Se l’inverno è soltanto un’estate che non ti ha conosciuto, ovvero perché si soffre per amore oggi come ieri
Venere / Adone con Danilo Giuva
Londra, 1593. La peste si diffonde a macchia d’olio sulla città e i teatri sono chiusi per contrastare il diffondersi dell’epidemia. In questo scenario tutt’altro che rassicurante William Shakespeare pubblica il poemetto Venus and Adonis, uno dei suoi lavori meno conosciuti, testo di riferimento di Venere / Adone, produzione Compagnia Licia Lanera con l’interpretazione di Danilo Giuva – regista e unico protagonista – che, a partire dal racconto del mito, porta in scena una profonda riflessione sul tema dell’amore e sulle difficoltà dell’esperienza amorosa.
Lei, Venere, dea della bellezza, è una donna pazza e malata d’amore. Lui, Adone, è un giovane dalla bellezza disarmante, innamorato della caccia e indifferente alle ossessioni amorose di lei. E così, recitando le loro confessioni e intenzioni più intime dietro a un microfono, Giuva veste contemporaneamente i panni di Venere, di Adone e di un docente super partes che commenta e interpreta con ironia e umorismo le azioni dei due protagonisti del poemetto, giocando e facendoci divertire nel tentativo di renderle più umane e terrene. ù
Ci racconta che Adone, per sfuggire alle avances di Venere, utilizza patetiche scuse, per esempio dichiarando che deve andarsene perché il sole gli brucia il viso. O di quando Venere – da vera “sottona” del XXI secolo – si illude che Adone si sia follemente innamorato solo perché l’ha baciata per rianimarla dopo che era svenuta. Il raggiungimento del settimo cielo che Giuva ci mostra trasformando la dea in una pop-star dei giorni nostri che si scatena sulle note di Fiamme negli occhi dei Coma_Cose, come farebbe qualunque ragazzina nella propria cameretta. E quella canzone indie-pop, tra le poltrone, la ascoltiamo e la cantiamo anche noi.
Metà sono una donna forte, decisa come il vino buono. Metà una Venere di Milo, che prova ad abbracciare un uomo. E anche se qui c’è troppa gente, io me ne fotto degli altri e te lo dico ugualmente: resta qui ancora un minuto, se l’inverno è soltanto un’estate che non ti ha conosciuto; e non sa come mi riduci, hai le fiamme negli occhi ed infatti se mi guardi mi bruci.
Lei lo attrae, lui non cede. A nulla servono gli abbracci, le carezze e le raccomandazioni da vera crocerossina, il giovane uomo parte per una battuta di caccia al cinghiale che gli sarà letale. L’amore per sé stessi vince sull’amore per l’altro. Adone muore, ma facendo l’unica cosa che ama: cacciare.
E poi l’amore oggi. Partendo dalle dinamiche relazionali tra i due personaggi shakespeariani – che ora ci sembrano più vicini a noi – Giuva amplia la sua riflessione sull’amore, approdando in una storia d’amore dei giorni nostri, anch’essa incompiuta, tra due uomini, tanto simili ai lontani Venere e Adone per atteggiamenti, paure ed emozioni.
Ci racconta di un ragazzo che s’innamora del fidanzato della sua migliore amica. Della gioia che prova quando lo vede, tanto grande quanto la tristezza nel sentirsi rifiutato. Delle farfalle nello stomaco che sente quando una sera, in macchina, si danno il primo bacio. Fino alla sofferta decisione di porre fine alla relazione quando l’altro gli propone di scappare per ricominciare una vita insieme, lontani da tutto e tutti, come se fosse l’unica soluzione possibile per poter vivere il loro amore. E poi il dolore più grande quando, durante una cena, la migliore amica e il ragazzo annunciano che si sposeranno, chiedendogli di essere il loro testimone di nozze.
Amore non mi lasciare, ti prego.
L’ultimo urlo straziante di Giuva, che si riscopre, tra le lacrime, malato d’amore come la Venere shakespeariana.
E con le luci soffuse e una musica malinconica in sottofondo, realizziamo che Venere / Adone altro non è che la storia di tutti noi. Ci sentiamo uniti e simili in quel senso di precarietà che inevitabilmente si crea quando si va alla ricerca della verità, nel tormento della lotta interna, nel senso di incompiutezza e nel dolore che il desiderio inespresso genera. E ci riscopriamo, tra le poltrone della sala teatrale, protagonisti di uno stesso racconto universale dove, almeno una volta nella vita, siamo stati Venere o Adone.
Venere / Adone
di e con Danilo Giuva
drammaturgia di Danilo Giuva e Annalisa Calice
regia e spazio Danilo Giuva
luci Cristian Allegrini
suono Francesco Curci
assistente alla regia Luca Mastrolitti
progetto grafico Silvia Rossini
consulenza artistica Valerio Peroni ed Alice Occhiali – Nordisk Teaterlaboratorium/Odin Teatret
con il contributo del Centro di Residenza dell’Emilia-Romagna “L’arboreto-Teatro Dimora La Corte Ospitale” 2021
produzione Compagnia Licia Lanera in coproduzione con Teatri di Bari
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