Tomasz Kireńczuk: “La performance è un atto politico”

Un'intervista al direttore artistico di SantarcangeloFestival 2023: il pubblico, gli artisti, la città

Pubblicato il 22/07/2023 / di / ateatro n. 193 | TourFest 2023

Tomasz Kireńczuk è stato nominato nel 2021 direttore artistico del Festival di Santarcangelo per il triennio 2022-2024. E’ il terzo direttore straniero del festival, dopo Olivier Bouin ed Eva Neklyaeva.
Nato nel 1983, nel 2008 Kireńczuk ha fondato a Cracovia il Teatr Nowy, un importante centro di produzione teatrale indipendente. Dal 2011 al 2019 è stato collaboratore, programmatore e curatore di Dialog – Wrocław International Theatre Festival, un progetto che ha messo a confronto le punte più avanzate della avanguardie artistiche con i più pressanti temi politici, sociali e filosofici del nostro tempo.
Nel quadro del TourFest2023, Mariella Pace gli ha rivolto alcune domande sulla sua esperienza italiana.

Tomasz Kireńczuk (ph. Marcin Oliva Soto)

L’esperienza di Santarcangelo Festival per lei è partita lo scorso anno. Ritornando alle origini, quali sono stati i punti di forza della sua proposta? E come sono stati declinati?

La proposta che avevo presentato tre anni fa – il processo di selezione è abbastanza lungo – si compone di tre elementi, che all’epoca mi sembravano molto interessanti e “forti”. Il primo riguarda la dimensione internazionale del Festival, già presente nella sua natura, ricalcata dalla mia volontà di “correre il rischio”: il dovere di un festival come questo è aprire la scena ai nuovi artisti con i loro nuovi linguaggi… Credo sia stato molto evidente già nella scorsa edizione. Ma una cosa è immaginarlo, altro è vederlo: Santarcangelo Festival è strettamente connesso con il suo pubblico.
Mi ha colpito molto l’abitudine di tante persone che vengono ogni giorno in biglietteria per chiedere: “Cosa posso vedere questa sera?”, senza neanche dare un’occhiata al palinsesto, senza sentire il bisogno di controllare. Questa grande fiducia è una cosa bellissima, perché permette di correre dei rischi. Ma attenzione: non parlo di un pubblico sprovveduto, ma di persone esigenti e curiose.
La qualità del pubblico mi ha dato la conferma della mia intuizione, nella consapevolezza di poter osare, soprattutto nell’apertura alla dimensione internazionale, che si è declinata in un’altra questione. Tenendo conto di questo rischio, Santarcangelo Festival può aprirsi agli Artisti emergenti e sostenerli. Prima della mia candidatura, ho preso parte alle edizioni del 2020 e 2021 del festival. Avevo già chiara la consapevolezza che il festival non avesse bisogno di grandi cambiamenti. Con una struttura solida come quella che possiamo apprezzare, per me era importante la tutela di tutti gli elementi che da anni rendono questo festival così speciale.
Dunque per me l’unica azione da fare era considerare i punti di forza e di realtà, per lavorare su di essi e sviluppare un nuovo approccio, una nuova apertura, per dare un nuovo respiro. E’ ciò che avviene con l’intensificazione delle attività annuali, forse un elemento non ben approfondito in precedenza. Da qui, quindi, i nostri lavori: a partire da Fondo, progetto di curatela e sviluppo per gli artisti italiani emergenti; con In Ex(Ile) Lab, progetto che va a sostenere gli artisti in esilio con base in Italia; e con un altro progetto che ci permette di sostenere un gruppo artistico italiano con residenze all’estero e molti altri ancora…
Queste collaborazioni permettono a un artista di esprimersi e avere un campo di possibilità, non sono limitanti: devo pensare che tutte queste attività non siano necessariamente connesse con il festival. Noi sosteniamo un artista facendolo partecipare a un progetto, ma non andiamo a porre condizioni sulla sua presenza nelle giornate festivaliere o sulla partecipazione ad altri progetti. Accogliamo l’artista in un momento primordiale della sua ricerca, ma al contempo lo possiamo lasciare libero.

“Enough is enough, enough not enought” è il claim di questa edizione, dalla potente ambiguità. Ci racconti di più. 

Parte dall’intenzione di raccontare questo mondo dalla realtà incoerente. Il claim è un game che nasce dal programma. Dapprima partiamo dal palinsesto, dalle proposte che ci arrivano e che desideriamo programmare. Solo in un secondo momento iniziamo a capire le connessioni tra di loro.
E’ una pratica che lascia molta libertà, che però comporta anche una difficoltà: spesso, infatti, in una fase primordiale e di brainstorming, le connessioni non sono chiare. Ma il bello di questo “lavoro” è proprio questo: scoprire e capire “cosa e chi” proporre e quali elementi condividere o meno con il pubblico. Sicuramente, questo è un claim che richiede una partecipazione più attiva dei fruitori, che possono addirittura giocare con il suo senso.
A me interessava soprattutto la riflessione intrinseca sul concetto “Abbiamo troppo, ma non è abbastanza”, con le sue differenti declinazioni nel pensiero di ciascuno di noi.
Non meno importante è il richiamo all’azione che ne deriva: stiamo vivendo un periodo storico “di transizione”, siamo arrivati al momento in cui prima o poi dovremmo metterci in moto per fare qualcosa, perché sappiamo bene che il sistema, così com’è, ha poca speranza di andare avanti e che il cambiamento difficilmente potrà arrivare dall’alto. Se si guarda, per esempio, alla realtà attuale in Sudamerica, vediamo un’azione nata dal basso. Sono molti i casi da cui trarre ispirazione, esempi in cui l’azione la fa da padrone. Non in Italia, dove la tendenza è parlare dei problemi e il rischio rimane molto basso: non ci si prende ancora il rischio elevato che deriva dall’agire.
Tuttavia non è una dinamica esclusivamente italiana, è una consuetudine di tutti i paesi europei: riusciamo a riconoscere le azioni del passato, ma non sappiamo riconoscere le nostre grandi responsabilità nei confronti del presente.
Nell’ambito di Santarcangelo Festival, molte e molti artiste\i condividono un punto di vista forte e intimo: per loro la performance artistica è un vero atto politico, una forma di denuncia. Nella condivisione c’è la chiave, partendo anche dal singolo individuo che, molto spesso, in un sistema neoliberista, dimentica la propria forza e pensa addirittura di non contare. Non è così. Prima ancora della collettività, ognuno di noi fa delle scelte, le quali, giorno dopo giorno, mettono in moto un cambiamento.

Santarcangelo, città-festival città-incontro: “Il teatro sgorga dalla collettività, per ritornare alla collettività”. Qual è la sua percezione del rapporto tra artisti e abitanti del paese?

Questa dimensione è veramente unica. Non lo dico solo da persona coinvolta, me lo confermano moltissimi colleghi, artisti e professionisti. Molti gli elementi di questa unicità. Il primo è sicuramente la lunga storia di forte connessione con la cittadinanza e il rapporto speciale che artisti, ma anche professionisti, stringono da tempo con Santarcangelo. Ci si sente parte di qualcosa di più grande.
Il secondo elemento è la bellezza del borgo: una città affascinante, circoscritta e ricca di storia e di antiche tensioni, che fanno da eccellente cornice per l’azione artistica.
Altro elemento è lo scambio tra l’energia di questo festival, cresciuto con la “sua” città, e la città stessa, che a sua volta ha attinto e si è evoluta grazie a esso. Questo festival funziona come laboratorio sociale e politico. Penso, per esempio, al funzionamento degli spazi pubblici. Bisogna riflettere su cosa vuol dire per una società, o meglio per una comunità abbastanza piccola, dare in prestito i suoi spazi pubblici al festival. E’ davvero importante il concetto di “proprietà” condivisa, comune. Ed è una bella consapevolezza “appropriarsi”, per un periodo limitato, di spazi che normalmente sono abitati dalla popolazione.
Dunque, è fondamentale ricordarsi che lo scambio ha un grande valore. Penso allo spettacolo di Chiara Bersani (nel) sottobosco, dove uno spazio “quotidiano” diventa protagonista della performance e ne aumenta il suo valore artistico. E’ uno scambio esperienziale, la capacità di aprire a un nuovo punto di vista, a una nuova lettura degli spazi pubblici, che vengono nobilitati e non usati.
Altro elemento da considerare è il lavoro di creatività e adattamento che una “città-festival” ci spinge a fare come artisti e professionisti. Partiamo, per esempio, dalla proposta di un cittadino di offrire la propria casa per ospitare una performance. Da lì si parte con un’elaborazione immaginifica per capire se e come realizzare tale proposta: è un’attività stimolante, che porta con sé la possibilità di avvicinare il mondo performativo alla vita quotidiana. Molto spesso si pensa che le performance artistiche siano qualcosa di “alto” e di distante dalla collettività. Ma tramite questa pratica, possibile in un contesto come Santarcangelo, abbiamo la possibilità di smentire questa credenza e aprire a nuovi dialoghi possibili.

Chiara Bersani, (nel) sottobosco, site-specific version (ph. G. Agostini)

“Tra crisi climatica e pratiche artistiche”: il 12 luglio 2023 ha avuto luogo l’incontro con focus sulla relazione tra settore artistico-culturale e transizione ecologica. Su questo versante, quale può essere il contributo che posssono dare i festival, a partire da Santarcangelo?

Il primo contributo riguarda la condivisione delle “buone pratiche”, per trasmettere delle linee guide di buona educazione. Al momento, dobbiamo appurare che immaginare un festival al 100% ecosostenibile è un’illusione. Pensiamo solo al comparto della produzione e alla dinamica di tutti gli spostamenti da e per il festival in termini di artisti, professionisti e pubblico.
Ma il valore del nostro esempio è di estrema importanza. Scendendo nel concreto, Santarcangelo Festival ha in attivo da molti anni il progetto Presente Sostenibile. Altro esempio è la collaborazione di quest’anno con l’azienda Terranova, per il nostro merchandising: si tratta di dare una nuova vita a un oggetto che altrimenti sarebbe rimasto nella pila dei rifiuti da smaltire. Attenzione, non si tratta solo di riutilizzo, ma di esercitare un cambio di paradigma: un oggetto può vedere accrescere il suo valore iniziale grazie a piccole modifiche, in questo caso di brandizzazione, e avere dunque una o più vite nuove.
Aldilà della praticità della sostenibilità messa in atto, il ruolo di festival, e nello specifico ciò di cui Santarcangelo si fa carico, è proporre un cambiamento ideologico. Non solo con l’esempio e la divulgazione, ma anche entrando nel tessuto artistico, come accade con molte performance. Penso al lavoro proposto nella scorsa edizione da Gabriela Carneiro da Cunha, sull’esperienza dei popoli amazzonici: lo abbiamo presentato per la forza del lavoro artistico, ma anche per la sua capacità di fare da megafono per il cambiamento.

Il secondo anno si è concluso. In vista del terzo anno – che sarà anche un suo possibile lascito al festival e alla città – ha già in mente qualcosa?

E’ ancora presto per esprimermi appieno. Sono molte le collaborazioni che desideriamo continuare e aprire, ma la prossima edizione è ancora tutta da immaginare. Le cose hanno bisogno del loro tempo per emergere. Sicuramente ci sono elementi che avranno continuità, penso al lavoro sui progetti Fondo e sugli artisti in esilio. L’intenzione è proporre ancora una volta un festival attento, empatico e impegnato anche dal punto di vista sociale e politico, una caratteristica che ci permette di scoprire sempre cose nuove e attuare cambiamenti e confronto attivo.




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