Davvero il teatro italiano è brutto e inutile come dice Franco Cordelli?
Le mie vacanze intelligenti con l'inchiesta della "Lettura"
Da diverse settimane “La Lettura”, il prestigioso inserto culturale del “Corriere della Sera”, ogni domenica riempie due pagine con le illuminanti riflessioni di donne e uomini di teatro tra i più illustri della Penisola (Isole comprese).
La scintilla l’ha lanciata Franco Cordelli, l’11 giugno 2023, con una sontuosa articolessa intitolata “Il declino culturale del teatro italiano”. In un remake della favola del Re Nudo, con l’innocenza di un bimbo l’autorevole critico trova il coraggio di dire quello che tutti vedono ma nessuno ha il coraggio di dire ad alta voce. In sintesi, secondo Cordelli il teatro italiano produce spettacoli mediocri ed è assente dal dibattito culturale del nostro paese. Insomma, salvo rare eccezioni, si fa un teatro brutto e inutile, che non interessa a nessuno – salvo una bolla di aficionados.
E’ vero? E se è così, perché il teatro italiano è diventato così marginale e prevedibile?
Nel più puro stile Marzullo, “La Lettura” si è fatta la domanda e si è data la risposta. O meglio, si è fatta dare le risposte coinvolgendo l’élite del teatro italiano, in una inchiesta-maratona che va avanti da mesi. Io la seguo avida ogni settimana, con l’attenzione che dedicavo alle telenovelas.
Per dirla chiara, per me quest’estate niente festival turistici sponsorizzati dalle Pro Loco, niente spettacolini site specific, che in italiano significherebbe raffazzonati, come ripete fino alla nausea il mio amico L., quello che firma regie miliardarie perfezionistiche in svariati teatri lirici e a letto mi concede solo la posizione del missionario (che noia!).
A voi lo posso confessare. Le mie vacanze intelligenti 2023 sono queste: leggere le risposte al quiz della “Lettura”, con grande attenzione e piacere. Le sottolineo, le decoro con gli evidenziatori colorati, prendo un sacco di appunti! Quante belle idee! Ho già riempito un quadernino, se ho tempo metto tutto insieme in un bel foglio excel! Come intermezzo, un po’ di ginnastica, di quella che ci piace di più!
Anche se mi resta un dubbio: quanti degli autori dei contributi si sono fatti coinvolgere dal bravo redattore? Quanti invece hanno mandato alla redazione il loro costruttivo contributo “con gentile richiesta di pubblicazione”?
Una sola certezza: se la tua firma non compare in quelle pagine, per il teatro italiano vali meno di zero. I tuoi spettacoli sono così brutti e deperibili che nemmeno “La Lettura” si accorge che esisti!
Poi ha iniziato a rodermi il solito perfido tarlo. Se tengo conto del narcisismo di molti artisti, non mi sorprende che quasi tutti questi arguti elzeviri si adeguino a un format standard:
Il [mio] teatro [per me] è molto importante e vitale perché ho fatto [oppure, con variante astutamente promozionale, perché farò] questo [mio] bellissimo e interessantissimo progetto/spettacolo.
E poi il [mio] teatro è sempre pieno di pubblico.
Per questo amo il [mio] teatro!
Ma il diavolo si morde la coda. Rileggo il pensoso Cordelli e mi faccio un paio di domande. Quanti sono davvero i progetti teatrali che possono avere un reale impatto fuori dalla meravigliosa bolla dei teatranti e del pubblico degli abbonati? E poi, se davvero tutte queste invenzioni erano così fascinose e coraggiose, perché l’acuto e curioso critico teatrale – ultimo sopravvissuto di una specie ormai estinta – li ha bellamente ignorati? Come ha fatto a non accorgersi di queste perle che scintillano nel letame?
Mi risveglio accanto al mio amico G.
Ieri sera abbiamo esagerato e non si ricorda bene quello che abbiamo combinato questa notte. G. ha scarsa memoria erotica. In compenso ha una certa memoria storica.
Quando gli racconto dell’inchiesta della “Lettura”, mi chiede: “Ma ti ricordi Ronconi e Strehler? Eduardo senatore a vita? O Dario Fo e Testori? Ai loro tempi, di teatro e di politica culturale si discuteva eccome.”
Sospira. La memoria storica è nostalgica.
“Tra i molti teatranti coinvolti dalla ‘Lettura’, quanti hanno un’autorevolezza, una forza di provocazione simile alla loro?”
Altro sospiro.
Ma forse, ribatto, la colpa è del sistema culturale, a cominciare dal più autorevole quotidiano italiano e dal suo critico: coltiviamo tutti questi geni e manco ce ne accorgiamo.
Non mi ha nemmeno risposto e ha iniziato ad accarezzare e baciare le mie numerose zone erogene. Fine della discussione e ottimo inizio di giornata.
La sera dopo sono a cena da C., giornalista culturale.
“Il problema di un sondaggio di questo genere”, mi spiega, “è nella scelta del campione. Ovvio che per un teatrante il lavoro che fa è utile e necessario, per mille ragioni”.
Per esempio?
“Te ne cito solo una: i soldi che le loro organizzazioni prendono dal FUS…”
“No!”, urlo, con tutto il fiato che ho in gola, “i soldi che prendono dal nuovo FNSV!” Perché io, lo sapete, mi tengo aggiornata leggendo ateatro.it!
“Che per ora è solo il vecchio FUS con un nuovo nome”, spiega paziente C. “La gran parte di questi signori e signore incassa i soldi del FNSV. Però poi in privato – e qualche volta anche in pubblico – ne parlano tutti male, spiegando che è tutto sbagliato, tutto da rifare! Così quando la destra darà corso alle sue promesse elettorali e riformerà il FUSNSV a sua immagine e somiglianza, nessuno si potrà lamentare: Ce lo avete chiesto voi!, diranno”.
Sono Perfida e un pensiero m’illumina: con la riforma toglieranno un altro po’ di poltrone ai comunisti nei teatri più ricchi, dopo l’epurazione in RAI, e molti voltagabbana troveranno una degna sistemazione.
“Ma non è del FUS che stavamo parlando!”, e do un bacetto al bel C.
Per fortuna il mio brillante amico riprende il filo del discorso: “Vorrei dare un consiglio non richiesto ai colleghi della ‘Lettura’. Invece che ai teatranti, la domanda sul senso del teatro andrebbe fatta a qualcun altro.”
Cioè? Se non lo sanno i teatranti, quello che stanno facendo… Se ce non lo spiegano loro…
“Per prima cosa bisognerebbe chiedere perché il teatro è diventato così marginale agli intellettuali e agli artisti che praticano altre discipline. Per loro nel teatro italiano contemporaneo, c’è qualcosa di interessante? E quali artisti apprezzano?”
Così “La Lettura” potrà andare avanti ancora per anni, con la sua Cordellinchiesta!!! Aiuto! Niente più vacanze in giro per festival!
C. s’accorge del panico nel mio sguardo.
“In alternativa, a questi signori e a queste signore che si occupano d’altro dovrebbero chiedere perché gli spettacoli made in Italy non gli interessano, e che cosa si aspetterebbero dal teatro.”
Ha ragione, ma questo mi fa ancora più paura! Per fortuna, dopo essersi scolato il terzo gin tonic della serata, C. mi ribalta sul divano. L’intelligenza mi eccita. C. lo ha capito. Io mi arrendo e la paura passa subito.
Qualche giorno dopo, al Festival di Z. (un scappatella non troppo intelligente me la sono concessa), ho parlato con la bella V., che si occupa di economia della cultura.
“Forse dovremmo sentire anche qualcun altro, fuori dalla solita élite culturale. Quattro italiani su cinque non entrano in teatro nemmeno una volta all’anno. Non ci vanno proprio. Per loro il teatro è irrilevante, o peggio è uno spreco inutile di denaro pubblico. Probabilmente, se glielo chiedi, ti diranno che per loro il teatro è noia, vecchiume, difficile da capire, élitario, caro, lontano da loro sia geograficamente e sia culturalmente.”
Mi verrebbe la depressione, ma V. ha un sex appeal a cui non so resistere, con quei fianchi sottili e quei piccoli seni perfetti. Guardo la porta del bagno del convitto in cui siamo richiusi per la cena equosolidale con ricetta tipica monoporzione vegana per celiaci a chilometro zero in stoviglie compostabili offerta dal festival. Mi guarda negli occhi e mi segue in silenzio. Scintille. Poi scendiamo al bar del paese per un hamburger e patatine fritte. Bottigliona di Moretti al centro del tavolo.
Lo sapete, più faccio sesso e più mi piace. Più leggo gli esercizi sulla “Lettura”, più mi assalgono dubbi e perfidie.
S. è un uomo davvero speciale. Non solo per quello che ha di più prezioso (per me) e mi dà tanto piacere, ma anche perché due volte alla settimana entra nel carcere di M., dove tiene da diversi anni un laboratorio teatrale con i detenuti.
Durante una pausa del training, tra la posizione dell’Agile Missionario e la posizione della Raganella (una delle mie preferite, ma non tutti ce la possono fare, ragazze!), gli apro il mio cuore.
Lui mi guarda stupito: “E’ davvero strano. I teatranti pensano che loro arte non serva a niente e dunque che sia culturalmente marginale. Eppure tantissimi, fuori dal teatro, si sono accorti che il teatro è davvero utile. Nelle carceri, negli ospedali, con gli adolescenti, nei quartieri degradati, nei paesi che si stanno spopolando…”
Stai dicendo che qualcuno si è accorto della rilevanza del teatro…
“Di più: pagano (ma poco) molti professionisti per portare il teatro dove ritengono sia utile e necessario. Però molti teatranti non se ne sono accorti, e via con i loro spettacolini intelligenti e con i loro spettacoloni inoffensivi…”
Mi giro e faccio: “Craaa… Craa… Sono la tua Raganella!”
S. non si fa pregare, ma dopo un po’ sbotta: “Ma dai! Quello che ha sempre schifato Strehler e Ronconi, Romeo e Pippo! E se ne vanta!”
La sua rabbia mi eccita ancora di più! Un orgasmo così non mi capitava da settimane!
Quando riprendo fiato, gli sussurro all’orecchio: “Quello che voleva De Fusco a dirigere il Teatro di Roma…”
Pochi secondi e siamo nella posizione del Salvataggio! Spero che S. non inizi a censire le virtù artistiche e culturali di De Fusco, che magari si distrae!
Ci ho messo un paio di giorni per riprendermi dal traning a cui mi ha sottoposto S., ma vi giuro che ne valeva la pena.
Sono sola nella mia stanza. Penso al finale del pezzo di Cordelli: gli spettacoli più interessanti che ha visto quest’anno, conclude, sono monologhi. Penso a quello che ho letto su Ateatro, a proposito di Santarcangelo 2023, con una sequenza di assoli performativi.
Parli o danzi – anche bene e forse benissimo – ma sei da solo o da sola o meglio ancora da solǝ. Penso a quello che ripeteva uno dei miei maestri, “Il monologo non è teatro…”
Lo so, il teatro è partecipazione. E’ anche memoria. A quel punto, come cantava Lucio Dalla in Disperato erotico stomp, “piano piano è partita la mia mano”.
Da dada dadà…
Dada dadà…