Focus AdoleScen[z]a | Un coro di ragazze e ragazzi per I Persiani di Eschilo

Lo spettacolo interpretato da Silvio Castiglioni con la regia di Giovanni Guerrieri e gli studenti del Liceo Classico Sacro Cuore di Milano

Pubblicato il 24/10/2023 / di / ateatro n. 190 | Focus AdoleScen[z]a

Milano, Liceo Classico Sacro Cuore, settembre-ottobre 2023
Un percorso teatrale nel transito dell’adolescenza

L’uomo ha nostalgia del cerchio
Simone Weil

Si può far posto a un gruppo di ragazzi e ragazze in uno spettacolo finito e compiuto come I Persiani, la tragedia più antica del mondo in scena al Teatro Oscar dal 19 al 22 ottobre 2023? Si può pensare di inserire ragazzi delle superiori in una contesto oggettivamente professionale? Il progetto parte da queste due domande. Inizieremo senza dare per scontato che l’intento possa andare a buon fine.
Otto incontri di 4 ore ciascuno in orario scolastico con una classe di 27 ragazzi.
Ogni incontro si articola in due momenti, un primo momento di esercizi teatrali e conoscenza reciproca; un secondo momento dedicato alla scrittura scenica vera e propria.
Il terzo momento sarà l’esecuzione in teatro di quanto realizzato.

Silvio Castiglioni e il coro dei Persiani

Primo momento
Il teatro apre gli occhi e noi ci eserciteremo a guardare e ad agire.
Inizieremo coltivare la capacità di ascolto: di se stessi, degli altri, dello spazio, del mondo; risvegliando lo sguardo, il corpo, la voce e l’attenzione con esercizi che includono il canto e la danza, e abbracciano lo spazio. Col gioco e l’improvvisazione cercheremo di abbandonare l’ossessione del controllo; in seguito disegneremo ritmi e geometrie nello spazio.
Ci affideremo al corpo e all’immaginazione, consapevoli che i nostri limiti, o presunti difetti, sono anche risorse nascoste. E ciò che nella vita quotidiana può provocare disagio, nello spazio e nel tempo del teatro può rigenerare, e la fragilità può diventare forza.
In parallelo agli esercizi teatrali avvieremo un laboratorio di scrittura a partire da due temi estratti da I Persiani: la rabbia e il lutto.

Secondo momento
Inizieremo a comporre coi corpi in modo ordinato e/o caotico, ispirandoci anche agli insiemi animali: stormo, sciame, branco, gregge, folla, gruppo classe, squadra, mucchio, massa, mandria… Decideremo cosa custodire e cosa sacrificare. E poi faremo un nostro coro greco
L’esercitazione verterà sulla pàrodos dei Persiani di Eschilo, nella traduzione italiana di Francesco Morosi autore di numerose versioni per il teatro di tragedie greche.
Inizieremo a ospitare nel lavoro le parole di Eschilo e a interrogarci su cosa significa prendere la parola, da soli e insieme; a risvegliare la lingua delle emozioni; a scrivere lo spazio; a esplorare il ritmo e i ritmi.
Per i primi incontri non è necessario utilizzare il teatro. Si richiede un quaderno per gli appunti e un abbigliamento semplice e comodo che favorisca l’attività fisica anche intensa.

Terzo momento
Il gruppo di ragazzi e ragazze del laboratorio può sostenere una parte del coro nello spettacolo I Persiani, la tragedia più antica del mondo in scena al Teatro Oscar dal 19 al 22 ottobre 2023?
Questo potrebbe essere il nostro punto di arrivo.

Silvio Castiglioni con le sculture di Giulia Gallo e il coro dei Persiani

Appunti su I Persiani di Eschilo
La tragedia più antica del mondo

regia di Giovanni Guerrieri
traduzione da Eschilo di Francesco Morosi

I Persiani, la più antica tragedia del mondo, fu rappresentata per la prima volta ad Atene nel 472. Unica sopravvissuta di una tetralogia che conseguì la vittoria nel concorso tragico e comprendeva anche le tragedie Fineo e Glauco Potnieo e il dramma satiresco Prometeo portatore di fuoco. È l’unica fra tutte le tragedie che ci sono rimaste, incluse quelle di Sofocle e di Euripide, in cui si rappresenta un argomento tratto dall’attualità anziché dal mito: la battaglia navale di Salamina, combattuta soltanto 8 anni prima, nel 480, dagli ateniesi che riuscirono a distruggere la potentissima flotta degli aggressori persiani comandai da Serse. Vi si accenna anche a Platea oltre che a Salamina, e si ignora invece Maratona, dove avrebbe combattuto anche Eschilo, e dove, secondo una leggenda, avrebbe perso un fratello. Troppo poco tempo è passato: sulle rovine dell’Acropoli i segni neri del fuoco sacrilego che i barbari hanno portato nel cuore della città ricordano gli oracoli ambigui e inquietanti; e poi la paura, l’evacuazione delle case, l’angoscia della fine imminente, la distruzione della città. Frinico, che prima di Eschilo aveva scritto una tragedia ispirata alle guerre persiane, Le Fenicie, rappresentata probabilmente nel 476 a.C. (e il corego fu addirittura lo stesso Temistocle, l’artefice della vittoria ateniese a Salamina) aveva messo in scena la crudeltà e gli eccidi dei barbari, tanto che la sua tragedia fu bandita dalla Ionia e da tutte le città controllate dai satrapi persiani.

Immaginiamo gli ateniesi che si apprestano a raggiunge il Teatro di Dioniso la mattina di quella prima rappresentazione camminando fra le rovine della loro città devastata appena otto anni prima dai barbari persiani. E si è appena sparsa la voce che la nuova tragedia di Eschilo si intitola proprio I Persiani. Eschilo era sul campo a combattere contro il nemico e sa bene come sono andate le cose – pensano gli ateniesi. Sul pendio scosceso dell’acropoli profanata, nel teatro di Dioniso, ora che la vittoria è certa, e il nemico lontano, Eschilo, il combattente, certo saprà meglio di chiunque altro rappresentare il trionfo del nostro valore sulla superba empietà del nemico – pensano gli ateniesi – il giusto premio concesso dagli dei alla resistenza disperata, ma fiera e vincente, contro l’oro e la potenza dei persiani.

L’aria di quella mattina d’inverno – in Grecia il teatro si faceva d’inverno, perché d’inverno i campi non si coltivano, le guerre non si combattono – è piena di voci che cantano inni di vittoria e ripetono racconti di incredibili eroismi. Che esaltano il successo dei pochi sui molti, della virtù e della giustizia sulla prepotenza dell’immane esercito nemico. Eschilo sa perché ha visto: era sul campo a combattere contro il nemico e certo canterà ora la splendida prova, la superiore necessità di quella vittoria. Un giovane Pericle, il grande statista ateniese, poco più che ventenne nel 472, si era accollato, come corego, le spese per la rappresentazione dei Persiani e prepara la prima scena: forse proprio la Skēnē predata ai persiani, la tenda di Serse sontuosa come una piccola reggia trasportabile, il bottino più prezioso lasciato dal re in fuga al generale Mardonio e da questi abbandonato sul campo di Platea; una preda che, nella struttura e negli arredi simbolicamente raffigura le lontanissime regge delle capitali dell’impero – Babilonia, Susa, Persepoli migliaia di chilometri verso oriente. Per qualche anno i greci smettono di litigare fra loro e si dicono tutti elleni e si scoprono affratellati nei valori che definiscono le loro qualità rispetto all’altro: esaltano la propria arte, inventano l’idea di libertà, riscoprono la figura dell’eroe antico. Imparano ad apprezzare la eufonia della loro lingua contro lo sgraziato balbettio degli idiomi stranieri; riconoscono l’eccezionalità del concetto politico di città e compongono l’etica di una comune appartenenza che distingue “i barbari” da una parte e “noi” dall’altra.

Eschilo era sul campo contro i barbari, e certo saprà tradurre nel dramma i canti di vittoria, saprà dar voce all’esaltazione patriottica da cui tutti si sentono investiti per aver sconfitto con la fierezza della povertà e dell’indipendenza l’esercito più potente del mondo. La scena del teatro di Dioniso chiede però il silenzio dei discorsi, degli elogi, degli encomi e degli eroici racconti; nel teatro di Dioniso, sull’acropoli di Atene, è di scena il nemico. Perché Eschilo opera uno sconvolgente rovesciamento di prospettiva.

La tragedia pretende la sospensione di tutte le parole di vittoria, perché da quel silenzio possa nascere l’ascolto di un’altra lingua. Non c’è spazio per canti di vittoria e neppure per gli orgogliosi lutti, per gli illustri epitaffi. Quella scena evoca lacerazione, rotture incomponibili, mitiche tensioni: il teatro è una macchina che costringe gli eventi a prendere forma di tragedia, e perciò rovescia la gloria facile dell’epopea e rimanda, in attesa, l’immagine dell’altro: altre ragioni, altre angosce, altra paura. Come uno specchio il teatro rimanda, in attesa, l’immagine di sé: la tragedia rappresenta nel teatro della Polis l’identità collettiva di vincitori e di vinti, di uccisori e di uccisi, di persiani e di greci.

Eschilo chiama il suo pubblico – i combattenti di Maratona, di Salamina, di Platea – a riconoscersi nel caso del nemico; Eschilo era sul campo e proprio per questo sa che per chi ha combattuto, per chi ha massacrato, insopportabile è il ricordo della vittoria e la sua glorificazione: è necessario dimenticare il proprio vanto, seppellire e tradire i propri morti, cancellare le epigrafi di lode. Chi era sul campo delle stragi e ha visto il suolo della terra intriso di sangue e l’aria fumosa di polvere e sangue, e l’acqua del mare rossa di sangue, vuole pudore e silenzio dalle proprie parole, per ascoltare il suono della lingua dei vinti; “Greci contro barbari” non può essere materia di tragedia: in scena, i Persiani contro se stessi e il loro destino, dicono la tragedia di tutti. E la dicono in greco!

Non tanto sul campo di battaglia i greci vincono sull’oriente, ma perché danno prova di una capacità straordinaria di lettura alta dei fatti. La tragedia assume la misura del conflitto e ne contempla le ragioni più radicali; mette in scena il dolore di Serse e riconosce in quel pianto l’accento di una sofferenza universale, il timbro dell’umano. I greci vincono sull’oriente perché della loro vittoria fanno una tragedia interpretata dai vinti, e su questa scena si apre il loro e il nostro teatro.

Per tutta la tragedia Eschilo non fa mai esplicitamente un solo nome greco. Non è mai indicato al pubblico un eroe, un comandante: la folla dei guerrieri ateniesi è sempre rigorosamente anonima. Il nome è riservato ai caduti, ai Persiani. Nomi ed epiteti Persiani, abbondano e ritornano e invadono in lunghi e dettagliati e forse fantasiosi elenchi.

Oggi, in un’epoca di crisi e di guerra, Eschilo dimostra una straordinaria forza contemporanea, che non necessita di attualizzazioni e forzature, ma che, nella sua purezza, racconta ciò che esiste di più universale: il dramma dell’essere umani.

***

Il fantasma di Dario spiegherà ai dignitari e alla moglie le ragioni della sciagura: Serse ha peccato di superbia: lui, mortale, ha voluto superare gli dèi, collegando con un ponte di navi le due rive del Bosforo. E vuoi che il dio del mare Poseidone non si incazzi? Dunque: chi la fa l’aspetti; se non ci invadevano mica morivano! penserete, per evitare il male, la punizione degli dei, basterebbe non essere superbi e non commettere ingiustizia… Magari fosse così semplice. I Persiani sono una tragedia della conoscenza: noi mortali siamo senza strumenti per capire fino in fondo la realtà, persino la nostra vita. Non sappiamo se esiste un dio che punisce i pensieri superbi o uno che gioca coi nostri destini. Eschilo ci conduce per mano sino al confine dell’abisso, nel caos inestricabile delle nostre esistenze, e ci lascia lì: non ci dà risposta, non c’è consolazione. E noi restiamo a fissare l’abisso: cioè che il male nel mondo sia semplicemente senza spiegazione, non abbia alcun senso — così ci avvisa Eschilo —. Nessun premio e nessuna punizione: un tiro di dadi degli dei, e si vive o si muore.

Insomma, vorrebbe dire che quel che è capitato ai Persiani potrebbe capitare anche agli Ateniesi…
Eh.
Anche alla democrazia…
Eh.
Potrebbe capitare anche a noialtri…
Eh.
(Silenzio)




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