Riflessione #2 | Quando il cacciatore ha paura del lupo cattivo
Seconda puntata sul tema Il teatro, i bambini, le comunità e la sfida del digitale in occasione di Lily e Adam, la webserie teatrale per bambini e webcam di Karakorum Teatro
In questi ultimi due anni, si è molto dibattuto sul valore dei luoghi. Chiusi in casa, lontano da amici e parenti, abbiamo riscoperto l’importanza di una macchinetta del caffè, della banchina di una stazione o di una pizzeria nelle nostre vite quotidiane.
Chi non è d’accordo, scagli la prima pietra (o il primo commento sui social).
Eppure, con la delusione negli occhi, dopo settimane di sale e pugni chiusi, gli operatori del settore teatrale hanno avuto la percezione chiara che del luogo teatro sembri non importare niente a nessuno, o quasi.
Alla fine si è riaperto, le sale tornano a riempirsi e le domande sul senso del nostro lavoro sono state rimandate in fondo alla pancia, accompagnate dalla solita pizza post-spettacolo.
I teatri non sembrano essere in pericolo, insomma. Possiamo tornare a dormire sonni tranquilli (nonostante le farcitissime pizze post-spettacolo).
“Le sale sono aperte, possiamo spegnere le televisioni e mettere in stand-by smartphone e tablet.”
Non sono in pochi a pensarla così, sia tra gli artisti sia tra gli spettatori.
Nonostante tutto, con Karakorum Teatro, abbiamo da poco cominciato una nuova stagione della webserie teatrale per bambini e webcam, Lily e Adam, progetto nato proprio durante il primo lockdown (guarda il primo articolo qui).
Giunti al terzo episodio della nuova serie (in totale siamo arrivati a 24), i partecipanti al progetto si attestano intorno alle 60/70 famiglie a puntata. Con una avvertenza: tra le famiglie connesse, la percentuale del pubblico teatrale non è alta. Sembra che il progetto riesca ad agganciare con più efficacia quel pubblico che sta in mezzo, tra il pubblico fedelissimo alle sale di teatro per ragazzi e quello disperso nell’oceano del cosiddetto “web spazzatura”. Aspettiamo però i dati in uscita per tirare le fila su questo punto.
A oggi non sono pochi i genitori intercettati che, seppur incuriositi dai contenuti della proposta, preferiscono non aderire al progetto per un generalizzato rifiuto dello schermo.
Questo fatto mi interroga molto e la domanda sul valore dei nostri spazi è riemersa prepotente nella mia pancia.
Qual è il valore imprescindibile di un teatro?
Ha senso difendere il luogo-teatro come contenitore dei cosiddetti “contenuti di qualità” se, come la nostra quotidianità (fatta di podcast, serie tv, ebook) dimostra, non può assolutamente più vantare questo monopolio?
Ha davvero senso arroccarsi su posizioni polarizzate tra digitale e analogico o, altrimenti detta, tra schermo e platea?
Può il digitale frantumare il solido ruolo dei teatri quali unici spazi per la socialità colta?
Lo schermo è davvero il lupo cattivo?
Affogati nel mare dei C1 e dei parametri ministeriali, molti teatranti non hanno tempo di porsi anche questa domanda. E le istituzioni sembrano a rispondere a tutti questi interrogativi con un sonoro “Sì, ha senso così”.
Eppure il fatto che i bambini, oggi, imparino prima a far scorrere una schermata che a girare una pagina, che tablet e smartphone siano tra le alternative più efficaci per contenere la tracotanza dei più piccoli quando i genitori davvero non ce la fanno più a dar loro attenzione, mi rendono inquieto.
I bambini sono d’accordo con noi nel definire gli schermi il lupo cattivo?
E cosa ne pensano quelli che hanno passato più di metà della loro vita con le sale chiuse per la pandemia?
E quelli che un teatro lo possono raggiungere solo facendo qualche decina di chilometri in macchina?
Mi domando se questa identificazione “schermo = lupo” non sia una percezione di noi adulti, e se la stessa non derivi più dalla sensazione che non ci siano abbastanza cacciatori in giro, altri adulti con abbastanza spudorata incoscienza per aprire un ventre selvaggio a mani nude per vedere se lì dentro ci sia qualche bambino fagocitato e senza punti di riferimento.
La polarizzazione tra amici e nemici del digitale è difficile da superare, ma credo che delegare l’esplorazione del mezzo ai soli portatori di interesse commerciale (senza dimenticare che il metaverso rende attuale la distopia narrata 23 anni fa da Matrix) sia pericoloso, in primis per i nostri onerosissimi, blindatissimi ed esclusivissimi teatri.
Se i teatri fossero veramente in grado di andare oltre a questa dicotomica divisione del mondo, se diventassero spazi in cui si possa sia valorizzare la dimensione comune dello stare insieme (cosa che non fa quasi più nessuno) sia sperimentare modi efficaci per abitare il digitale con contenuti alti, prodotti efficaci, capaci di fare socialità e di creare nuovi legami di comunità, forse, sarebbero davvero spazi unici e inattaccabili.
E se fossimo noi i cacciatori che hanno paura del lupo cattivo?
Ecco intanto il secondo video. Sintesi: come vedete i bambini stanno imparando a difendersi da soli.
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