, in segreto, senza dar nulla a vedere.”

Il valore del Progetto Psichachè sta dunque anche nel lavoro di sensibilizzazione e informazione, che riguarda in primo luogo i ragazzi e le ragazze coinvolte, ma tramite la diffusione dello spettacolo anche la scuola e la società in genere. Alle rappresentazioni è infatti affiancata la promozione di luoghi di ascolto come Youngle, con le linee di emergenza e altri supporti, come quello fornito dall’Associazione AMA (Auto Mutuo Aiuto) di Trento. “Citando le parole di diversi spettatori: questo spettacolo serve, questo pugno nello stomaco muove un po’ le coscienze, fa capire che non parlarne non è una buona soluzione, sia per gli adulti sia per i ragazzi”, continua Anna. Anche Giulio conferma che “lo spettacolo mi ha reso consapevole che questa tematica, seppur delicata, si può trattare”. Progetti come questo sono strumenti eccellenti per formare una comunità più consapevole, attenta e sensibile, e in definitiva più umana.

Individuo e comunità

Focus Adolescen[z]a ha tra i suoi obiettivi principali valutare il ruolo delle attività teatrali prese in esame in relazione con la società, e il loro contributo al suo sviluppo e al suo miglioramento. Il presupposto è che il giovamento che i partecipanti traggono personalmente da queste iniziative risulti vantaggioso anche per la collettività di cui fanno parte, se la crescita della società è il riflesso di quella dei suoi membri, in questo caso per primi ragazzi e ragazze.
Il valore formativo delle attività risulta chiaro soprattutto per i laboratori di natura più specifica. In questo caso gli adolescenti sostengono di aver acquisito conoscenze e competenze precise. Fila Q è un’iniziativa nata nell’ambito del progetto Teatro Scuola e Società del Teatro Fonderia Leopolda di Follonica, in collaborazione con le scuole e l’amministrazione locali. Nel suo intervento Barbara Catalani, assessore alla Cultura e all’Istruzione di Follonica, ha ricordato che, quando nel 2015 il teatro è stato riaperto con la direzione di Eugenio Allegri, si è cercato di non ridurlo a “luogo in cui si consumano serate di intrattenimento. Invece volevamo fosse il luogo della crescita, del dibattito e della formazione di un’intera comunità. La stagione teatrale è una parte di quello che succede lì dentro, non è nemmeno la cosa più importante. Comunque, volevamo che gli spettacoli in cartellone potessero essere analizzati, letti e condivisi attraverso gli occhi degli adolescenti”. Quindi i ragazzi di Fila Q (la fila di poltrone riservata al gruppo dei giovani che possono assistere a tutti gli spettacoli del cartellone) si occupano di produzione e di critica teatrale. Sofia racconta che “abbiamo avuto la possibilità di incontrare dei professionisti e specializzarci un po’ di più su tutti gli ambiti del teatro, non soltanto su drammaturgia e recitazione, ma anche su tutti gli aspetti tecnici”. A suo parere, questa esperienza ha aiutato lei e i suoi compagni a

“sviluppare un pensiero critico, ad analizzare in modo coerente quello che vediamo, e di portarlo poi con noi ovunque nella vita”.

Si sono cimentati in attività legate alla critica anche i ragazzi di ForesTEEN, ultima formulazione delle iniziative europee di audience development per adolescenti dell’associazione mantovana Segni d’Infanzia, uno sviluppo di T.E.E.N. (Theater European Engagement Network) e di TEEN Ambassadors Across Europe. Oltre a partecipare a festival internazionali, si occupano anche dell’organizzazione degli Spuntini critici e di TEEN Kitchen Table, che si svolgono nell’ambito del Segni New Generations Festival: sono incontri tra il pubblico e gli artisti che vengono organizzati e moderati dai ragazzi. “Adesso ogni volta che vedo qualcosa riesco a interpretare quello che sto vedendo, a fare le mie riflessioni, non guardo e basta”, riporta Francesca. Ragazzi e ragazze acquisiscono quindi una consapevolezza del funzionamento dei festival dal punto di vista organizzativo, avendo la possibilità di assistere e prendere parte al suo coordinamento. Lo stesso vale per gli aspetti tecnici e artistici degli spettacoli, partecipando al montaggio e al dietro le quinte. Anche Francesca ribadisce che questo sguardo critico “si estende a tutto, è una cosa che va applicata sempre nella vita”.

La forza della relazione

Oltre che un contributo alla loro formazione culturale, sensibilizzazione e informazione, per i ragazzi e le ragazze tra i benefici di queste esperienze c’è anche un’utilità per l’orientamento futuro, sia scolastico e accademico sia professionale. Ma soprattutto, si dichiarano soddisfatti delle nuove amicizie e relazioni nate in questi contesti. Questo effetto è senz’altro riconducibile al fatto che i laboratori abbiano creato occasioni di incontro, in cui hanno passato il tempo insieme. Ma diversi giovani riconoscono che le competenze sociali e la sicurezza che hanno acquisito tramite la pratica teatrale abbiano giocato un ruolo importante.
Superare la timidezza e la paura del giudizio altrui è accaduto a molti. Una partecipante di Pioverà bellezza ha raccontato:

“All’inizio di questo progetto non ero a mio agio, ero molto chiusa in me stessa, timida. Lo sono ancora, ma ho imparato a essere più libera, meno severa con me stessa. Prima a fare queste attività mi sentivo in imbarazzo, troppo aperta”.

Iside arriva da Marsciano, ha diciotto anni e da quando ne aveva dieci è coinvolta sia come partecipante sia come assistente in diverse iniziative teatrali organizzate dal Teatro Laboratorio Isola di Confine guidato da Giulia Castellani e Valerio Apice. Racconta quanto la frequentazione del gruppo teatrale l’abbia aiutata e che attraverso la relazione con i suoi membri abbia trovato la sicurezza che cercava, in un momento in cui aveva bisogno di stabilità:

“Quando sto con loro, sento di non essere giudicata, so che posso essere me stessa, senza pregiudizi. Sento di poter essere me stessa a 360 gradi”.

Una sua compagna sostiene che a teatro si impari a conoscere e gestire le proprie emozioni confrontandosi con gli altri, e questo lo renda un luogo sicuro per crescere e sviluppare le proprie abilità relazionali. E ancora, aggiungono, il teatro “aiuta a superare i problemi. Sono venute a fare teatro con noi persone che all’inizio non parlavano, che avevano timore a dire il proprio nome e che poi hanno avuto una crescita personale assurda”.
Roberto Rampi commenta che

“il teatro è esattamente questo, il tentativo di dire: ‘Proviamo a metterci nei panni dell’altro’, cioè assumere un’altra forma. È l’unico momento della vita in cui riusciamo a vedere le cose non con il nostro sguardo, ma da un’altra prospettiva”.

Il teatro come esercizio di empatia può insegnare agli individui a stare insieme: “Il giudizio chiude la relazione, la condanna in un luogo. Dovremmo sostituire al giudizio la comprensione”. Questo non significa che si debba sacrificare il conflitto, che in questo caso viene inteso come confronto e quindi principio di scambio e di crescita. Sono le premesse per un rapporto che è “coralità, compagnia, gruppo. Non è la massa, la folla di Manzoni, in cui ci si nasconde e si fa quello che non si vorrebbe neanche fare, trascinati dal branco. È qualcosa di diverso: è misurarsi con sé stessi, ma non da soli”. Rampi continua affermando che

“nel coro ognuno è sé stesso, ma insieme si è qualche cosa, e il qualche cosa dell’insieme è dato dal punto di vista, dal fatto di guardare tutti nella stessa direzione. In fondo è quello che dovremmo riuscire a fare come società”.

L’impatto sulla società

Dunque la crescita in termini di “abilità sociali” (le capabilities), che potrebbe di per sé essere annoverata tra i vantaggi che gli individui traggono dalle attività, rappresenta anche chiaramente un beneficio diretto per la collettività, che è costituita dalle relazioni dei suoi singoli componenti. E in questo senso i progetti che investono sul networking, come fa ForesTEEN su scala europea, risultano di particolare valore.
Il processo di crescita, qualunque sia la sua natura, non riguarda mai unicamente i ragazzi coinvolti, ma si diffonde attraverso di loro anche al resto del tessuto sociale. In primo luogo interessa le famiglie dei partecipanti, come testimonia l’esperienza di Francesca in Creature selvagge con i suoi parenti over 50.

From Syria. Is this a Child?
(Ph. Alice Durigatto)

E avviene in misura forse maggiore in From Syria: Is This a Child? di Miriam Selima di Fieno e Nicola di Chio, coprodotto da Tieffe Teatro Menotti di Milano e Bottega degli Apocrifi di Manfredonia. Lo spettacolo mette a confronto la guerra familiare di Giorgia, una quindicenne italiana in difficoltà a causa del divorzio dei suoi genitori, e la guerra reale, quella in Siria, che la protagonista arriva a conoscere grazie all’incontro con Abdo, un giovane rifugiato. La narrazione si basa sulla reale esperienza dei due protagonisti. Giorgia Possekel, oltre a sostenere l’utilità dello spettacolo nell’elaborazione del suo vissuto, ritiene che questo percorso abbia dato anche ai suoi genitori motivo di riflessione: “È molto forte quello che dico nello spettacolo di quello che ho passato. Loro vedevano il divorzio dal loro punto di vista, mia mamma nella sua ottica e mio padre nella sua, ma non avevano visto quello che abbiamo vissuto noi figli. Secondo me vederlo li ha un po’ cambiati, e i miei fratelli sono cambiati anche loro”. Anche se non è necessario che una produzione ricalchi le vicende biografiche della protagonista perché si possa trovare nel teatro un’occasione di crescita personale (e collettiva).
Altre iniziative diffondono la propria azione in altre direzioni. Rimanendo nell’ambito familiare, in alcuni dei progetti organizzati da Isola di Confine si invitano i genitori e i parenti a partecipare ai laboratori e a salire in scena insieme ai ragazzi e alle ragazze. Un adolescente di Marsciano spiega come le pratiche teatrali, specialmente nei casi in cui vengono incluse persone esterne all’ambiente, aiuti a consolidare i rapporti esistenti nel tessuto sociale, familiari o meno:

“Il teatro è coinvolgimento, è comunità, e quindi la magia del teatro ti porta ad avere fiducia in chi hai vicino, che sia un attore, un ballerino, un musicista o una qualsiasi persona che in quel momento recita con te, sta con te, condivide le tue ansie, le tue paure, ma anche le tue gioie. Nel momento in cui recito con un mio familiare, mi rendo conto che lui si affida completamente a me, coinvolgendomi e allo stesso tempo mettendosi in gioco”.

Guinea Pigs, L’Italia è relativa

I ragazzi di L’Italia è relativa, un progetto dei milanesi Guinea Pigs, per espandere la portata del loro lavoro e rivolgersi a persone che non sono già coinvolte, organizzano “incursioni teatrali” in spazi pubblici. L’iniziativa, che si sviluppa nell’ambito del progetto LAIVin 2021-2024 di Fondazione Cariplo, è rivolta a adolescenti dai quattordici ai vent’anni, con i partecipanti selezionati all’interno dei gruppi teatrali degli istituti superiori “Gaetana Agnesi” di Milano e ICTS PACLE “Elsa Morante” di Limbiate. I membri della compagnia li accompagnano in una riflessione sull’integrazione e sul significato dell’identità culturale e nazionale nell’esperienza di immigrati di prima e seconda generazione in Italia, invitandoli a trarre ispirazione anche dai loro vissuti. L’obiettivo finale è realizzare uno spettacolo organico a partire dalle performance più brevi che i ragazzi hanno elaborato durante il percorso, occupandosi sia della composizione drammaturgica e della regia sia dell’interpretazione. Le performance #ItaliaDoveSei vengono proposte in contesti urbani, con l’intenzione di coinvolgere i passanti e rivolgersi indiscriminatamente a utenti di ogni possibile estrazione. Un approccio così diretto non va considerato solo nei termini di promozione dell’attività, ma va messo in relazione con il messaggio sociale e lo spirito del progetto, che vuole chiamare in causa tutta la cittadinanza e porre l’attenzione su tematiche ritenute urgenti.

Il progetto LAIVin

Anche se non molto conosciute e non abbastanza valorizzate, sono davvero numerose le pratiche di teatro per e con gli adolescenti. Per cercare di sostenerle, coordinarle e diffonderle, è attivo in Lombardia il progetto LAIVin, nato nel 2006 dalla collaborazione di Fondazione Cariplo, Associazione Etre e Cooperativa Sociale ONLUS Alchemilla. L’intento è promuovere l’allargamento esperienziale all’interno della scuola attraverso l’introduzione di pratiche culturali per gli studenti, principalmente teatrali e musicali.
Il progetto si occupa del coordinamento e finanziamento delle attività e dei laboratori dei vari istituti, selezionati tramite bandi e poi supportati economicamente per alcuni anni. Gli studenti che partecipano alle iniziative traducono l’esperienza maturata durante i vari percorsi nelle restituzioni presentate all’interno del festival LAIVin Action, che fino al 2018 si è tenuto a Milano e da allora ha luogo ogni anno in una città differente della Regione, tra quelle comprese nel circuito.
Dall’edizione 2024 le città ospiti saranno due, per coprire in tre anni tutte le sei zone in cui la Lombardia è divisa da LAIVin nella gestione delle iniziative. Uno degli obiettivi è stimolare la collaborazione tra enti diversi sui vari territori in cui opera e consolidare i rapporti già esistenti, si tratti di compagnie teatrali, collettivi, associazioni o realtà di altro genere. Si cerca di promuovere localmente la partecipazione della comunità e al tempo stesso creare una rete di contatti sempre più fitta su scala più ampia, moltiplicando le possibilità di scambio e facilitando la nascita di nuove iniziative. Per esempio, in ognuna delle sei zone “vengono realizzati dei cosiddetti Lab Day: studenti, operatori, docenti si incontrano e riflettono su quelli che possono essere modelli di organizzazione nei quali i ragazzi sono pienamente investiti”, spiega Nicolas Ceruti, presidente dell’Associazione Etre. Il contributo di LAIVin al tessuto sociale si sviluppa dunque su molti livelli e attraverso azioni diversificate. Per rendersi conto della portata del progetto, il lavoro di connessione e supporto delle varie realtà dell’organismo sociale ha finora coinvolto circa 35.000 studenti di oltre 300 scuole in 14 province.

Gli invisibili

I ragazzi e le ragazze che hanno preso parte alla giornata del 2 dicembre 2023 rappresentano un campione certo interessante e significativo del mondo giovanile. Le loro testimonianze arricchiscono con la loro creatività il ritratto di questa generazione con tonalità e colori a volte imprevedibili.
Ma accanto a loro – alla loro capacità di salire sulla scena, nel teatro e nella società – sono anche gli “invisibili”. In primo luogo quelli che sono stati coinvolti in esperienze teatrali, spesso di grande valore, ma che non hanno potuto portare la loro testimonianza. Per esempio i ragazzi e le ragazze coinvolti nel progetto dell’Associazione Teatrale Puntozero, attiva al Beccaria di Milano. Hanno potuto mandare solo un video i ragazzi di diversi Centri di accoglienza per minori non accompagnati che frequentano il Centro Provinciale Istruzione Adulti di via Madama Cristina, a Torino (CPIA 2). Marco Cinnirella li ha accompagnati in un percorso teatrale focalizzato incentrato sul lavoro e la crescita professionale. Per i partecipanti laboratorio è stato anche un’occasione per stringere relazioni personali significative tra i partecipanti. Cinnirella riporta la testimonianza di un giovane del gruppo del gruppo:

“Io sono qua da poco. Non ho amici. Ma dopo questo corso credo che ne avrò”.

Legata alla migrazione è anche OnBorders APS, un laboratorio di ricerca etnografica attivo in luoghi di attraversamento frontaliero, specialmente sui confini della Bosnia e della Francia. Le operatrici Elena Tommasoni e Simona Sala riferiscono del loro lavoro presso il Rifugio Fraternità “Massi” a Oulx, in provincia di Torino, dove nel 2023 sono transitate 19.000 persone, contro le 8.000 dell’anno precedente, tra cui 800 minori non accompagnati. Per raccontare l’esperienza dei ragazzi in cammino, segnata dalla negazione, l’intervento si è svolto articolandosi a partire da questa parola chiave, esplorata anche attraverso attraverso altri termini. Negazione come perdita: “delle esperienze tipiche dell’adolescenza: la perdita del gioco, dell’esplorazione di sé stessi – che è una parte fondamentale in questa fase della vita – della propria interiorità, del proprio corpo, dei propri interessi, della spiritualità, del rapporto con gli altri, dell’istruzione”. Ma anche la perdita dell’identità, attraverso quella “della propria famiglia, della propria casa, della propria terra”. Uno sradicamento che priva i ragazzi dei propri affetti e della propria cultura, e al quale spesso, specie nel caso di migrazioni da paesi con disordini politici particolarmente gravi, si aggiunge il mancato riconoscimento dell’identità dal punto di vista legale: nei luoghi di conflitto, i registri anagrafici sono spesso compromessi e decine di migliaia di persone si ritrovano in una situazione di virtuale inesistenza.
Si è anche parlato della negazione della dignità che tantissimi migranti subiscono, un fatto che “si vede sul loro corpo”, nei segni e nelle cicatrici. “In molti confini in questo momento – Bosnia, Croazia, Tunisia, Grecia… – la polizia non solo respinge i clandestini, ma infligge loro delle umiliazioni e delle violenze assolutamente gratuite”. Un accanimento che mira a “far ritornare la persona a uno stato primitivo” e negarne l’umanità, “nascondendosi in nome della sicurezza dietro alle normative europee e nazionali contro l’immigrazione”. Gli abusi vengono commessi per disincentivare il passaggio, ma anche per ragioni economiche: percorrere la rotta balcanica e quella ionica è molto costoso, i migranti respinti a una frontiera sono costretti a fermarsi, “lavorare (in nero) per trovare altri soldi e ripartire di nuovo ripagando il prezzo intero”.
Infine, il concetto di cura, il passaggio dalla sua negazione alle forme diverse in cui può presentarsi. I ragazzi migranti si trovano ad affrontare situazioni molto complesse, abbandonati a sé stessi ma spesso costretti a farsi carico del sostentamento della propria famiglia. La responsabilizzazione forzata a cui vanno incontro è di enorme impatto per lo sviluppo e non di rado “porta anche a perdersi nei modi peggiori”. L’urgenza di impegni così gravosi li porta a mettere da parte la cura di sé, i propri interessi e aspirazioni, la propria persona. Più in generale, la crescita dei giovani migranti è costantemente minacciata dalla carenza di supporto, dall’assenza di figure di riferimento e dal bisogno. Ma c’è però una speranza. A volte questi ragazzi riescono a trovare conforto nei loro compagni di viaggio, sostegno nelle relazioni che costruiscono durante il percorso e nelle varie tappe. La loro condizione può essere riassunta dai versi scritti da uno di loro, Adan, partito dal Pakistan a 14 anni e arrivato in Italia a 22:

“Non vedere il funerale della mia vita in cui giace il funerale dei miei sogni”.

E poi ci sono tutte le storie dei ragazzi che non riescono a prendere la parola perché vivono in condizioni di particolare fragilità, e che non potevano essere presenti il 2 dicembre: per esempio i protagonisi delle vicende narrate nel Labirinto del Teatro dell’Argine: quelli seguiti dai servizi sociali e dalle varie istituzioni legate al mondo della giustizia minorile, quelli che già a 11-12 anni affrontano il coma etilico, che hanno a che fare con l’autolesionismo, la prostituzione minorile, il bullismo, i disturbi alimentari, per esempio bulimia o anoressia… Non ci sono i ragazzi che muoiono a lavoro, magari (ancora più scandalosamente) durante l’alternanza scuola lavoro.
Perché sono moltissimi i ragazzi e le ragazze sfuggono alla “doppia caricatura” di cui si era parlato all’inizio della mattina. Ma sono anche troppo numerose le vittime della società degli adulti, invisibili e senza una voce, fino a quando non è troppo tardi.




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