Humus | 10 giovani compagnie per abitare 5 spazi non convenzionali a Milano
Il progetto di Linguaggicreativi inizia il 13-14 gennaio 2024 con un seminario di critica teatrale in collaborazione con Ateatro allo Spazio Bolzano29
10 compagnie presentano uno spettacolo work in progress in 5 serate in 5 diversi locali milanesi. Una giuria decreterà il vincitore, che avrà la possibilità di concludere lo spettacolo e farlo debuttare all’interno della Stagione di Teatro Linguaggicreativi ad aprile 2024.
Il progetto HUMUS | Arte Vagabonda
HUMUS | Arte Vagabonda, a cura di Teatro Linguaggicreativi, vuole intercettare le “Anime nascoste” di luoghi non definibili in maniera univoca, che sperimentano nuove forme di socialità attraverso l’arte e la cultura. In questi luoghi verranno portati in scena studi della durata di 25/30 minuti di spettacoli teatrali – quindi non spettacoli già finiti – mischiando pubblici teatrali con la clientela dei locali, studenti con operatori del settore, artisti e spettatori, in ambienti non convenzionali, nei quali far emergere nuove forme di partecipazione, fruizione e condivisione.
Una giuria composta dalla direzione artistica, da cinque operatori culturali e da un gruppo di studenti decreterà lo spettacolo vincitore che riceverà una residenza di gg 20 (anche non continuativi) presso Teatro Linguaggicreativi e la somma di € 3.000 come contributo alla produzione di uno spettacolo di durata non minore di minuti 60 che verrà poi ospitato a percentuale 70/30 presso Teatro Linguaggicreativi nel mese di aprile 2024 all’interno della stagione teatrale.
La giuria sarà presieduta da Oliviero Ponte di Pino che il 13-14 gennaio 2024 terrà un workshop di critica giornalistica con allievi delle scuole superiori e delle accademie, in collaborazione con Associazione Culturale Ateatro e Spazio Bolzano29.
Il calendario
17 gennaio 2024 | APRÈS COUP
DIO È AL FRONTE di Matrice Teatro
GREEN – di cose tralasciate e cose omesse di Christian Gallucci e Marco Pezza
24 gennaio 2024 | SPAZIO TADINI
DEATH CAFÈ di Marina Minetti
ZITTO PETER! Una sitcom sulla nausea di nascere di Compagnia Fettarappa Sandri Guerrieri
30 gennaio 2024 | GHE PENSI MI
MATRIOSKA – MUA’ di Noemi Piva
PIENA COME UN UOVO di Compagnia Caterpillar
7 febbraio 2024 | SPAZIO LAMBRATE
TUTTI MESSI IN FILA di Yuri Casagrande e Claudia Marsicano
ALLONTANARSI DALLA LINEA GIALLA di Compagnia La Cumana
13 febbraio 2024 | MAMU Magazzino Musica
SURGELATI di Le ore piccole/Compagnia Dunamis
INNAMORATO di Compagnia Lumen. Progetti, Arti, Teatro
Gli spettacoli
Matrice Teatro
Dio è al fronte
Scritto da Benedetta Carrara e Alberto Camanni
da un’idea di Alberto Camanni, Benedetta Carrara e Claudia Perossini
Regia di Diana Manea
Con Alberto Camanni e Giorgia Fasce
Scenografia di Matteo Corsi
Assistente alla regia Benedetta Carrara
Prodotto da Matrice Teatro
SINOSSI
Fuori, una pioggia incessante si abbatte sul Paese. Dentro, la scenografia di uno spettacolo mai andato in scena. Un uomo apre la porta a una donna. I due, in questa convivenza forzata, ben presto si ritrovano a scontrarsi. L’uomo infatti è lì da tempo, vive nella speranza che le persone a lui care tornino presto, e che si possa riprendere la vita di prima. Invece la donna, non avendo più nessuno da aspettare, è diretta ai campi di battaglia: corre voce che Dio sia al fronte.
NOTE DI REGIA
Dio è al fronte? nasce da una serie di scatti fotografici che abbiamo realizzato ad alcune attrici ucraine, portate al sicuro in Italia tramite Stage4Ukraine di Matteo Spiazzi, un’associazione che ha accolto diversi studenti ucraini.
Il testo è stato scritto partendo dalle loro testimonianze, affrontando il tema della guerra in Donbass negli anni precedenti, al racconto delle prime bombe su Kyiv; dal rapporto con la lingua russa all’eventualità di recitare un testo russo; il ricordo del loro passato e la speranza per il futuro.
DONNA Dicono che Dio è al fronte. Difende il nostro Paese in trincea. Lo hanno chiamato ed è arrivato.
UOMO E dall’altra parte? Loro non l’hanno chiamato?
Christian Gallucci e Marco Pezza
Green
Uno spettacolo di Christian Gallucci | Marco Pezza
SINOSSI
Carolina Green, giovanissima studentessa e attivista per l’ambiente e i diritti civili, scompare nel nulla, senza lasciare traccia. A distanza di tre mesi, il suo corpo viene ritrovato da due fratelli, giardinieri incaricati di svolgere un lavoro all’interno della proprietà della famiglia della ragazza. La notizia ha una grande risonanza mediatica, e i due fratelli – il maggiore in particolare, già in passato accusato di molestie – si ritrovano immediatamente coinvolti nell’indagine.
NOTE DI REGIA
Green è un progetto drammaturgico e di spettacolo costruito su un fatto di cronaca fittizio. Seguendo i canoni e le suggestioni del noir, riflettiamo su ciò che lasciamo a questo nostro mondo, a quanto ammonta il peso della nostra eredità. Per fare ciò, teniamo sullo sfondo alcuni temi pressanti della nostra contemporaneità: l’attivismo delle nuove generazioni; il divario socio-economico crescente all’interno delle nostre società; la cura per il nostro pianeta.
Il lavoro prevede una serie di duetti a due voci – con alcuni contrappunti – che contribuiscono a creare un affresco dove possiamo guardare l’immagine nel dettaglio o nel suo insieme. Ogni scena o duetto è composta da una coppia di personaggi che può comparire anche una sola volta, con l’eccezione dei due protagonisti e dei due autori, i cui brevissimi contrappunti fanno da collante tra le diverse voci contribuendo non solo alla soluzione del caso ma anche alimentando la riflessione principale.
Green è uno spettacolo costruito su un fatto di cronaca fittizio dove l’importante non è tanto scoprire chi sia l’assassino, quanto mostrarci lo spaccato di una società composta da tifoserie; un mondo senza sfumature, ricco di pregiudizi, in bianco e nero.
Green è un giallo tinto di rosso in una giostra di personaggi in bianco e nero. Una commedia triste per un mondo a venire.
Marina Minetti
Death Cafè
Autori Marina Minetti e Daniele Vecchiotti
Supervisione alla regia Emanuele Conte
Con Marina Minetti
SINOSSI
Death Cafè è la storia di una conduttrice radiofonica stanca di non poter condividere con i suoi ascoltatori temi che l’intrattenimento mainstream considera tabù. Primo fra tutti, la morte.
Convinta che parlare delle proprie paure le permetta di superarle, decide di affrontarle sequestrando il pubblico di un teatro e trasformando la serata in una seduta psicanalitica di gruppo sul tema che, volenti o nolenti, riguarda tutti i partecipanti alla serata: l’Ultimo Viaggio.
E così la sala diventa un Death Cafè, uno di quei luoghi, realmente esistenti, in cui un numero limitato di persone si incontra per discutere insieme sul tema della morte e superarne il timore.
In un’epoca storica che, a dispetto di tragedie collettive, rimuove continuamente il dolore, lo spettacolo vuole recuperare una visione antica della morte, e il rapporto positivo che le civiltà classiche avevano con essa.
Seneca diceva: “Morire è più facile che nascere, e per questo bisogna approfittarne”. Dunque, ecco un’occasione conviviale per sciogliere la paura dei buchi neri guardandoli in faccia col sorriso e una birra in mano, e accorgerci così che, in questi anni di divisioni, isolamenti e conflitti, la morte è quella grande esperienza che ci avvicina tutti.
In Death Cafè, riconoscersi fragili di fronte alla morte è l’inizio di un percorso che viene affrontato con autenticità e umorismo, attraverso un monologo in cui la conduttrice tenta di trovare le risposte a tutte le domande sulla morte, anche a quelle più bizzarre: che odore ha la morte? Fa male? Avrò problemi di ricrescita anche da morta? Le mummie puzzano? Cosa succede durante la cremazione se prima di morire inghiotto una confezione di pop-corn?
L’atmosfera informale del Death Cafè permette al pubblico di avvicinarsi con leggerezza a un tema complesso, soddisfare tutte curiosità in merito e scoprire che, se è vero che ognuno di noi è solo davanti alla Morte, almeno finché non arriva, possiamo riderci su tutti insieme.
Il progetto Death Cafè non è solo un monologo teatrale, ma anche un podcast pubblicato a Novembre 2023 da Mondadori Studios.
Se la paura di volare si combatte con una maggiore conoscenza del funzionamento degli aerei, perché non dovrebbe essere così anche per la paura di morire?
Compagnia Anolfo-Fettarappa-Guerrieri
Zitto Peter! Una sitcom sulla nausea di nascere
Testo di Niccolò Fettarappa
Con Maria Anolfo e Lorenzo Guerrieri
Regia Fettarappa/Guerrieri
SINOSSI
Due giovani genitori smarriscono il figlio ed è il dramma.
Sono la coppia più schifosa del mondo e insieme al figlio hanno perso il senno. Senza il loro ragazzone, la vita di coppia precipita nella nevrosi.
La Madre soffre della sua assenza e piange sui progetti di carriera che aveva per lui immaginato. Il Padre è ossessionato dalle suppellettili di casa, a cui cerca disperatamente di dare un ordine.
Lungo una serie di quadri sregolati, come in una sit-com psichedelica, vediamo i due preda di rocambolesche tragedie quotidiane, abitati da un flusso di parole che non riescono a controllare, vittime e carnefici di conflitti casalinghi senza logica.
NOTE REGIA
Protagonista assoluto della scena è il linguaggio, la rete fitta dei significanti che incastra l’individuo in compulsioni e micromanie.
Il parlessere dispotico del padre padrone schiaccia il figlio, perché la famiglia è il quartiere generale dell’ebetismo, il punto di raccolta delle psicosi, da cui ci si può solo augurare di fuggire.
La nostra dichiarazione di guerra contro la famiglia.
Noemi Piva
Matrioska, uno studio di Muà
di Noemi Piva
Con Sara Chinetti e Noemi Piva
Musiche originali James Layton
Aiuto costumi Nuria Piccirillo
Occhio esterno Lorenzo Covello
Progetto vincitore del bando Odiolestate ’23 di Carrozzerie n.o.t
sostenuto da Periferie Artistiche, centro di residenza
multidisciplinare della regione Lazio\VERA STASI e dalle Associazione culturale Atacama Onlus e B-ped.
SINOSSI
Una stanza verde accoglie due figure apparentemente identiche ma con ruoli distinti: generatrice e generata si incontrano, fondono e confondono costruendo un mondo a loro somiglianza. Inaspettata, emerge la possibilità di un “Fuori”. Il passo in direzione di quell’altrove porta con sé il sapore di un abbandono, morte che traghetta oltre la stanza da giochi, prigione color pastello, utero materno: contenitore in cui marinare, un’ultima volta, sola.
“Per effetto matrioska si indica un qualsiasi oggetto o processo ricorsivo i cui elementi si ripropongono uguali a sé stessi, annidandosi l’uno dentro l’altro potenzialmente all’infinito.”
MUA’ è “camminiamo insieme?” mano nella mano con
l’altra te
MUA’ è io e tu, io più tu, io meno tu
MUA’ è un augurio di morte ma poi chiedi scusa.
Compagnia Caterpillar
Piena come un uovo
di Lisa Lampanelli
Traduzione Monica Capuani
Regia Luigi Aquilino, Eugenio Fea Bosia
con Denise Brambillasca, Gaia Carmagnani, Ilaria Longo, Valentina Sichetti
Disegno Luci Mandredi Michelazzi
con il sostegno di Fondazione della comunità Monza e Brianza Onlus e di Teatro Binario7
Progetto scuole in collaborazione con Jonas Monza e Brianza Onlus presso il liceo Statale Carlo Porta di Monza
Si ringrazia Alice Parisi Locandina Michele Basile
SINOSSI
Una bulimica, una mangiatrice compulsiva, una ragazza sovrappeso sicura di sé e una ragazza cronicamente magra.
Quattro corpi, quattro storie di donne riunite con arguzia distintiva e intuizione irriverente, per dipingere un ritratto aspramente spiritoso e in definitiva toccante della follia a cui ci costringe questo mondo. Mentre la commedia vola veloce e furiosa – e la messa in scena include frigoriferi giganti e momenti di gioco – lo spettacolo sonda in modo toccante le lotte con l’immagine del corpo.
NOTE DI REGIA
L’evoluzione e la metamorfosi di un corpo bombardato da target ideali e molto spesso irraggiungibili plasma e trasforma la quotidianità delle quattro protagoniste. Come mi vedo io? come mi vedono gli altri? Attraverso una dura serie di scontri con se stesse e con le compagne di scena, le attrici, tutte afflitte da gravi disturbi alimentari, raccontano come hanno affrontato la loro malattia, la loro fisicità e il loro rapporto col cibo, vera e propria ossessione. Il tempo e un altro elemento cardine nella vita di queste donne che cercano di sfruttare ogni secondo per perdere o mettere su peso. Una corsa alla ricerca del peso ideale, fatta di diete, rinunce, concessioni e pentimenti, una corsa al primo premio, un premio che si scoprirà essere nient’altro che il proprio benessere, indipendentemente dagli altri. Partendo da queste riflessioni abbiamo pensato che il punto focale da cui partire e proprio la visione che io ho di me stesso e quella che gli altri hanno di me, visione che, non controllata, può sfociare in dismorfofobia, ovvero il non riconoscersi. Il nostro corpo, in tutte i suoi aspetti, e la nostra identità e noi vogliamo plasmare la sua forma secondo canoni e idee che vediamo riflessi negli altri, ma che non sono nostri. E allora facciamo attività fisica in maniera compulsiva, con schede pensate e articolate al millimetro, affiancate da diete scrupolose e pratiche esotiche scoperte sul web.
Siete già PIENI di prepararvi per la prova costume? Questo è lo spettacolo per voi!
“sei in forma” “come sei sciupata” “hai un bel viso” “ma sei dimagrita”.
Quanti commenti non richiesti hai ricevuto?
@compagniacaterpillar ne è già PIENA COME UN UOVO!
Yuri Casagrande Conti
Tutti messi in fila
Scritto da Yuri Casagrande Conti
Diretto da Yuri Casagrande Conti e Claudia Marsicano
Con Yuri Casagrande Conti e Claudia Marsicano
SINOSSI
Sulla scena si susseguono alcune testimonianze di personaggi che non sembrano avere niente a che a fare l’uno con l’altro. Se non fosse che tutti raccontano storie che hanno a che fare con una perdita, con un lutto. Se non fosse che tutti, in forme diverse, parlano di un qualcosa dentro di loro che dopo quella scomparsa è morto, come se da allora gli mancasse un pezzo. Un pezzo talmente fondamentale da fargli dubitare di poter vivere senza. Un pezzo così importante da fargli dubitare di essere ancora vivi. Perché se noi rimaniamo qui mentre i nostri cari passano a miglior vita, chi è veramente il morto?
NOTE DI REGIA
Quanto spazio occupa il lutto? Quanto ne lascia per continuare a vivere? Sembra quasi che si impossessi della nostra identità, delle nostre azioni, dei nostri pensieri. Sembra che muoia dalla voglia di identificarsi nella nostra interezza. Ha sete di riconoscimento il lutto, vuole la sua fetta. Mi chiedo quanto costi dargliela.
“Macerie, resti, polvere. Un palazzo ridotto in frantumi che ci è crollato addosso, quello forse è il lutto. Non lo so, sto ipotizzando.”
Compagnia La Cumana
Allontanarsi dalla linea gialla
Testo e regia di Luigi Bignone e Marica Nicolai
Con Luigi Bignone, Martina Carpino, Marica Nicolai, Gianluca Vesce
Progetto visivo Sebastiano Cautiero e Tommaso Vitiello
Costumi Rachele Nuzzo
Scene Simona Batticore
SINOSSI
Una cittadina spersa in mezzo al nulla, in evidente stato di decomposizione, ma non puzza. Una fabbrica dismessa, una ruota panoramica senza panorama, il binario di un treno su cui nessuno è mai salito.
Attraversano la scena diversi personaggi, nessuno di questi si assume la responsabilità di essere protagonista di questa storia, tutti si relegano al ruolo di comparse, vite in attesa.
Si incrociano tipi da bar in disperata ricerca dell’attenzione di qualcuno, bambini che si costruiscono delle avventure dove non ne trovano, uno spazzino che pulisce il nulla, una donna incinta da ben più di nove mesi, un sedicente sceriffo o SS, una gallina che voleva fare il gallo, personaggi le cui vite si sfiorano senza far troppo rumore. Il ritmo è scandito dal puntuale passare del treno, tutti i giorni, alla stessa ora. Il treno ferma, nessuno sale e nessuno scende, il treno riparte e un calo di tensione avvolge la cittadina che rimane al buio. Gli abitanti lo conoscono bene questo buio, è una delle inamovibili e rassicuranti certezze.
Le esistenze continuano così, giorno dopo giorno, incastrate nelle abitudini, nei soliti discorsi, nei karaoke del giovedì sera, fino a che una morte inaspettata sconvolge l’equilibrio della cittadina. Con essa l’ombra di un mostro, che sembra essere stato avvistato nei dintorni, fa il suo ingresso nelle vite sospese dei personaggi. Il mostro, nella sua assenza, diventa capro espiatorio, bestia sacrificale, portatore di alterità. La tensione sale, la cittadina si trasforma in un alveare dal ronzio assordante.
L’energia accumulata sfocia in un rito carnevalesco, un Ringraziamento macabro, un Natale senza doni, in cui l’ordine preesistente viene sospeso. Il treno passa, come tutti i giorni, ma quando si allontana, dietro la linea gialla sono rimasti solo i due bambini e la pancia.
NOTE DI REGIA
Questo progetto nasce da un sogno, dalle immagini che vi abbiamo estrapolato, dai colori in cui le abbiamo dipinte, dagli odori che questi dipinti emanavano. Abbiamo popolato questo sogno con le anime e i corpi di personaggi incontrati per pochi istanti, con comparse della nostra vita cristallizzate in un’essenza. Il risultato è un’opera-modo onirica e allo stesso tempo crudamente realistica in cui ogni comparsa di vita si porta dietro un microcosmo tematico importante; per citare solo alcuni esempi: la donna incinta da ben più di nove mesi racchiude in sé la questione sulla maternità, sul ruolo della donna, sull’autodeterminazione, i bambini aprono la riflessione alla sfera del gioco, della fantasia, della possibilità, della curiosità, lo spazzino che pulisce il nulla ci parla di inettitudine di fronte al disastro climatico e ambientale che viviamo. Guardando dall’alto il nostro presepe ci è apparso chiaro il tema che lega tutte queste vite: l’attesa. Una sorta di paralisi collettiva, un immobilismo diffuso, come se nell’aria ci fosse dell’anestetico. Nessuno si prende la responsabilità di vivere e di essere incisivo nelle proprie azioni, tutti sopravvivono in attesa di qualcosa che non arriva, di un gran finale che li liberi dalla responsabilità della vita.
In un’epoca in cui siamo chiamati a fare i conti con l’emergenza climatica e ambientale, con il ritorno dei totalitarismi, delle minacce nucleari, la crisi umanitaria legata alle guerre e al fenomeno dell’immigrazione, siamo incapaci di fare la rivoluzione, ce ne stiamo invece chiusi nelle nostre case bombardati da stimoli che invece di spronarci a muoverci ci paralizzano. La curiosità salverà il mondo.
– Aspetti che passa il treno?
– Aspetto che passa.
– Passa sempre.
– E tu che aspetti?
– Aspetto che passa il tempo.
Le ore piccole / Dunamis
Surgelati
Testo Chiara Arrigoni
Regia Giulia Quercioli
con Daniele Santisi e Matteo Carabelli
costumi e scene Paola Arcuria
assistenza alla regia Paola Arcuria
assistenza creazione scenica Chiara Arrigoni
progetto di Le ore piccole / Dunamis
SINOSSI
E SE FOSSE POSSIBILE RIBELLARCI?
Tonino ha appena iniziato a lavorare in un supermercato. Non è un maschio alfa: è remissivo, di poche parole, un po’ sfigato. Sembra in procinto di farsi schiacciare dagli esseri umani che incontra o, forse, assorbe da loro un malessere crescente che serpeggia per la città. Le altre persone, infatti, sono spesso insoddisfatte, non riescono ad adattarsi alla vita così com’è o tentano di adottare meccanismi di sopravvivenza che le rendono sospettose le une con le altre. Tonino interagisce con diversi personaggi che popolano questo paesaggio urbano a tratti distopico e scopre che il suo posto di lavoro al supermercato è in sostituzione di una ragazza che è stata cacciata perché, un giorno, ha “dato di matto”, nella zona dei surgelati. Seguendo Tonino e i suoi incontri con “gli altri”, capiamo meglio cosa è successo “quel giorno”, anche perché lui inizia, sempre di più, a percepire la presenza inquietante della ragazza e l’ombra di quell’episodio, come una specie di ossessione, mentre le sue interazioni al supermercato e nella città iniziano a trasformarlo. Tonino è sempre più vicino a un’esplosione che ricorda, curiosamente, quella della ragazza, mentre la realtà inizia quasi a deformarsi davanti a lui: anche lui “darà di matto”? O forse si è sempre trattato, più che di un atto di esasperazione, di una ribellione, del tentativo di liberarsi?
Personaggi
Il testo prevede due personaggi e due attori, il primo è Tonino, il secondo è Gli altri: un personaggio “collettivo” che incorpora una molteplicità di personaggi, di volta in volta cambia e diventa un nuovo altro essere umano che incarna il mondo che ci circonda, o forse una sua versione più crudele. Tra i personaggi inglobati dentro Gli altri, abbiamo alcuni colleghi del supermercato, da quello che ha il record di velocità a piazzare gli adesivi con gli sconti a quello che ha paura delle energie negative che restano attaccate alle cose, l’istruttore-motivatore della palestra, la voce dell’intelligenza artificiale che monitora con un questionario lo stato di salute mentale dei dipendenti, un cliente scontento, un ragazzo fissato coi video online incontrato in metro, il tizio del meteo in TV e persino il cane Scheggia, adottato da Tonino già vecchio e malandato.
NOTE DI REGIA
Il testo è ambientato in una grande città, che non sembra un luogo ospitale: è un gorgo che ospita un’umanità un po’ guasta, arrabbiata, tutte le persone che Tonino incontra sembrano avere delle valide ragioni per avercela su con il mondo o per nutrire sospetti gli uni verso gli altri. Tonino, immerso in questo mondo, ne assume sempre di più le caratteristiche: assorbe e riceve dalle vite altrui, dai luoghi, dalle creature animate e inanimate. Tutto ciò che lo circonda si accumula su di lui e inizia a trasformarlo, a cambiargli la pelle. Ognuno degli Altri “regala” a Tonino qualcosa che ha a che fare con il suo modo di sopravvivere o vedere il mondo (sedativi, compromessi, vie di fuga, alienazione, frustrazione), come un contagio; Tonino, dal canto suo, sembra molto disponibile a “ricevere”, e la città è il terreno fertile di questa contaminazione endemica.
Il percorso del protagonista dentro il testo è un crescendo che segue la sua trasformazione: all’inizio Tonino sembra quasi una comparsa, parla poco, assiste all’apparizione di nuovi personaggi e si fa incuriosire da loro. Acquista sempre più peso man mano che prosegue la sua metamorfosi, si alza la temperatura delle scene, lo sentiamo sempre più arrabbiato, finché il Tonino remissivo dell’inizio scompare per fare spazio a qualcosa di nuovo e percepiamo che la sua esplosione è prossima.
L’emersione di questo “nuovo Tonino” è dovuta, però, non solo alla presenza degli Altri, ma anche a quella, impalpabile, della ragazza. La figura della ragazza è come un monito, una spada di Damocle che pende sul capo di Tonino, una maledizione che ti si attacca e non ti lascia più e inizia a deformare la realtà. Questo processo narrativo assomiglia alla caduta nell’abisso di una tragedia greca, o di un film thriller-horror, in cui una presenza incombe sulla tua vita e inizia a inquinarla, inizi a vederla ovunque, il suo messaggio risuona in ogni azione, luogo, conversazione, incontro.
Ma cosa sta diventando Tonino? Potrebbe sembrare inizialmente che gli Altri e la ragazza lo stiano conducendo nella stessa direzione, ma ci accorgiamo invece che questa metamorfosi è ambigua: la caduta di Tonino è anche il suo rifiuto verso un mondo ingiusto, arrabbiato, che non offre un senso e rifiuta l’empatia. La sua esplosione, quindi, come quella della ragazza tempo prima, diventa un atto luminoso, un miracolo, un risveglio, la sua occasione di liberazione, è un uscire dagli Altri e tornare ad essere umano.
Cosa significa ribellarsi, liberarsi, non accettare le regole disumanizzanti del nostro mondo? E poi: è possibile farlo, o l’unica strada è l’alienazione o la fuga? Dopo aver compreso la natura della nostra realtà, saremmo davvero disposti a liberarci, o preferiremmo tornare a sprofondare nel quotidiano come se nulla fosse?
Nel testo ricorre la presenza dei surgelati, che dà il titolo all’opera. Il banco dei surgelati è il luogo dove la ragazza ha “dato di matto”, ma diventa sempre di più metafora di una condizione di “congelamento” della propria umanità, di sospensione della vita per accettare una non-vita. Nel testo appaiono figure non umane, come Scheggia, il cane anziano di Tonino, e le intelligenze artificiali, che interagiscono con il mondo del lavoro. Surgelati vuole, infatti, collocarsi sul solco di una riflessione radicale che i sapiens stanno intraprendendo sulla nostra specie: cos’è l’essere umano? Che ruolo hanno la comprensione dell’altro e l’empatia nel mondo che abbiamo costruito? Vogliamo che siano cruciali o sono, quasi, un ostacolo per la nostra efficienza?
Per quanto riguarda il tono e il linguaggio, il testo offre questo percorso di Tonino di ricerca della propria umanità in modo a volte comico e grottesco, a volte lungo venature thriller e quasi horror.
La proposta di messa in scena accoglie la struttura del testo, che procede per quadri, in un viaggio quasi infernale di Tonino dentro gli Altri che sono quasi un ambiente che lo assorbe e contagia in una discesa sempre più concitata.
Il lavoro sulle scene ha portato alla creazione di un contrasto molto forte tra la tragicità e l’inquietudine suggerita dal testo e l’accostamento a immagini grottesche e sopra le righe: la comicità e l’assurdità che ne deriva costringe i personaggi dentro una realtà che è una bolla soffocante, in cui sono scomodi, in cui la loro disperazione è silenziata. Lo stato d’animo che vivono i personaggi, sia Tonino sia gli Altri, si confronta con una realtà dissonante e il risultato, per il pubblico, è un percorso che procede sulla linea di confine tra tragico e comico, tra perturbante e grottesco.
La linea temporale segue un andamento a spirale: all’inizio sembra lineare, le scene sono accostate l’una all’altra in un meccanismo riconoscibile, poi il reale si deforma e diventa un vortice dentro cui spazio e tempo e la loro percezione si accumulano l’uno sull’altro, indistinguibili. Si perde la linea di separazione tra le scene, la crisi di Tonino è anche un collasso l’uno sull’altro degli ambienti che lo ospitano.
In una città-gorgo piena di persone arrabbiate, Tonino è sul punto di dare di matto o, forse, ribellarsi, come aveva fatto una ragazza prima di lui.
Compagnia Lumen. Progetti, arti, teatro
Innamorato
Dall’Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo
Di e con Gabriele Genovese
Regia e scene di Elisabetta Carosio
Produzione Compagnia Lumen. Progetti, arti, teatro.
SINOSSI
La guerra interrompe l’opera di Matteo Maria Boiardo. L’Orlando Innamorato rimane interrotto perchè nella realtà si combatte e quando si combatte la guerra si mangia la scrittura, la pittura, il teatro, la poesia…ogni forma di arte e con essa un pezzo della nostra umanità. Il paladino Orlando rimane tra le pagine del libro.
Anche lui combatteva e uccideva e i valori cavallereschi gli erano scudo come oggi lo sono altri valori. Anche lui era capace di crudeltà, in qualche modo abitato dall’idea del guerreggiare ma l’autore sceglie di raccontarci sopratutto un’altra forza che attraversa l’universo: l’amore. L’amore che si fa pietà e conciliazione tra i duellanti, che si esprime nel dono di un cavallo che è la cosa più preziosa per un cavaliere, che è umanità, comprensione delle debolezze e del nostro essere inadeguati e buffi nelle situazioni della vita e perfino nell’amore, la forza che rende possibile la civile convivenza di popolazioni con usanze diverse a un unico magnifico banchetto. Nello scegliere questa parola per il suo cavaliere, “innamorato”, Boiardo fa la scelta di un punto di vista preciso che noi proviamo a percorrere in questo senso cercando risposte che ci aiutino nel presente. Dove si annidano i segni dell’odio prima che insorga? In quali crepe si conserva l’umanità durante l’esplodere della violenza? In quel modo la leggerezza del Boiardo può alleggerire la cupezza di questo presente? E come possiamo noi preservare lo spazio del racconto e dell’arte prima che il dilagare dell’odio rischi di portarcelo via?
Signori e cavalier che ve adunati per odio cose dilettose e nove, state attenti e quieti ed ascoltati la bella istoria che il mio canto move…
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