Se l’intelligenza artificiale promette felicità e vita eterna
Girl in the Machine di Stef Smith in scena al Belli Trend
«Vuoi vivere per sempre?»
Non è esattamente la domanda che ci aspetteremmo di ricevere da Siri o Alexa, eppure è quella che ci pone la misteriosa IA in Girl in the machine. Lo spettacolo è andato in scena dal 9 al 14 novembre 2021 nell’ambito di Trend – nuove frontiere della scena britannica al Teatro Belli di Roma, rassegna annuale a cura di Rodolfo Di Gianmarco arrivata alla sua ventesima edizione.
L’opera è di Stef Smith, autrice pluripremiata originaria della Scozia. Il suo spettacolo Roadkill le è valso l’Olivier for Outstanding Achievement nel 2012 – ed è uno dei quattordici testi in scena dal 22 ottobre al 20 dicembre 2021. Nella rassegna troviamo testi di Caryl Churchill, Alexander Zeldin, Alan Bennett, Martin Crimp, Joe Penhall, Mike Bartlett, Anthony Neilson, Stephen Beresford, Sabrina Mahfouz e molti altri. È esplicita l’attenzione della rassegna per temi di attualità stringenti come la preoccupazione per il cambiamento climatico, la fusione tra la vita reale e virtuale, le problematiche relazionali sollevate dalla pandemia e le questioni di genere e identitarie.
Girl in the machine, per la regia di Maurizio Mario Pepe, vede sul palco Edoardo Purgatori e Liliana Fiorelli: lei, Polly, una avvocata iperconnessa, e lui, Owen, infermiere dai turni massacranti, convivono in un appartamento dall’aspetto comune. È in questa coppia che si insinua, quasi per caso, la “black box”, l’ultimo ritrovato in fatto di accessori smart per la casa di questo futuro fin troppo vicino. Funzione principale di questo nuovo assistente è rilassare chi ci si collega abbassando i suoi “livelli di stress”. Su un fondale che diventa mano mano sempre più un enorme LED RGB, ciò che inizia come un gioco per Polly si trasforma in breve in una necessità e poi in una vera dipendenza. Le sue connessioni sempre più lunghe e frequenti alla macchina, che la proietta in una sorta di infinito spazio vuoto che anestitizza ogni dolore e le ansie, distorcono il suo senso del reale e la portano alla distruzione dei suoi rapporti umani, finché non diventa troppo tardi per tornare indietro. Non è più sufficiente smettere di usare la macchina, spaccarla fisicamente o cancellare l’account, perché essa è ovunque, il suo software è parte del sistema stesso che regola la società e promette l’eternità.
Il testo, profondamente distopico, pone l’accento sull’intrusività della domotica smart: apparecchi con funzioni analoghe di rilassamento – le cosiddette smart headbands – già esistono. Viene da chiedersi quale sia il confine tra l’autentica cura personale e l’ossessione moderna per il wellness, che invece sembra richiedere l’annullamento del sé. Altro punto cruciale è la riflessione sul “diritto all’oblio” e le battaglie per la privacy dei dati in campo digitale.
Quanto questi oggetti dall’aria innocua “sanno” su di noi? Che i controlli che abbiamo realmente sulle traccie che lasciamo attraversando il mondo virtuale sia limitato è un dato di fatto: ed è così che la storia personale della coppia di Girl in the machine diviene presto la storia dell’intera società.
Lo spettacolo, non sempre perfetto nel ritmo e forse colmo di una eccessiva varietà di temi, presenta sicuramente molti spunti di riflessione, generando insieme inquietudine e consapevolezza.
GIRL IN THE MACHINE
di Stef Smith
regia Maurizio Mario Pepe
con Liliana Fiorelli e Edoardo Purgatori
voce Black Box Patrizia Salmoiraghi
supervisione movimento Jacqueline Bulnes
scenografo Nicola Civinini
sound design Lorenzo Benassi
foto di scena Manuela Giusto
traduzione Maurizio Mario Pepe
produzione Khora Teatro / La Forma dell’Acqua