Il sostegno finanziario fra Scilla (la divisione di competenze fra Stato e Regioni) e Cariddi (i principi dell’Unione Europea)
L'intervento al convegno "Le politiche culturali nei territori. Interventi diretti e indiretti per lo spettacolo dal vivo" (Venezia, 2 maggio 2022)
Qui di seguito, l’intervento di Giuseppe Albenzio (Consiglio Superiore dello Spettacolo) all’incontro “Le politiche culturali nei territori. Interventi diretti e indiretti per lo spettacolo dal vivo” (Università di Venezia Cà Foscari, Venezia, 2 maggio 2022).
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I – La divisione di competenze fra Stato e Regioni secondo la nostra Costituzione.
L’art. 9 della Costituzione
1.L’art. 9 della Costituzione, al primo comma, sancisce che
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”[1].
Il principio è stato interpretato e ribadito dalla Corte Costituzionale in alcune importanti pronunzie (si vedano le sentenze n. 255 e n. 307 del 2004 e n. 286 del 2005) ove è stato sottolineato che “lo sviluppo della cultura è finalità di interesse generale perseguibile da ogni articolazione della Repubblica” e che “le disposizioni che prevedono il sostegno finanziario ad opere … che presentino particolari qualità culturali ed artistiche si connotano … nell’ottica della tutela dell’interesse, costituzionalmente rilevante, della promozione e dello sviluppo della cultura (art. 9 Cost.)”.
La Corte Costituzionale si è espressa anche in altre occasioni sulla funzione rilevante della cultura, della sua tutela e della sua promozione fra i principi fondanti la nostra Nazione.
Si veda, in materia di spettacolo dal vivo (nella specie trattavasi della disciplina delle Fondazioni lirico-sinfoniche), la sentenza 21 aprile 2011, n. 153, ove si sottolinea, da un lato, la competenza dello Stato e non delle singole regioni alla adozione della disciplina generale delle istituzioni che curano la produzione e diffusione a livello nazionale e ultra-nazionale degli spettacoli dal vivo e, dall’altro lato, la funzione pubblicistica che svolgono gli enti che curano la organizzazione e promozione di quelle attività nell’interesse nazionale e non meramente privato-commerciale; significative sono le parole che si leggono nella sentenza:
le finalità delle anzidette fondazioni, ossia la diffusione dell’arte musicale, la formazione professionale dei quadri artistici e l’educazione musicale della collettività (art. 3 del d.lgs. n. 367 del 1996, che ripete la formulazione dell’art. 5 della legge n. 800 del 1967), travalicano largamente i confini regionali e si proiettano in una dimensione estesa a tutto il territorio nazionale. Sono significativi, d’altronde, del fatto che non si tratta di attività di spettacolo di interesse locale gli ingenti flussi di denaro con cui lo Stato ha sovvenzionato e continua a sovvenzionare tali soggetti.
La conclusione della Corte Costituzionale è molto chiara sulla finalità dell’art. 9 della Costituzione e delle altre leggi che regolano la materia:
In conclusione, la dimensione unitaria dell’interesse pubblico perseguito, nonché il riconoscimento della “missione” di tutela dei valori costituzionalmente protetti dello sviluppo della cultura e della salvaguardia del patrimonio storico e artistico italiano, confermano, sul versante operativo, che le attività svolte dalle fondazioni lirico-sinfoniche sono riferibili allo Stato ed impongono, dunque, che sia il legislatore statale, legittimato dalla lettera g) del secondo comma dell’art. 117 Cost., a ridisegnarne il quadro ordinamentale e l’impianto organizzativo.
L’art. 117 della Costituzione
2. Di cultura e spettacolo si occupa anche l’art. 117 della Costituzione, al fine di individuare le competenze normative dello Stato e delle Regioni nella materia.
Così recita l’articolo, nelle parti che ci interessano:
La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
… s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: … valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; … Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
…La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
Questa distinzione degli ambiti di competenza dello Stato e delle Regioni è stata ribadita dal Codice dei beni culturali e del paesaggio-D.Lgs. 22/01/2004, n. 42, nell’art. 7, comma 2 [secondo il quale “Il Ministero, le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali perseguono il coordinamento, l’armonizzazione e l’integrazione delle attività di valorizzazione dei beni pubblici“] e nell’art. 112, comma 4 [a norma del quale, in primo luogo: “Lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali stipulano accordi per definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione, nonché per elaborare i conseguenti piani strategici di sviluppo culturale e i programmi, relativamente ai beni culturali di pertinenza pubblica”; e, in secondo luogo: “Gli accordi possono essere conclusi su base regionale o subregionale, in rapporto ad ambiti territoriali definiti, e promuovono altresì l’integrazione, nel processo di valorizzazione concordato, delle infrastrutture e dei settori produttivi collegati. Gli accordi medesimi possono riguardare anche beni di proprietà privata, previo consenso degli interessati].”
Il discrimine fra le competenze è individuato, quindi, nei termini tutela – da un lato – e valorizzazione – dall’altro lato – oltre che promozione e organizzazione; lo spettacolo è da intendersi ricompreso nell’ambito culturale, come chiarito dalla giurisprudenza: “Lo spettacolo rientra nella materia concorrente della promozione e organizzazione di attività culturali, di cui all’art. 117, comma 3, Cost., che ricomprende tutte le attività riconducibili alla elaborazione e diffusione della cultura, senza che vi possa essere spazio per ritagliarne singole partizioni come lo spettacolo. Ne consegue che lo Stato può fissare soltanto i principi fondamentali della materia mentre spetta alle Regioni adottare la normativa di dettaglio” (Cons. Stato, Sez. VI, Sentenza, 30/11/2016, n. 5036 e n. 5035).
Questa interpretazione dell’art. 117 è stata dettata dalla stessa Corte Costituzionale in varie occasioni; in particolare, con riferimento alle Fondazioni lirico-sinfoniche, nella già citata sentenza 21/4/2011 n. 153 che ha rigettato la tesi della Regione Toscana secondo la quale sarebbe spettato alle Regioni di regolare autonomamente la materia: “Infatti, la dimensione unitaria dell’interesse pubblico perseguito, nonché il riconoscimento della “missione” di tutela dei valori costituzionalmente protetti dello sviluppo della cultura e della salvaguardia del patrimonio storico e artistico italiano, confermano, sul versante operativo, che le attività svolte dalle fondazioni lirico-sinfoniche sono riferibili allo Stato ed impongono, dunque, che sia il legislatore statale, legittimato dalla lett. g) del secondo comma dell’art. 117 Cost., a ridisegnarne il quadro ordinamentale e l’impianto organizzativo”.
In relazione alla legge sul Fondo Unico dello Spettacolo-F.U.S., la Corte Costituzionale (sentenza 21/07/2004, n. 255) ha ribadito la sua posizione, rigettando la questione sollevata dalla Regione Toscana in ordine alla costituzionalità dell’art. 1 del D.L. 18 febbraio 2003, n. 24 (Disposizioni urgenti in materia di contributi in favore delle attività dello spettacolo), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 2003, n. 82, nella parte in cui disciplina i criteri e le modalità di erogazione dei contributi alle attività dello spettacolo e le aliquote di ripartizione annuale del Fondo unico per lo spettacolo previsto dalla legge 30 aprile 1985, n. 163 (Nuova disciplina degli interventi dello Stato a favore dello spettacolo), affidandone la determinazione a “decreti del Ministero per i beni e le attività culturali non aventi natura regolamentare”; secondo la Regione, sarebbero stati violati l’art. 117 della Costituzione e, conseguentemente, gli artt. 118 e 119 Cost. perché il legislatore statale sarebbe intervenuto nella materia dello “spettacolo”, da considerare affidata alla potestà legislativa residuale della Regione in virtù dell’art. 117 Cost., quarto comma; nel dichiarare infondata la questione, la Corte ha chiarito che “Al riguardo, deve essere innanzi tutto evidenziato che, anche se nel catalogo di materie di cui al nuovo art. 117 della Costituzione non si fa espressa menzione delle attività di sostegno degli spettacoli, da ciò non può certo sommariamente dedursi, come sostiene la Regione ricorrente, che tale settore sarebbe stato affidato alla esclusiva responsabilità delle Regioni.
La materia concernente la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali”, affidata alla legislazione concorrente di Stato e Regioni, infatti, ricomprende senza dubbio nella sua seconda parte, nell’ambito delle più ampie attività culturali, anche le azioni di sostegno degli spettacoli.”
Prosegue la Corte sottolineando che “Ciò comporta che ora le attività culturali di cui al terzo comma dell’art. 117 della Costituzione riguardano tutte le attività riconducibili alla elaborazione e diffusione della cultura, senza che vi possa essere spazio per ritagliarne singole partizioni come lo spettacolo.”
Questo riparto di materie evidentemente accresce molto le responsabilità delle Regioni, dato che incide non solo sugli importanti e differenziati settori produttivi riconducibili alla cosiddetta industria culturale, ma anche su antiche e consolidate istituzioni culturali pubbliche o private operanti nel settore (come, per esempio e limitandosi al solo settore dello spettacolo, gli enti lirici o i teatri stabili); con la conseguenza, inoltre, di un forte impatto sugli stessi strumenti di elaborazione e diffusione della cultura (cui la Costituzione, non a caso all’interno dei “principi fondamentali”, dedica un significativo riferimento all’art. 9).”[2]
Il contenzioso tra Stato e Regioni
Nel frattempo, Stato e Regioni continuano a confrontarsi nelle aule giudiziarie per rivendicare le proprie competenze in materia.
Emblematica è la questione sollevata qualche tempo fa dal Comune di Roma Capitale nei confronti del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali sull’organizzazione degli uffici facenti capo al Ministero nell’ambito del territorio comunale, pretendendo il Comune di essere consultato e coinvolto nell’attività organizzativa che faceva capo al Ministro laddove questa organizzazione coinvolgesse interessi della cittadinanza; nella specie si trattava del Parco archeologico del Colosseo, ma la questione rivestiva carattere generale per i principi che si volevano affermare sulla esatta individuazione dei diversi concetti di tutela e valorizzazione dei beni culturali.
Il Consiglio di Stato (sentenza n. 3665/2017) ha risolto la questione sottolineando che “occorre ricostruire il quadro normativo rilevante distinguendo il profilo di disciplina afferente all’organizzazione del Ministero e quello relativo allo svolgimento delle funzioni amministrative” e che “l’ordinamento si muove nella direzione del decentramento delle funzioni amministrative, in attuazione del principio di sussidiarietà. Ed è in questo ambito che il legislatore ha contemplato forme di leale cooperazione nella fase concreta afferente all’attività amministrativa nel settore del patrimonio culturale. Si tratta, pertanto, di una cooperazione che attiene all’esercizio delle funzioni amministrative e non, si ribadisce, a quella a monte della creazione dell’ufficio che quelle funzioni poi dovrà espletare.
… in evidenza la stretta connessione esistente tra organizzazione e attività amministrativa ma ciò nel senso che una efficiente ed efficace organizzazione amministrativa è strettamente funzionale ad assicurare il principio di buon andamento nella fase di svolgimento delle funzioni amministrative. Tale connessione non può, però, consentire che si spostino a livello organizzativo le regole che la Costituzione e le fonti primarie hanno previsto a livello di attività amministrativa.”
Non è questa la sede per passare in rassegna funditus la copiosa giurisprudenza in materia, ma l’insegnamento che possiamo trarre da queste vicende contenziose è che per una migliore gestione dei beni culturali (e, quindi, dell’attività dello spettacolo) gli enti pubblici, statali e locali, devono collaborare tra loro secondo il principio di leale collaborazione più volte evocato dalla Corte Costituzionale e dal Giudice amministrativo, sia sul piano normativo che su quello amministrativo; sinergie e collaborazione fra i vari enti istituzionali dovrebbero essere un approdo scontato per la migliore realizzazione dell’interesse pubblico ma, purtroppo, talvolta ciò non avviene e prevale una visione parcellizzata della cosa pubblica e una difesa di “territori” e “prerogative” di corto respiro, quasi che le varie componenti dello Stato italiano, secondo gli art. 5 e 114 della Costituzione, fossero monadi autonome l’un contro l’altre armate, come le città-Stato del medioevo; al contrario, secondo l’art. 9 della Costituzione, il patrimonio culturale appartiene, in definitiva, alla intera Nazione italiana.
Rilevanti per ogni attività di organizzazione di spettacoli e rappresentazioni sono anche gli articoli 33 e 41 della Costituzione che sanciscono il principio della libertà dell’arte, della scienza e dell’iniziativa economica.
I Trattati europei
Un completamento di questi principi, con l’indicazione di chiare linee d’azione lo troviamo nei Trattati europei.
L’art. 167 TFUE.
L’art. 167 TFUE così recita:
1. L’Unione contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune.
2. L’azione dell’Unione è intesa ad incoraggiare la cooperazione tra Stati membri …
3. L’Unione e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti in materia di cultura, in particolare con il Consiglio d’Europa.
4. L’Unione tiene conto degli aspetti culturali nell’azione che svolge a norma di altre disposizioni dei trattati, in particolare ai fini di rispettare e promuovere la diversità delle sue culture.
In conclusione, l’esercizio delle attività artistiche che sono coinvolte nell’organizzazione degli spettacoli dal vivo deve svolgersi nel rispetto della sua libertà di espressione (in sostanza, l’organizzatore non può imporre scelte artistiche ai professionisti chiamati a partecipare allo spettacolo) e, sotto altro profilo, sono legittime tutte le forme di sostegno e promozione delle attività di espressione artistica che rispondano ai principi ed alle finalità sancite dal Trattato UE. Sostegno e promozione sotto qualunque forma e di qualunque genere, anche economico, salvo in questo caso il rispetto delle disposizioni sugli “aiuti di Stato” qualora i finanziamenti siano decisi ed erogati direttamente dai singoli Stati membri e non dalle Istituzioni europee (problema di cui tratteremo fra poco).
L’art. 119 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea-TFUE.
L’art. 119 TFUE, ex art. 4.2 TCE sancisce il «principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza», con il connesso divieto di aiuti pubblici alle imprese, unitamente con la proclamazione della libertà di circolazione dei capitali, delle merci, dei servizi e delle persone.
È evidente la sincronia dei principi della nostra Costituzione con quelli dell’Unione Europea, sottolineata dalla stessa nostra Corte Costituzionale.
Nelle decisioni più recenti, sulla suggestione delle indicazioni comunitarie, la Corte (sent. 14/2004) non solo afferma che «dal punto di vista del diritto interno la nozione di concorrenza non può non riflettere quella operante in ambito comunitario, che comprende interventi regolativi, misure antitrust e misure destinate a promuovere un mercato aperto e in libera concorrenza», ma precisa anche che la tutela della concorrenza «costituisce una delle leve della politica economica statale e pertanto non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell’accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali».
La giurisprudenza dei nostri tribunali sottolinea quella funzione globale del principio, in riferimento ad ogni intervento normativo nazionale anche per il settore della cultura:
Il legislatore statale o regionale può e deve mantenere forme di regolazione dell’attività economica volte a garantire (tra l’altro) l‘osservanza dei principi costituzionali legati alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale a presidio dell’utilità sociale di ogni attività economica (art. 41 Cost.)”(Cons. Stato, sez. V, 22/10/2015 n. 4856).
L’affermazione di principio secondo cui in ambito economico è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge non può disgiungersi dalla fondamentale considerazione per cui il legislatore statale o regionale può e deve mantenere forme di regolazione dell’attività economica volte a garantire, tra l’altro, il rispetto degli obblighi internazionali e comunitari e la piena osservanza dei principi costituzionali legati alla tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e della finanza pubblica, nonché della sicurezza, della libertà e della dignità umana: ciò in vista di una regolazione ispirata a ragionevolezza che da un lato elimini gli ostacoli che si rivelino inutili e sproporzionati, dall’altro mantenga le normative necessarie a garantire che le dinamiche economiche non si svolgano in contrasto con l’utilità sociale come richiesto dall’art. 41 della Costituzione. (T.A.R. Lazio Roma, Sez. II ter, 08/11/2019, n. 12874).[3]
La regolamentazione del turismo
Non diversa sostanzialmente è la problematica inerente alla regolamentazione del “turismo”, ricompresa nelle competenze residuali delle Regioni ai sensi dell’art. 117, comma quarto, della Costituzione.
Il settore è strettamente legato a quello della valorizzazione dei beni culturali, come è ovvio e come è espressamente indicato nei testi normativi adottati in materia, a partire dal Codice dei beni culturali per arrivare al Codice dello spettacolo (ancora in fase di elaborazione).
Nell’ambito della disciplina generale dettata dallo Stato (si veda, dapprima, la legge 17 maggio 1983, n. 217 – “Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell’offerta turistica”; poi il codice del turismo attualmente vigente – Decreto legislativo 23 maggio 2011 n. 791 – “Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo”[4]), le Regioni esercitano la loro competenza normativa e amministrativa, anche in virtù dell’espressa riserva contenuta in molti Statuti regionali.
La problematica sulla suddivisione di competenze fra Stato e Regioni non si discosta molto da quella che abbiamo testé esposto per la valorizzazione dei beni culturali.
Di particolare interesse in tal senso la posizione assunta dalla Corte Costituzionale:
La materia del «turismo e industria alberghiera» [è] di competenza legislativa regionale residuale. Tuttavia, essa presenta profili strettamente intrecciati con la competenza del legislatore statale … Pertanto, deve trovare applicazione il principio generale secondo cui, in ambiti caratterizzati da una pluralità di competenze, qualora non risulti possibile comporre il concorso di competenze statali e regionali mediante un criterio di prevalenza, non è costituzionalmente illegittimo l’intervento del legislatore statale purché agisca nel rispetto del principio di leale collaborazione, che deve in ogni caso permeare di sé i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie e che può ritenersi congruamente attuato mediante la previsione dell’intesa. (Corte cost., 11/02/2016, n. 21).
[La seconda parte di questo studio, costituisce una rielaborazione del testo già pubblicato il 10 marzo 2022, I principi dell’Unione Europea di riferimentoper ogni iniziativa normativa statale o regionale nel settore dello spettacolo/]
II – I principi dell’Unione Europea e le condizioni e limiti conseguenti
Gli artt. 45, 101-102 e 107-108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea-TFUE
I Principi fondamentali dell’Unione Europea sono, in relazione all’attività economico-imprenditoriale, espressi essenzialmente dagli artt. 45, 101-102 e 107-108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea-TFUE (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 26 giugno 2014 n. L 187/1), i quali sanciscono la libertà di movimento di persone e capitali, la libera concorrenza, il divieto di aiuti di Stato.
Questi Principi sono affrontati nei dettagli applicativi per le attività culturali e di spettacolo da tre Fonti normative secondarie molto importanti, delle quali riteniamo utile riportare le parti più significative che individuano i criteri di base da applicare e le caratteristiche essenziali delle varie attività di spettacolo che possono essere considerate al di fuori della categoria degli aiuti di Stato, dei suoi limiti e delle sue condizioni di applicabilità.
Il Regolamento (UE) della Commissione del 17 giugno 2014
a) il Regolamento (UE) della Commissione del 17 giugno 2014, che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea; l’art. 53 di questo regolamento disciplina gli aiuti per la cultura e la conservazione del patrimonio prendendo, fra l’altro, in considerazione il finanziamento pubblico delle seguenti attività culturali:
– il patrimonio immateriale in tutte le sue forme, compresi i costumi e l’artigianato del folclore tradizionale;
– gli eventi artistici o culturali, spettacoli, festival, mostre e altre attività culturali analoghe;
– le attività di educazione culturale e artistica e sensibilizzazione sull’importanza della tutela e promozione della diversità delle espressioni culturali …;
– la scrittura, editing, produzione, distribuzione, digitalizzazione e pubblicazione di musica e opere letterarie, comprese le traduzioni.
Il 72° considerando dello stesso regolamento riconosce, tuttavia, che:
nel settore della cultura e della conservazione del patrimonio, determinate misure adottate dagli Stati membri possono non costituire aiuti di Stato in quanto non soddisfano tutti i criteri di cui all’articolo 107, paragrafo 1, del Trattato, per esempio perché l’attività svolta non è economica e non incide sugli scambi tra Stati membri.
La Comunicazione (2016/C 262/01) della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato
La Comunicazione (2016/C 262/01) della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato di cui all’articolo 107, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, fornisce precisi criteri per stabilire se un’attività nel settore culturale e dello spettacolo costituisca attività economica; in particolare, il carattere economico di quelle attività culturali o di conservazione del patrimonio può essere escluso (v. punti 34-35 e 197) se:
– sono “organizzate in modo non commerciale”;
– il finanziamento pubblico “risponda a un obiettivo esclusivamente sociale e culturale”, con la precisazione che “il fatto che i visitatori … o i partecipanti … siano tenuti a versare un contributo in danaro che copra solo una frazione del costo effettivo non modifica il carattere non economico di tale attività”; laddove devono, invece, essere considerate economiche quelle attività “prevalentemente finanziate dai contributi dei visitatori o degli utenti o attraverso altri mezzi commerciali” ovvero “favoriscono esclusivamente talune imprese e non il grande pubblico”;
– risultano “oggettivamente non sostituibili … e si può, pertanto, escludere l’esistenza di un vero mercato”;
– per il loro oggetto e ambito di utenza “non rischiano di sottrarre utenti o visitatori a offerte analoghe in altri Stati membri”, con la precisazione che “solo il finanziamento concesso a istituzioni ed eventi culturali di grande portata e rinomati che si svolgono in uno Stato membro e che sono ampiamente promossi al di fuori della regione d’origine rischia di incidere sugli scambi fra gli Stati membri”;
– quanto al loro contenuto “per motivi geografici e linguistici, hanno un pubblico limitato a livello locale”.
Le linee guida della conferenza Stato-Regioni
Le Linee guida per il finanziamento delle attività dello spettacolo dal vivo nel rispetto della normativa europea in materia di aiuti di Stato, sono state redatte da un gruppo di lavoro promosso dalla Conferenza delle Regioni e Province Autonome e composto tra la Direzione generale spettacolo e i coordinamenti tecnici in materia di aiuti di Stato e beni e attività culturali, al fine di permettere al Ministero competente e alle Regioni e Province Autonome di applicare in maniera uniforme la normativa europea in materia di “aiuti di Stato”.
Su queste linee-guida, ancora in fase di elaborazione definitiva, l’Ufficio legislativo del Ministero ha suggerito di allentare l’obbligo di iscrizione nel Registro nazionale degli aiuti di Stato (istituito in adempimento degli obblighi comunitari dall’art. 52 l. 234/2012) per ogni iniziativa di finanziamento pubblico delle attività di spettacolo, così da evitare un eccessivo appesantimento delle procedure: “1. Al fine di garantire il rispetto dei divieti di cumulo e degli obblighi di trasparenza e di pubblicità previsti dalla normativa europea e nazionale in materia di aiuti di Stato, i soggetti pubblici o privati che concedono ovvero gestiscono i predetti aiuti trasmettono le relative informazioni alla banca di dati istituita presso il Ministero dello sviluppo economico ai sensi dell’articolo 14, comma 2, della legge 5 marzo 2001, n. 57, che assume la denominazione di “Registro nazionale degli aiuti di Stato”… “7. La trasmissione delle informazioni al Registro di cui al comma 1 e l’adempimento degli obblighi di interrogazione del Registro medesimo costituiscono condizione legale di efficacia dei provvedimenti che dispongono concessioni ed erogazioni degli aiuti di cui al comma 2. I provvedimenti di concessione e di erogazione di detti aiuti indicano espressamente l’avvenuto inserimento delle informazioni nel Registro e l’avvenuta interrogazione dello stesso. L’inadempimento degli obblighi di cui ai commi 1 e 3 nonché al secondo periodo del presente comma è rilevato, anche d’ufficio, dai soggetti di cui al comma 1 e comporta la responsabilità patrimoniale del responsabile della concessione o dell’erogazione degli aiuti. L’inadempimento è rilevabile anche dall’impresa beneficiaria ai fini del risarcimento del danno.”; questo registro ha la funzione di consentire il pieno rispetto delle prescrizioni europee in materia, come è ribadito dall’art. 44 della stessa legge 234/2012: “1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei, d’intesa con il Ministro degli affari esteri, cura il coordinamento con i Ministeri interessati e i rapporti con le regioni per definire la posizione italiana nei confronti dell’Unione europea nel settore degli aiuti pubblici sottoposti al controllo della Commissione europea ai sensi degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, anche in applicazione dell’articolo 43, comma 1, della presente legge.”
Il nodo degli “aiuti di Stato”
La Commissione UE, nella sua Comunicazione del 2016, come appena visto, pone delle condizioni generali per la qualificazione o meno come “aiuto di Stato” dei finanziamenti pubblici alle imprese che operano nel settore; le Linee guida del Ministero ripercorrono quelle condizioni ribadendole per i finanziamenti allo spettacolo che sono operanti in Italia, primo fra tutti il FUS, e concludono in via generale e astratta per la non ricorrenza delle condizioni poste dalla UE e, in conseguenza, per la legittimità di quel sistema di finanziamento pubblico in relazione ai principi comunitari.
Così si legge, fra l’altro, in quelle Linee guida:
3.2. Quando viene falsata la concorrenza. In linea di principio, per valutare gli effetti sul mercato di un finanziamento pubblico sarebbe sufficiente verificare la sua incidenza sugli scambi: se un aiuto distorce gli scambi, a maggior ragione falsa la concorrenza fra le imprese all’interno dello stesso Stato; effetto generalmente presente i un’agevolazione che non costituisca una misura generale. E’ tuttavia utile riflettere sul fatto che c’è concorrenza solo fra beni o servizi fungibili; situazione che spesso non si verifica nel caso della cultura non potendosi considerare fungibili singole opere d’arte.
3.3. Quando l’intervento pubblico incide sugli scambi tra Stati membri. Per valutare se un finanziamento pubblico incide sugli scambi tra Stati membri occorre verificare se il finanziamento di un’attività culturale (che sia svolta come attività economica) influisca sugli scambi favorendo quella specifica attività economica. Gli effetti sugli scambi di un aiuto ci sono laddove quell’aiuto sia in grado di spostare flussi di utenti da un paese all’altro, non solo aumentando l’appetibilità di una determinata offerta (quella destinataria del finanziamento), ma facendolo a scapito delle offerte analoghe di un altro Stato membro, che siano realmente alternative ad essa, nel senso che l’una possa sostituite l’altra o le altre nella scelta dell’utente. In altre parole, l’unicità di un evento ancorché di grande richiamo internazionale – nel senso che esso, proprio per la sua unicità, non è alternativo ad altri eventi – può escludere l’effetto distorsivo del suo finanziamento. A maggior ragione, è esclusa l’incidenza sugli scambi quando il finanziamento riguarda un’attività definibile di “prossimità”. Ciò accade sempre quando si tratta di eventi di respiro locale, in grado di attirare un’utenza da brevi distanze, anche a prescindere dal fatto che il loro bacino di utenza, per l’ubicazione nei pressi de confine di Stato, si estenda ad un altro Stato membro. Il fatto che il teatro di Trieste venga frequentato anche da un pubblico sloveno non significa necessariamente che vanga meno il carattere di prossimità dell’offerta teatrale. Il bacino di utenza di quella infrastruttura resta “locale”, nel senso che i frequentatori del teatro provengono dal territorio circostante (esattamente come avviene per qualsiasi realtà analoga), anche se questo si estende oltre il confine: chi risiede a Capodistria, per tutta una serie di attività in diversi settori si trova nel bacino di utenza di Trieste, non in quello di Lubiana; in assenza di quell’offerta, non ci sarebbe un’alternativa comparabile.
Concludono le Linee guida con l’indicazione di criteri valutativi di massima:
4.1. Le attività e gli eventi. Per quanto riguarda le attività e gli eventi, i criteri per stabilire un confine tra aiuto e non aiuto possono essere due (anche alternativi): da un lato la gratuità o semigratuità (nel senso che il corrispettivo richiesto ai fruitori non copre che una parte limitata dei costi), dall’altro la dimensione del fenomeno e la capacità di richiamare un’utenza non di prossimità; quindi anche l’oggetto della mostra o la tipologia dell’evento. Può non essere irrilevante anche l’ubicazione, nel senso che, se la vicinanza ai confini non determina necessariamente il carattere internazionale dell’evento, la difficoltà (anche in termini di distanza) di raggiungere il luogo della manifestazione rende più probabile la sua connotazione come attività locale.
E lo spettacolo dal vivo?
4.2. Lo spettacolo dal vivo. Nel caso delle compagnie, intese in senso lato (teatro, lirica, orchestre, ecc.), oltre alla dimensione ed al livello tecnico del soggetto ed alla conseguente capacità di esprimersi in un contesto internazionale, sarà rilevante la tipologia di spettacolo offerto e l’importanza che può avere la lingua di espressione nella sua fruizione: se la lirica, la danza o lo spettacolo musicale (di musica classica o moderna) non conoscono barriere linguistiche, nel caso della prosa la lingua può essere di ostacolo alla transnazionalità”
È evidente che si tratta di indicazioni di massima da applicare con attenzione a ogni caso concreto, rinviando per ogni dubbio alla valutazione della Commissione Europea, cosa che nella realtà non accade.
Per il FUS la “autovalutazione” è sufficiente?
Invero, in sostanza, la posizione assunta dalle nostre istituzioni in materia è riconducibile a una “autovalutazione” e una “autoassoluzione”. Infatti la normativa dell’UE prevede che i casi di finanziamento pubblico alle imprese siano preventivamente comunicati alla Commissione per una valutazione ed eventuale autorizzazione: il giudizio, cioè lo deve dare la Commissione e non lo Stato membro.
Per il FUS questa autorizzazione preventiva non è stata mai chiesta e lo stesso d.m. 27/07/2017 dà per scontato che il sistema di finanziamento sia regolare, come si legge nel suo ultimo Visto: “Vista la Comunicazione della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato di cui all’art. 107, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (2016/C262/01) e le linee guida per il finanziamento delle attività dello spettacolo dal vivo nel rispetto della normativa europea in materia di aiuti di stato, redatte da un gruppo di lavoro composto tra la Direzione generale spettacolo e i coordinamenti tecnici in materia di aiuti di stato e beni e attività culturali”.
In realtà il problema andrebbe posto, perché un giorno o l’altro la questione potrebbe sorgere per intervento d’ufficio della Commissione o per denunzia di un’altra istituzione di altri Paesi, soprattutto in momenti post-crisi (pandemia, guerra, ecc.) allorché ci può essere una spasmodica ricerca di recupero e allargamento di quote di mercato da parte di tutti gli operatori europei.
Inoltre, non è proprio scontato che il finanziamento pubblico delle nostre imprese di spettacolo sia proprio ininfluente rispetto ai principi della concorrenza a livello paritario fra tutti gli Stati europei: basti pensare ai flussi turistici che attirano le nostre più famose istituzioni e le loro programmazioni di qualità (Scala, Regio Parma, Maggio Fiorentino, Verona…).
Riscontriamo anche interventi ad hoc aggiuntivi di finanziamento pubblico (in occasione di anniversari ed eventi particolari) che sono suscettibili di alterare l’equilibrio di mercato, non solo interno: si veda l’ultimo clamoroso esempio dell’erogazione di una notevole somma di danaro ad un teatro storico di Roma in occasione del centenario dalla sua fondazione[5].
L’erogazione è stata duramente contestata e impugnata da altri teatri italiani dinanzi alla Giustizia amministrativa che ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale, fra l’altro per possibile violazione anche dell’art. 41 Cost. e quindi della libertà di iniziativa economica privata, in quanto i teatri ricorrenti “agiscono sul medesimo mercato, in concorrenza tra loro, fornendo lo stesso tipo di servizio, non essendovi alcun elemento idoneo a connotare l’infungibilità o, comunque, peculiarità dell’offerta culturale del teatro…”, così che il sostegno economico fornito al Teatro dovrebbe qualificarsi come discriminatorio in quanto consente al beneficiario di coprire i costi e di adottare prezzi più competitivi, prescindendo peraltro dalle garanzie di imparzialità e di trasparenza proprie della ripartizione del FUS (Consiglio di Stato, Sezione Quarta, ordinanza n. 8191, depositata in data 21.12.2019).
Questa possibile discriminazione, peraltro, potrebbe ben essere prospettata in relazione a un bacino di utenza più ampio di quello strettamente nazionale (al di là del caso specifico che riguarda un teatro di prosa – per il quale ci sono i sottotitoli –, i musical e gli spettacoli musicali, eccetera) e non sappiamo se la Corte Costituzionale – la cui decisione non è stata ancora pubblicata, dopo l’udienza di discussione tenutasi il 22 aprile 2022 – si porrà il problema della possibile violazione dei principi europei e rimetterà la questione alla Corte di Giustizia, tenuto conto che “la giurisprudenza costituzionale è costante nell’affermare che la nozione di concorrenza di cui al secondo comma, lettera e), dell’art. 117 Cost. riflette quella operante in ambito comunitario” (Corte Cost. sent. n. 45 del 2010; sent. n. 325 del 2010; sent. n. 125 del 2014)[6].
Le “leggi-provvedimento”
Trattasi di legge-provvedimento, cioè di una legge avente a oggetto un destinatario specifico e un oggetto preciso[7].
Queste leggi non sono rare nel panorama artistico nazionale; si segnalano:
– la legge 15 dicembre 1990, n. 418, che ha disposto un finanziamento in favore della Fondazione Festival dei Due Mondi, come pure
– la legge 23 settembre 2011, n. 169, a sostegno dell’attività di ricerca storica, filologica e bibliografica sulla cultura latina del medioevo italiano europeo (grazie alla quale sono stati previsti finanziamenti alla Società internazionale per lo studio del medioevo latino, alla Fondazione Ezio Franceschini, all’Istituto storico italiano per il medioevo, al Centro di studi sull’alto medioevo, all’Edizione nazionale dei testi mediolatini d’Italia),
– la legge 20 dicembre 2012, n. 238 e successive modificazioni, che ha introdotto disposizioni per il sostegno e la valorizzazione dei festival musicali ed operistici italiani e delle orchestre giovanili italiane di assoluto prestigio internazionale, prevedendo finanziamenti in favore delle Fondazioni Rossini Opera Festival, Ravenna Manifestazioni, Festival Pucciniano di Viareggio, Festival Dei Due Mondi di Spoleto.
Si ricordano, altresì:
– il finanziamento assegnato dal decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, e successive modificazioni, alla Fondazione orchestra sinfonica e coro sinfonico di Milano G. Verdi, destinataria, altresì, di ulteriori finanziamenti ai sensi della legge 12 ottobre 2016, n. 196;
– i finanziamenti assegnati con legge 3 febbraio 2017, n. 17, per un contributo straordinario in favore della Fondazione Teatro Regio di Parma e della Fondazione Romaeuropa arte e cultura di Roma;
– il finanziamento assegnato con legge 20 dicembre 2017, n. 211, per un contributo straordinario in favore della Fondazione di partecipazione Umbria Jazz di Perugia;
– il finanziamento assegnato con legge 27 dicembre 2017, n. 205, per un contributo straordinario in favore della Fondazione Teatro Donizetti di Bergamo, confermato con la legge 27 dicembre 2019, n. 160;
– i finanziamenti assegnati con legge 27 dicembre 2019, n. 160, per un contributo straordinario, in favore del Comune di Pistoia, per la realizzazione del Pistoia Blues Festival, e alla Fondazione I Pomeriggi Musicali di Milano;
– il finanziamento assegnato con decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2017, n. 123, all’Accademia nazionale di Santa Cecilia.
È evidente che sono destinatarie di questi benefici economici aggiuntivi anche imprese che si occupano di produzione e allestimento di spettacoli musicali, quindi suscettibili di avere un mercato di utenza non limitato né ai confini regionali né a quelli nazionali (vedi Festival Verdi di Parma, Accademia di Santa Cecilia di Roma, Umbriajazz di Perugia, Festival dei Due Mondi di Spoleto, eccetera), con una potenzialità di lesione del principio dell’art. 107 TFUE molto alta.
Conclusione
In conclusione, bisogna porsi il problema del finanziamento pubblico delle attività di spettacolo dal vivo prima che si manifesti formalmente dinanzi all’Autorità Giudiziaria e, a tal fine, sarebbe bene chiedere la preventiva autorizzazione alla Commissione UE, sia per le singole erogazioni sia per il sistema FUS, senza attendere l’apertura di un possibile procedimento di infrazione. Questa procedura dovrebbe essere seguita sia dalle autorità statali che da quelle locali, atteso che i precetti europei sono vincolanti per tutti gli amministratori pubblici.
NOTE
[1] L’articolo è stato integrato dalla legge costituzionale 11/2/2022 n. 1 con l’aggiunta del seguente comma: “Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”; il comma 1, che interessa il settore cultura, è rimasto invariato.
[2] Con specifico riguardo al F.U.S., la Corte sottolinea “Occorre inoltre considerare la specificità della legislazione vigente in materia, ed in particolare quella che disciplina appunto il Fondo unico per lo spettacolo, di cui agli artt. 1 e seguenti della legge n. 163 del 1985: in tale normativa, infatti, viene configurato un fondo unico di finanziamento annuo a livello nazionale finalizzato al “sostegno finanziario ad enti, istituzioni, associazioni, organismi ed imprese operanti nei settori delle attività cinematografiche, musicali, di danza, teatrali, circensi e dello spettacolo viaggiante, nonché per la promozione ed il sostegno di manifestazioni ed iniziative di carattere e rilevanza nazionali da svolgere in Italia o all’estero” (art. 1), mentre gli artt. 2 e 13 della legge n. 163 del 1985 citata contengono addirittura una predeterminazione legislativa delle percentuali di riparto del fondo di finanziamento fra le diverse forme di spettacolo (musica e danza, cinematografia, teatro di prosa, spettacoli circensi e viaggianti).
… Conseguentemente, almeno per i profili per i quali occorra necessariamente una considerazione complessiva a livello nazionale dei fenomeni e delle iniziative … dovranno essere elaborate procedure che continuino a svilupparsi a livello nazionale, con l’attribuzione sostanziale di poteri deliberativi alle Regioni od eventualmente riservandole allo stesso Stato, seppur attraverso modalità caratterizzate dalla leale collaborazione con le Regioni.”
La Corte conclude invitando il Legislatore a riformare la disciplina della materia [“Peraltro, la necessità di continuare a dare attuazione, in considerazione della perdurante vigenza dell’attuale sistema disciplinato dalla legge n. 163 del 1985, alla erogazione annuale di contributi alle attività dello spettacolo (e quindi in una situazione di impellenti necessità finanziarie dei soggetti e delle istituzioni operanti nei diversi settori degli spettacoli), ha evidentemente indotto il legislatore ad adottare la disposizione impugnata, che non a caso appare esplicitamente temporanea, essendo stata approvata “in attesa che la legge di definizione dei principi fondamentali di cui all’art. 117 della Costituzione fissi i criteri e gli ambiti di competenza dello Stato”: a prescindere dalla imprecisa formulazione della norma, resta il fatto che le disposizioni della legge n. 163 del 1985 hanno iniziato ad essere modificate in conseguenza della trasformazione costituzionale intervenuta, quantomeno attraverso l’esplicito riconoscimento della provvisorietà di questa disciplina.
In considerazione di questa eccezionale situazione di integrazione della legge n. 163 del 1985, può trovare giustificazione la sua temporanea applicazione, mentre appare evidente che questo sistema normativo non potrà essere ulteriormente giustificabile in futuro.”].
[3] Con specifico riferimento ad attività di spettacolo e a soggetti che operano nel settore, la giurisprudenza ha dato applicazioni pratiche di quei principi generali, nel senso che, ad esempio, è legittima una regolamentazione per legge della messa in onda di trasmissioni televisive con limitazioni di orario e durata, sottolineando che tale regolamentazione (nella specie era l’art. 8, comma 9 bis, della legge n. 223/1990, emanata in attuazione della direttiva CEE n. 552 del 1989) “manifestamente non contrasta con gli art. 3 e 41 cost., posto che essa è frutto di una legittima scelta del legislatore che, preso atto di una disponibilità dell’etere non sufficiente a garantire un libero accesso nello stesso (e quindi della necessità di una pianificazione delle frequenze per la loro assegnazione in regime concessorio) ha inteso privilegiare le emittenti idonee a fornire trasmissioni prevalentemente a carattere informativo-culturale e di intrattenimento, sia in omaggio ai preminenti valori tutelati dall’art. 21 cost., sia in relazione all’utilità sociale di interventi attuativi della “disciplina del commercio”, nonché in vista di altri interessi imprenditoriali che una più permissiva disciplina avrebbe potuto pregiudicare.” (Cass. civ., Sez. I, 01/09/1997, n. 8313). In relazione all’attività della R.A.I., interessante è quanto statuito da una non recente sentenza della Pretura di Roma 8/6/1990 (in Giur. Costit. 1990): “La Rai è un’impresa che produce informazioni, spettacoli, cultura a beneficio degli utenti: a salvaguardia dell’autonomo operare di tale impresa, non si erge soltanto il precetto posto dall’art. 41 cost. ma anche, e specialmente, la previsione di cui agli art. 9, 21 e 33 carta costituzionale, sì da far ritenere impensabile che uno o mille utenti possano pretendere in sede giudiziaria una certa « quantità » di notizie o una certa « qualità » di produzione artistica.”
[4] La Corte Costituzionale, con sentenza 5/4/2012 n. 80, ha dichiarato illegittimi alcuni articoli del d.lgs. 79/2011 perché “… ponendo le condizioni per l’intervento legislativo dello Stato nella stessa materia, incide sull’assetto dei rapporti tra Stato e Regioni nella materia di turismo … e pur nell’intenzione di adeguare la normativa ai princìpi stabiliti nella giurisprudenza costituzionale, non vi è manifestazione di volontà in tal senso del legislatore delegante nella legge 28 novembre 2005, n. 246, preordinata al coordinamento formale ed alla ricomposizione logico-sistematica di settori omogenei di legislazione statale, mediante la creazione di testi normativi coordinati, tendenzialmente comprensivi di tutte le disposizioni statali per ciascun settore, snelli e facilmente consultabili, con assorbimento degli ulteriori profili.” e perché “accentra in capo allo Stato compiti e funzioni che l’art. 1 dell’«accordo tra lo Stato e le regioni e province autonome sui princìpi per l’armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico, ai fini dell’adozione del provvedimento attuativo dell’art. 2, comma 4, della legge 29 marzo 2001, n. 135» – recepito come allegato al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 settembre 2002 – aveva attribuito alle Regioni e alle Province autonome: la disposizione attiene ai rapporti tra Stato e Regioni in materia di turismo e realizza un accentramento di funzioni, che, sulla base della natura residuale della competenza legislativa regionale, spettano in via ordinaria alle Regioni … eccedendo la delega contenuta nella legge 28 novembre 2005, n. 246…”.
[5] Questa legge ad personam così dispone: “[i]n favore del teatro di rilevante interesse culturale “Teatro …”, per spese ordinarie e straordinarie, al fine di garantire la continuità delle sue attività in occasione del centenario della sua fondazione è autorizzata la spesa di 4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018. Al relativo onere si provvede, quanto a 2 milioni di euro per l’anno 2017, mediante versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una corrispondente quota delle risorse di cui all’articolo 24, comma 1, della legge 12 novembre 2011, n. 183, che restano acquisite all’erario, e, quanto a 2 milioni di euro per l’anno 2017 e a 4 milioni di euro per l’anno 2018, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307” [art. 22, comma 8 del D.l. n. 50 del 24.04.2017, “Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo”.
[6] La violazione dell’art. 107 TFUE era stata formalmente eccepita dai Teatri ricorrenti e considerata probabile dal Consiglio di Stato, atteso che “…anche alla luce delle norme europee – al pari del teatro beneficiario le società ricorrenti siano imprese che agiscono sul medesimo mercato, in concorrenza tra loro, fornendo lo stesso tipo di servizio, non essendovi alcun elemento idoneo a connotare l’infungibilità o, comunque, peculiarità dell’offerta culturale del teatro …. Il sostegno economico fornito in modo discriminatorio dallo Stato conferisce all’impresa che ne beneficia la possibilità di coprire i costi e di adottare prezzi più competitivi. Poiché il finanziamento concesso prescinde dalle garanzie di imparzialità e di trasparenza proprie della ripartizione del FUS, esso determina un’alterazione del meccanismo concorrenziale attraverso il quale vengono ordinariamente assegnati i finanziamenti alle imprese teatrali, attribuendo al soggetto beneficiario una ingiustificata posizione di vantaggio”.
[7] Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, si definiscono leggi–provvedimento “le leggi che «contengono disposizioni dirette a destinatari determinati” (sentenze n. 154 del 2013, n. 137 del 2009 e n. 2 del 1997), ovvero “incidono su un numero determinato e limitato di destinatari” (sentenza n. 94 del 2009), che hanno “contenuto particolare e concreto” (sentenze n. 20 del 2012, n. 270 del 2010, n. 137 del 2009, n. 241 del 2008, n. 267 del 2007 e n. 2 del 1997), “anche in quanto ispirate da particolari esigenze” (sentenze n. 270 del 2010 e n. 429 del 2009), e che determinano il trasferimento “della disciplina di oggetti o materie normalmente affidati all’autorità amministrativa” sul piano del potere legislativo (sentenze n.94 del 2009 e n. 241 del 2008)” (così Corte cost., sentenza n. 275 del 2013; sent. n. 64 del 1° aprile 2014).
Il video della giornata del 2 maggio 2022