Contro le convenzioni della vita e quelle del teatro, forse c’è il caos dell’arte

HEDDA. GABLER. come una pistola carica di Liv Ferracchiati al Piccolo Teatro di Milano

Pubblicato il 17/12/2022 / di / ateatro n. 187

1890. Lo scrittore e drammaturgo norvegese Henrik Ibsen pubblica Hedda Gabler, considerato uno dei suoi maggiori successi.
Hedda ha ventinove anni e ha sposato, di sua volontà e solo per ragioni economiche, un uomo che non ama, Jørgen Tesman. Nella vita della donna ricompare però il geniale scrittore Ejlert Løvborg, un tempo suo intimo amico – e storico rivale del marito – che l’aveva affascinata per la sua vita anticonvenzionale. L’uomo riappare dichiarando di aver scritto la sua opera migliore: un manoscritto “visionario” che parla di progresso della civiltà, che per lui e Thea – la donna che lo ha “redento” – è come un figlio. Durante una notte di eccessi, Løvborg smarrisce l’irripetibile capolavoro, che viene ritrovato da Tesman, intenzionato a restituirglielo in un secondo momento. Quando Løvborg, disperato, confessa a Hedda di aver perso il manoscritto, quest’ultima lo incoraggia nell’idea del suicidio da lui manifestata e gli regala una delle sue pistole, per poi bruciare lo scritto di nascosto nella stufa.
Questo dramma in quattro atti è solo il punto di partenza di HEDDA. GABLER. come una pistola carica di Liv Ferracchiati – prima grande novità della stagione teatrale 2022-2023 del Piccolo Teatro di Milano, di cui Liv è artista associato – in scena allo Studio Melato dall’1 al 22 dicembre. Dopo La tragedia è finita, Platonov di Čechov – menzione speciale alla Biennale Teatro 2020 – il regista e performer sfida nuovamente sé stesso, confrontadosi – in modo tutt’altro che convenzionale – al testo teatrale dello scrittore e drammaturgo norvegese.

HEDDA. GABLER. come una pistola carica di Liv Ferracchiati (Foto di Masiar Pasquali)

Non una riscrittura, ma una nuova drammaturgia “con scene tratte da Hedda Gabler di Henrik Ibsen”, in cui Ferracchiati – più che sulla trama e sullo svolgimento dei fatti – pone l’attenzione sulla complessità dei personaggi. Sei pistole pronte a esplodere, ossessionate da quel manoscritto, che si rivela un’altra pistola pronta a sparare un colpo, quello finale, letale. E con stupore – o forse nemmeno troppo – ci riscopriamo simili a quelle donne e a quegli uomini di fine XIX secolo.  I protagonisti di Hedda Gabler siamo noi ogni qualvolta non riusciamo ad agire come vorremmo, incapaci di assumerci le nostre responsabilità, amaramente consapevoli che l’eterna felicità è irraggiungibile, ingabbiati nelle regole e consuetudini, ma spinti – come Hedda – da un’irrefrenabile attrazione verso tutto ciò che non è convenzione. Per tutta la nostra esistenza aderiamo a norme sociali che assumiamo per vere perché a noi trasmesse fin dal principio, quando in realtà sono solo convenzioni. Così come spesso accade a teatro – che poi altro non è che il palcoscenico della nostra vita – con le metodologie della messinscena. Ancora una volta – coraggiosamente – ci pensa Liv a rompere queste regole con uno spettacolo basato su un incessante cambio delle convenzioni sceniche stabilite. Ci troviamo di fronte a una continua lotta tra reale e finzione – e autofinzione – dove la storia dei protagonisti dell’opera letteraria si intreccia con le esperienze di vita dei performer. E così abbandoniamo la consuetudine di vedere gli attori che si limitano a portare in scena i personaggi, abbracciando momenti in cui questi ultimi vestono i panni degli attori che li interpretano.

HEDDA. GABLER. come una pistola carica di Liv Ferracchiati (Foto di Masiar Pasquali)

Ferracchiati assume il ruolo di Ejlert Løvborg, di Rubek – sì perché per scombussolare ulteriormente lo spettatore, Liv sceglie di inserire nello spettacolo riferimenti a un’altra opera di Ibsen, Quando noi morti ci destiamo – oltre a quello di sé stesso, l’autore-regista-performer. Intensa e profonda la performance di Petra Valentini che, oltre che sé stessa, porta in scena senza sbavature il conflitto interiore di Hedda Gabler – e ci cattura con quell’urlo straziante con le mani tra i capelli che in qualche modo simboleggia un punto di rottura e di svolta: l’impossibilità di continuare a seguire convenzioni e la necessità di spingersi verso tutto ciò che non è norma. Brillanti anche Alice Spisa, Renata Palminiello, Francesco Alberici, Antonio Zavatteri che, oltre ai loro stessi panni (ora aspettiamo con ansia e curiosità lo spin-off sulla vita di Renata), vestono rispettivamente quelli di Thea, la co-creatrice del manoscritto, la rigida signorina Tesman, l’inerme Jørgen Tesman e il giudice Brack. Inaspettato il personaggio di Irene – interpretato da Giulia Mazzarino, la musa ispiratrice di Løvborg/Ferracchiati.
Spiazzati e destabilizzati – bello provare queste sensazioni a teatro – assistiamo a un gioco in cui la storia di Hedda Gabler si alterna a momenti in cui gli attori si confrontano sui personaggi che sono chiamati a interpretare, come se li guardassero dal di fuori. E ci sembra di essere in sala prove con loro, quando iniziano a studiare e delineare la parte. O addirittura alla prova generale dello spettacolo, quando i tecnici del Piccolo Teatro irrompono nella scena spostando gli oggetti e aiutandoli a cambiarsi i costumi. E per essere più realistico e sincero possibile, Liv ci mostra anche “il lato oscuro” di quando la drammaturgia viene discussa con tutto il gruppo teatrale. Gli attori fanno richieste a Liv, che è il regista, e – come i personaggi che interpretano – anche loro sono pistole pronte a esplodere quando sfociano in animate discussioni.

HEDDA. GABLER. come una pistola carica di Liv Ferracchiati (Foto di Masiar Pasquali)

Nel caos poetico che si crea attorno a noi, ci accorgiamo che non c’è più una linea di demarcazione tra finzione e realtà. La storia dei protagonisti dell’opera si unisce a quella dei performer, fino al punto in cui i personaggi iniziano a rivolgersi agli altri con il nome degli attori che li interpretano.
Ma come ci insegna Leopardi, dopo la tempesta arriva sempre la quiete. E per un attimo tutto sembra tornare come dovrebbe essere – se consideriamo le convenzioni sceniche a cui siamo abituati. Le pedane in legno su cui camminano gli attori si uniscono formando un vero e proprio palco. I personaggi diventano più fedeli nell’aspetto a quelli della storia – Thea ha finalmente i capelli ricci e biondi, Hedda una pettinatura raccolta decisamente più classica. Liv, con un cappuccio in testa e seduto davanti al palcoscenico, diventa un normale spettatore che assiste alla conclusione dello spettacolo, dall’esterno, in silenzio, come tutti noi. Ma la quiete non è mai eterna, ed ecco che improvvisamente ci ritroviamo nuovamente di fronte a Liv e Petra che si preparano a uscire da teatro, come accade alla fine di una replica. Discutono su cosa mangiare per cena, lasciandosi alle spalle la scenografia di Giuseppe Stellato, realizzata interamente in cartone, simbolo della finzione, come l’arte, che è fittizia per definizione, ma pur sempre capace di portare alla luce la vera essenza di tutti noi.

 

HEDDA.
GABLER.
come una pistola carica
uno spettacolo di Liv Ferracchiati
con scene tratte da Hedda Gabler di Henrik Ibsen
traduzione di Andrea Meregalli e Liv Ferracchiati
dramaturg di scena Piera Mungiguerra
aiuto regia Anna Zanetti
assistente volontario alla regia Riccardo Vicardi 
scene Giuseppe Stellato
costumi Gianluca Sbicca
luci Emiliano Austeri
suono spallarossa
consulenza letteraria Andrea Meregalli
lettore collaboratore Emilia Soldati
con (in ordine alfabetico) Francesco Alberici, Liv Ferracchiati, Giulia Mazzarino, Renata Palminiello, Alice Spisa, Petra Valentini, Antonio Zavatteri
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa



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