Santarcangelo Festival | Quale forma estetica possono prendere i grandi temi del contemporaneo?

Il report per TourFest 2023

Pubblicato il 29/07/2023 / di , and / ateatro n. 193 | TourFest 2023

The place to be

Ci sono festival che più di altri hanno segnato la storia della cultura italiana. In ambito teatrale, ma non solo, Santarcangelo Festival è uno di questi. Per dieci giorni a luglio, da 53 anni la cittadina romagnola, arroccata su una collina poco distante dalla movida riminese, diventa la capitale del teatro d’avanguardia: performer, teatranti, danzatori e artisti si ritrovano per uno degli appuntamenti imperdibili per chi è del settore. Nato nel 1971 come Festival Internazionale del Teatro in Piazza dall’intuizione del romano Piero Patino, ha vissuto, assimilato e digerito tutte le stagioni dell’avanguardia, tra tensione visionaria e continue crisi. Da decenni è ormai la vetrina delle tendenze emergenti nelle arti performative a livello internazionale e si è affermato come occasione di scoperta di nuovi artisti e di tendenze emergenti.

Classe, genere, colonialismo, futuro

Basel Zaraa – Dear Laila ph. Pietro Bertora

Uno dei ruoli che i festival culturali hanno (o avevano, dato che sono sempre meno quelli che lo fanno…) è provare a spostare l’asticella ideologica e artistica un pochino più in là. Tralasciando il discorso sull’estetica degli spettacoli, e sulla loro necessità, che troppo spesso è l’estetismo narcisistico degli artisti, il pregio del festival diretto per il secondo anno dal polacco Tomasz Kireńczuk, uno dei creatori di “Dialog Festival” a Wrocław e fondatore del Teatr Nowy a Cracovia, è porre l’attenzione su alcune delle tematiche più urgenti e complesse del nostro contemporaneo, come ha raccontato nella sua intervista ad Ateatro.
In primo luogo, la questione di classe, come nel meticoloso lavoro di Anna-Marija Adomaityte & Gautier Teuscher, Workpiece, basato sulle testimonianze di lavoratrici del McDonald’s, che mette in discussione le condizioni fisiche e sociali a cui sono sottoposte le lavoratrici e gli effetti sul loro corpo. E poi il ruolo della cultura nelle aree di conflitto: Dear Laila è la toccante lettera d’amore che Basel Zaraa scrive a sua figlia, provando a ricucire i lembi della propria esistenza. Come in lavoro di ricamo congiunge il proprio passato nel campo profughi palestinese di Yarmouk, a Damasco, e il proprio futuro, in Inghilterra. Ogni spettatore, solo con i pochi oggetti che condensano i ricordi di Zaraa, ricostruisce la sua storia, facendola propria e arricchendola con il proprio vissuto. Una costruzione che, anche se ci viene consegnata da un preciso narratore in un preciso momento storico, assume i connotati di un grande reticolato di anime e di ricordi: sfogliando l’album di famiglia o aprendo il portagioie della nonna, non si può non fare a meno di ripensare a come ogni famiglia custodisca e tramandi i ricordi, i labili appigli su cui sono stati piantati i semi delle nostre esistenze. Ma anche il rituale di Jana Shostak in piazza Ganganelli, al centro del paese, Scream for Belarus: un urlo di un minuto che vuole essere “un atto di commemorazione di coloro che sono stati torturati e in molti casi uccisi nelle persecuzioni guidate dalla dittatura bielorussa”.
Altri lavori riflettono – sempre a partire dal corpo – sulle conseguenze del colonialismo e sull’identità sessuale, come in Cutlass Spring di Dana Michel nei suoi diversi ruoli di “performer, madre, figlia, amante”; o in blackmilk di Tiran Willemse con la sua “malinconia maschile nera”. Più complesso il dispositivo di SPAfrica, un progetto di Studio Julian Hetzel & Ntando Cele, una satira contro l’ipocrisia della cultura progressista occidentale: ci s’immagina un commercio di lacrime europee, frutto del senso di colpa degli ex-colonialisti, che dovrebbe diventare pioggia nell’arido Sudafrica. La metafora che sembra uscita da The Square: e infatti cerca di smontare gli stereotipi dei benpensanti politicamente corretti. E’ una riflessione sulla falsa coscienza di molti progetti umanitari e progressisti, che però in un paese come l’Italia di oggi, che criminalizza alle ONG e porta i fascisti al governo, rischia di non centrare il bersaglio.

Chiara Bersani – (nel) SOTTOBOSCO ph. Pietro Bertora

Accessibilità

Senza contorni
non abbiamo alto e basso
il pavimento non fa paura
senza contorni
tutto fluttua
niente si spezza.
Senza contorni è solo questione d’intensità.

Nel sottobosco la luce filtra a fatica, nell’ombra tremolante degli alberi maestosi l’esistenza è spesso vincolata dall’intrico delle radici che cercano nutrimento dalla terra. L’aria è rarefatta e i contorni della realtà sono sfumati. Qui si vive una vita parallela, quella degli ultimi, dei marginali, che guardano il mondo reale con timore, incapaci di comprenderne le logiche frenetiche e i loro crudeli meccanismi di esclusione.
Ma cosa accade quando, fermandoci un attimo, ci mettiamo in ascolto con gli occhi, il corpo, la pelle e il cuore? Riusciremmo a percepire ciò che abbiamo sempre “guardato” ma mai “osservato”? (nel) Sottobosco site-specific version è frutto di un workshop svoltosi dal 4 al 6 luglio 2023 a Santarcangelo, rivolto a persone con disabilità motoria dai 14 anni in su, diretto da Chiara Bersani, artista e coreografa, Lemmo, musicista e sound researcher, ed Elena Sgarbossa, danzatrice e coreografa. Il progetto vuole abbattere i pregiudizi e il disinteresse verso la disabilità, che viene portata in scena “senza contorni” perché “è solo questione d’intensità”, come spiega la stessa Bersani nelle note di regia. La performance trova luogo in uno spazio senza tempo, in un campo del podere Acerboli che è stato da poco mietuto, alle porte di Santarcangelo. Lemmo, Bersani e Sgarbossa aspettano ai margini, come chi vive nel sottobosco. Un suono sordo lascia spazio a una musica in crescendo, sulla quale Bersani, abbandonando la sua carrozzina, si getta sul pavimento e si trascina per l’intera superficie del palco, un rettangolo bianco in netto contrasto con la cornice dei campi, il giallo del grano e delle balle di paglia, e le tonalità più scure della terra. Dall’altro lato Elena Sgarbossa la attende, unendosi in un abbraccio, fondendosi l’una nell’altra, mentre il sole tramonta. Solo perdendosi nel sottobosco e tendendo la mano a chi vive ai margini, si può trasformare la paura in comprensione e intensità. Perché “insieme confermiamo che il buio è solo una delle tante possibilità”.
Il momento forse più struggente del lavoro è l’ingresso sulla scena di alcuni dei ragazzi e della ragazze che hanno partecipato al laboratorio con Chiara Bersani: forse perché entra in gioco, oltre alla felicità di esserci, anche la condivisione dell’esperienza, il passaggio del testimone, la possibilità di una tradizione.

Assoli

Buona parte dei lavori presentati nel primo weekend (compresi Clashes Licking, l’omaggio di Catol Teixeira al Pomeriggio di un fauno di Nijinsky, e The Divine Cypher, il criptico omaggio di Ana Pi a Maya Deren e Katherine Dunham) erano assoli. Si capiscono bene le ragioni economiche di una scelta di questo tipo, soprattutto quando si vuole aprire alla scena internazionale. Ma forse dietro la prevalenza delle performance solitarie c’è la rinuncia alla dimensione collettiva dello stare in scena – e del lavorare insieme sulla scena. E non è un caso che al virtuosismo dei performer e delle performer a volte finisca per mancare lo spessore drammaturgico e la capacità di comunicare, oltre la generosa (e nei casi peggiori esibizionistica) esposizione di sé, nell’era della solitudine social.

TALK_GREEN

Green

Dal 2012 Santarcangelo conduce una campagna di sensibilizzazione sulle questioni climatiche. Il progetto Presente sostenibile, da un’idea di Chiara Mini e oggi curato da Marta Lovato, si muove in quattro direzioni: mobilità sostenibile, energia pulita, riduzione-riuso-riciclo e acquisti consapevoli. Molte le attività in atto, dall’acqua distribuita gratuitamente in piazza Ganganelli ai bicchieri brandizzati con reso, dall’uso di energia pulita a un merchandising progettato per ridurre gli sprechi, a incontri – durante il festival – pensati per diffondere buone pratiche, come quello tenutosi il 12 luglio con Bek Berger, direttrice artistica del New Theatre Institute of Latvia, l’associazione A Sud, il ricercatore Francesco Suzzi, responsabile del lavoro di analisi di impatto ambientale di Santarcangelo Festival, Silja Gruner, direttrice artistica dell’Auawirleben Theaterfestival di Berna, Valentina Vela dell’agenzia Artsadmin di Londra e Giulia Alonzo, che ha raccontato le linee guida per la progettazione di festival sostenibili.




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