Il teatro, il bancomat e il turista
L'intervento al convegno "Le politiche culturali nei territori. Interventi diretti e indiretti per lo spettacolo dal vivo" (Venezia, 2 maggio 2022)
Qui di seguito, l’intervento di Pierluca Donin (Arteven) all’incontro “Le politiche culturali nei territori. Interventi diretti e indiretti per lo spettacolo dal vivo” (Università di Venezia Cà Foscari, Venezia, 2 maggio 2022).
Vi ringrazio per questa occasione di recuperare un po’ di lucidità in seguito a questo tremendo periodo che ci ha messo in crisi tutti su tutto. Dopo l’esperienza pandemica abbiamo tutti bisogno di rifare il punto.
Le procedure
Prima di parlare di prospettiva, farei un piccolo passo indietro. Noi che ci occupiamo di spettacolo dal vivo, ma è una sintesi poco realistica rispetto al lavoro realizzato, con modalità da organismo di diritto pubblico e quindi dobbiamo agire con trasparenza e pubblicità rispetto all’acquisizione dei beni e servizi alla pari o poco meno di un ente locale, a dir il vero con qualche strada meno complessa però comunque con una modalità molto forte, siamo in difficoltà in un settore come il campo artistico dove tutto può starci fuorché la rigidità. Giustificare le scelte per noi è sempre una grande battaglia; siamo quasi degli schizofrenici nel fare una valutazione artistica di un’iniziativa, di uno spettacolo, di un progetto, per poi doverlo inquadrare, incamerare, metterlo all’interno di un format ogni volta diverso per renderlo compatibile con la burocrazia. Alla maggior parte dei soggetti artistici coinvolti sfugge il meccanismo pubblico. Questa è la maggiore difficoltà, se non usando con parsimonia l’articolo 63 del Codice degli appalti.
In una situazione normale l’elemento burocratico ci sta, meno in una situazione che deve riprendersi. Per realizzare uno spettacolo ovviamente c’è tutta un’area che viene chiamata “parte fungibile”, l’allestimento tecnico per esempio. Se quindi riusciamo a fare un ingaggio di un artista in maniera diretta, perché lo conosciamo, perché sappiamo che può farlo, perché ce ne prendiamo la responsabilità e il rischio culturale, dall’altra tutto ciò che è inerente alla costruzione di quello spettacolo deve subire tutta una serie di verifiche e di verifiche nei confronti del fornitore. Questo procedimento è diventato complesso, anche se alla fine stiamo facendo solo uno spettacolo.
I bandi
A nostra volta dobbiamo partecipare a bandi per portare risorse a beneficio dell’utente finale, che per noi è lo spettatore, mettendo in una sorta di attesa gli artisti fintanto che il bando non assegna e individua il vincitore. In questa filiera complessa, più volte citata dagli interlocutori che mi hanno preceduto, ci poniamo continuamente un problema: fin dove e fino a che punto il bando pubblico fa il bene della parte artistica? Cioè dov’è il punto dove noi dobbiamo conservare e proteggere la parte artistica, che deve essere creativa e libera, rispetto alla voracità burocratica che tenderà sempre a fare diventare quadrato un cerchio? Questo incastro ci divide ogni giorno nell’inventare e mettere in equilibrio le azioni da intraprendere per realizzare il servizio al pubblico teatrale e gli artisti.
Dall’altra parte i bandi che vengono ideati dalla pubblica amministrazione spesso hanno tempi cortissimi mentre lo spettacolo dal vivo per sua conformazione ha bisogno di lunghi tempi di programmazione e gestazione. Il risultato è una corsa continua contro il tempo dove la qualità può essere messa in difficoltà.
Un soggetto come il nostro ha bisogno di una squadra di lavoro che si occupa solo di bandi pubblici e quindi, ancora una volta, dopo la burocrazia e l’amministrazione, i controlli più svariati stiamo togliendo risorse alla missione finale e principale che è quella di mettere insieme artisti e pubblico. Fino a quale punto dobbiamo strutturarci continuamente per essere una grande azienda che sa gestire bandi dall’Europa alla Regione e al Comune? Questo impegno toglie energie e risorse alle creatività artistiche e alle nostre creatività. I decreti e tutto il sistema sta andando verso il controllo della modalità di realizzazione di uno spettacolo. L’obiettivo di andare verso un sistema perfetto in termini burocratici mi permette di immaginare che perfetto non sarà mai. Per non parlare dell’eccesso di offerta rispetto alla reale domanda.
La trasparenza
E’ sacrosanta la trasparenza, ma non è attraverso questa azione che miglioro il rapporto tra il teatro e il pubblico tra offerta e domanda. Il sistema, usa la trasparenza e rende pubblico con poco interesse rispetto a quello che faccio e tanta attenzione a come lo faccio. Poi sarà il gestore politico e la legge che mi dirà se sto sbagliando.
Il meccanismo è divenuto così complesso nel tempo che in molti casi prima di agire chiediamo un parere pro veritate all’avvocato amministrativista. Non vi è stata semplificazione del sistema post pandemico.
Arteven è costretta a evolversi per anticipare i cambiamenti di natura tecnica, scontrandosi continuamente tra fungibilità e infungibilità. Non sempre il cambiamento delle modalità va di pari passo con il cambiamento delle modalità produttive che giustamente devono pensare più al prodotto che al processo burocratico. Ma oltre a risolvere le burocrazie, dobbiamo andare a vedere quello che succede nei teatri con un tempo a disposizione sempre più stretto. Ovviamente se ne parla da decenni, ma finché non si metterà in equilibrio il sostegno pubblico alla produzione creativa e alla parte organizzativa, questo sbilanciamento continuerà a essere un problema irrisolto, a discapito degli artisti e quindi del pubblico.
Dopo la pandemia
Questo è collegato a uno dei punti focali di questo convegno, cioè il passaggio al progetto, quindi al tempo determinato. Io non sono contrario al tempo determinato sulle azioni, nel senso che l’instabilità lavorativa da parte degli artisti e degli organizzatori è pane quotidiano, quindi non mi sorprende.
Mi sorprende invece l’instabilità dei soggetti che devono garantire i progetti. Se noi non conserviamo alcuni soggetti che sono i gioielli di famiglia di una regione, di uno Stato, rischiamo che tutto diventi molto fruibile, ma non nel senso giusto.
In Italia, in particolare, tutto il sistema è capillare – parliamo di teatro, musica, danza, circo contemporaneo – e il fatto che anche nella piccola comunità succedano delle esperienze teatrali fa sembrare tutto a portata di mano e quindi semplice. All’estero non è così. In realtà è molto più complesso il meccanismo per il quale un sistema riesce a portare al cittadino di una piccola città qualcosa di grande valore piuttosto che la concentrazione sulla grande città che nel tempo dividerà il sistema creativo.
Dobbiamo sempre tenere a fuoco l’obiettivo di portare la cultura a tutti a casa di tutti? Il meccanismo paradossalmente è andato in crisi dal momento in cui il lockdown ci ha chiuso tutti. In quel momento abbiamo esasperato la fruibilità del prodotto culturale one to one. Abbiamo operato pensando più al sostegno degli artisti che al prodotto finale ed è stato giusto così per non trovare il deserto alla ripresa. Abbiamo investito risorse e idee per tenere vivo lo spettacolo dal vivo riproducendolo.
In realtà quegli investimenti hanno alimentato altro, come ho detto. Chi si è accorto che tutto il sistema sarebbe imploso è stato il MiC e la Regione, che non dimentico mai di ringraziare, perché hanno sostenuto il sistema anche quando il sistema era praticamente fermo. Ci siamo trovati a combattere qualcosa che non era prevedibile. Gli stessi enti locali ci hanno perdonato qualche imperfezione. L’obiettivo generale è stato quello di tenere in vita un sistema composto da artisti, tecnici, operatori e pubblico.
Il teatro, il bancomat e il turista
Rispetto invece a quello che spesso succede in soggetti come il nostro, che raccolgono risorse da molti enti per realizzare lo spettacolo, è opportuno un breve approfondimento. Ne parlavo con un sindaco di una città del territorio, che mi diceva: “Alla fine, alla sera, le uniche attività aperte nella mia città sono il bancomat e il teatro”.
Il teatro svolge anche una funzione di natura sociale importantissima, non quantificabile economicamente. Non ha minimamente la possibilità di essere confuso con un’attività di impresa: in qualche maniera, attraverso i fondi pubblici, svolge un’azione di presidio anche alla sicurezza che non torna in termini di spesa uguale ricavo. Il teatro svolge una funzione sociale importantissima ancor più in questo momento rispetto a soli quattro o cinque anni fa.
Se invece pensiamo che il teatro debba stare assieme al turismo, alle attività per attrarre persone diverse da uno spettatore che ha voglia di passare il proprio tempo con il teatro, rischiamo un isolamento o quanto meno un’omologazione rispetto al meccanismo della creatività artistica. Dobbiamo fare molta attenzione e non portare mai all’omologazione artistica, anche se tutto il sistema e le procedure ci vogliono portare là, dicendo loro quel che devono fare. Questa è una battaglia da fare sul piano intellettuale, ovviamente con l’aiuto degli artisti, ma anche con l’aiuto dei tecnici che mettono a posto le cose. E’ necessario non confonderci: non perché siamo aristocratici rispetto agli altri lavoratori, ma per ribadire la funzione del teatro rispetto le altre forme culturali.
Voglio credere che mai come oggi, il teatro, la musica, la danza, il circo contemporaneo, siano gli strumenti necessari all’umanità e l’ultimo luogo rimasto dove condividere emozioni collettive in maniera artigianale per il pubblico e artistica per chi sale sul palco. È rimasto solo questo.
Eravamo in crisi prima, siamo in crisi ancora ma siamo rimasti in piedi. Il cinema per esempio ha subito una crisi molto più evidente: aveva una crisi precedente e oggi ha bisogno di essere sostenuto da risorse pubbliche poiché anche la sala svolge una funzione sociale nella comunità; i luoghi di aggregazione svolgono funzione strategicamente sociale. E al netto di quello che succede in palco, la responsabilità degli organizzatori sta nel costruire l’azione tecnica che permetta agli artisti il compito di interpretare questo momento in maniera creativa per far sì che la scommessa che vede il teatro come necessità umana e antropologica possa essere vinta. Altrimenti abbiamo sprecato una grandissima occasione.
Il video della giornata del 2 maggio 2022
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