Per una nuova stagione nel campo del decentramento culturale
Dossier Stato e Regioni nella promozione dello spettacolo dal vivo [5]
La lettera dell'Assessore alla Cultura dell'Emilia-Romagna
Qui di seguito la lettera dell’Assessore alla Cultura della Regione Emilia-Romagna Mauro Felicori a Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino per il pomeriggio di studio Stato e Regioni nella promozione dello spettacolo dal vivo (Bologna, 7 febbraio 2022) a cura della Associazione Culturale Ateatro ETS.
IL LINK: Il dossier Stato-Regioni 2022.
Cara Mimma, caro Oliviero,
la coincidenza con la seduta della Giunta regionale mi impedisce di prendere parte al vostro seminario, dove peraltro la Regione Emilia-Romagna è rappresentata al meglio da Gianni Cottafavi.
Il tema che avete proposto e l’autorevolezza della vostra associazione mi inducono però a scrivervi per aggiungere, a quanto Gianni illustrerà, un punto di vista politicamente più impegnativo.
Ritengo che dobbiamo aprire una nuova stagione del decentramento in campo culturale, condizione necessaria perché le Regioni possano adottare vere politiche del teatro e dello spettacolo dal vivo.
Come ricorderete, una modifica del 2001 della Costituzione ha stabilito che lo spettacolo rientra a pieno titolo tra le materie a competenza concorrente, cioè quelle nelle quali lo Stato detta i principi fondamentali cui attenersi, mentre “il potere regolamentare spetta alle Regioni”. Su queste materie, quindi, lo Stato non dovrebbe né potrebbe neppure gestire la spesa, salvo che in ambiti o settori circoscritti non risulti evidente l’inadeguatezza del livello regionale.
La Corte costituzionale ha quindi più volte, tra il 2002 e il 2005, dichiarato illegittimi i decreti ministeriali che gestivano il FUS, ma li ha poi “salvati” imponendo l’intesa obbligatoria con le Regioni per la loro validità, in attesa di una legge che dettasse i principi fondamentali. Tale legge non è mai stata adottata né si è mai fatto un serio tentativo per redigerla. La gestione statale delle fondazioni lirico-sinfoniche è stata invece sancita nel 2010 dalla Corte Costituzionale, che ha stabilito che nel loro caso non fosse prevalente la
materia dello spettacolo bensì quella dell’ordinamento civile dello Stato e di educazione, di competenza esclusiva statale.
Il Governo e il Parlamento, nonostante la riforma “federalista” della Costituzione, hanno operato di fatto sempre come se, in realtà, nel 2001 nulla fosse successo e lo Stato mantenesse competenze esclusive sullo spettacolo. Il sottinteso era che la riforma del 2001 fosse sbagliata, che lo Stato dovesse mantenere piena competenza, in attesa di una controriforma centralista della Costituzione. Sottointeso anche di qualche parte politica che aveva votato la riforma evidentemente, almeno in parte, controvoglia. Stessa tensione irrisolta fra centralismo e decentramento appaiono anche nel sindacalismo di settore – AGIS – e nelle autonomie locali: ANCI.
Il risultato combinato di neo-centralismo e incertezze varie è che si è andati addirittura nella direzione opposta, quando nel 2015 il Parlamento ha ripristinato il finanziamento statale diretto alle bande musicali, ai cori, ai carnevali, ai festival jazz, per i quali il livello statale non appare certo il livello di gestione amministrativa più adeguato.
Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna nel 2017/2018 (l’ultima stagione di discussione sul tema) hanno chiesto fosse attuato l’art. 116 della Costituzione, che prevede la possibilità per le Regioni – con legge dello Stato – di ottenere “ulteriori forme e condizioni di autonomia” rispetto a quelle stabilite dall’art. 117, compresi i beni culturali, a competenza esclusiva. Il che, per lo spettacolo, aumenta la tensione, visto che di fatto si chiedono forme ulteriori di autonomia rispetto a quelle palesemente già assicurate alle Regioni dalla Costituzione – come detto – ma altrettanto evidentemente mai riconosciute da Governo e parlamento.
I risultati di questi conflitti irrisolti sono una notevole confusione fra i livelli istituzionali e un sincretismo, un eclettismo delle soluzioni, che genera esso stesso incertezza. Ne sono esempio le norme sui Teatri Nazionali, che non sono tali se Regione e Comune non mettono almeno tante risorse quante ne mette lo Stato; uno schema illogico, poiché si pone in capo ai comuni e alle regioni la responsabilità su cosa può o non può divenire “nazionale”: lo Stato fa dipendere l’ampiezza e le caratteristiche del sistema nazionale del teatro e della danza da scelte locali, mentre il Ministero finanzia indifferentemente progetti internazionali, nazionali e locali senza nessun rapporto con gli altri livelli di governo, se non con l’inserimento nelle commissioni di valutazione del FUS di rappresentanti delle regioni, delle province (che peraltro non hanno più competenza in materia culturale) e dei comuni.
La legge delega in discussione al Parlamento, ovviamente, non risolve né propone soluzioni avanzate nel rapporto fra Stato e regioni: si limita a dire che i decreti del Governo che regoleranno la spesa del FUS saranno adottati d’intesa con la Conferenza Unificata (Regioni Province e Comuni) e “non avranno valore regolamentare” come se il nomen iuris potesse evitare l’evidente contrasto con la Costituzione: una palese excusatio non petita.
In ultima analisi: noi siamo pronti a riprendere la battaglia regionalista, che include ovviamente l’autonomia impositiva, ma non vorremmo offrire una nobile ma debole testimonianza. Per evitare questo rischio, è importante acquisire l’orientamento del mondo del teatro, qui autorevolmente rappresentato. Per questo seguiremo con attenzione questo seminario, confidando siano assunte posizioni nitide, capaci di aprire una stagione nuova.
Grazie dell’attenzione
Mauro Felicori, Assessore alla Cultura dell’Emilia-Romagna
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