Tra le parole e le cose: antiche e nuove drammaturgie per il teatro di figura
Il progetto Puppet Plays e il convegno internazionale L’écriture littéraire pour marionnettes en Europe de l’Ouest (17e-21e siècles) / Literary writing for puppets and marionettes in Western Europe (17th–21st centuries)
Il progetto Puppet Plays
Puppet Plays si è dato una missione ambiziosa: mappare la drammaturgia per il teatro di figura nell’Europa Occidentale dal XVII secolo a oggi. E’ un territorio poco conosciuto, come spiega Didier Plassard, ideatore e animatore del progetto: si tratta di “testi sfuggiti alle fiamme, spesso scomparsi, illegittimi, dimenticati. Quando si tratta di autori importanti, le pièces per marionette vengono in genere espunte dalle opere complete, o accolte con ritardo e diffidenza, come nel caso di Lewis Carroll”.
Il convegno internazionale L’écriture littéraire pour marionnettes en Europe de l’Ouest (17e-21e siècles) / Literary writing for puppets and marionettes in Western Europe (17th–21st centuries), che si è tenuto a Montpellier tra il 14 e il 16 ottobre 2021 all’Université Paul Valéry (il programma del convegno), è un primo tentativo di definire un genere letterario finora gravato da disinteresse, pregiudizi e diffidenze. La prossima tappa sarà la realizzazione di un portale che raccolga, ordini e renda disponibile la drammaturgia per marionette, sia con schede informative sia con la pubblicazione di alcuni testi sia con traduzioni.
Il teatro di figura tra tradizione e sperimentazione
Negli ultimi anni il teatro di figura ha avuto uno straordinario sviluppo creativo, integrando la tradizione con espressività inedite. Le forme ereditate dal passato (marionette a fili e burattini, pupi e pupazzi, marotte, teatro d’ombre…) si sono rinnovate e contaminate, anche utilizzando materiali inconsueti. Il teatro d’oggetti ha avuto una sorprendente evoluzione. Questo continuo processo di sperimentazione ha trasformato e arricchito anche le strutture narrative. Sono sempre più numerosi gli spettacoli di figura concepiti per un pubblico adulto, in Europa e sempre più anche in Italia.
Oltre all’ampiezza del territorio e alla volatilità dei materiali, i problemi che deve affrontare Puppet Plays sono diversi. Il progetto mette in relazione la letteratura, e la sua nobile dinastia di capolavori, con una forma d’arte considerata “minore”: un intrattenimento popolare, effimero, spesso associato all’improvvisazione e confinato all’universo infantile. In quest’ottica, la drammaturgia per marionette e burattini sarebbe il frutto dell’unione contro natura tra cultura “alta” e cultura “bassa”.
C’è dunque il rischio di “sporcare” il canone accademico con sottoprodotti volgari, superficiali, destinati a un pubblico ingenuo; ma si correrebbe anche il rischio opposto, ovvero ingabbiare in schemi che le sono estranei la vitalità di una forma che affonda le proprie radici in antiche ritualità e nelle culture popolari. Il problema riemerge non appena si provano a tracciare le “regole” (o i trucchi) per un’efficace scrittura per marionette: se non capiscono il medium, gli scrittori per il teatro producono testi che non sono adatti ai marionettisti, infarciti di battute troppo lunghe e complicate.
Come ironico biglietto da visita di questa tre giorni, Plassard ha riesumato Polichinelle Demandant une Place dans l’Académie, una farsa per marionette pubblicata 1704 da Nicolas de Malèzieu (1650-1727) e portata in scena dalle marionette di Brioché: opera di un letterato, è un esercizio di stile nella maniera del théâtre de la foire, con il suo umorismo volgare e l’attacco alla cultura “alta”, ma è stata recitata a corte.
In realtà il rapporto tra la letteratura e le marionette è assai stratificato, aggiunge Plassard: “Per i romantici era la riscoperta di forme teatrali popolari. I simbolisti usavano la geometria dei fantocci e la rigidità del cadavere per esplorare il confine tra vita e morte. Per le avanguardie la marionetta significa metamorfosi, macchina, materia inerte e organismo vivente, e consente di superare la dicotomia tra personaggio e scenografia.”
Oltre i cliché
Il primo passo è dunque riscattare marionette e burattini dai cliché, come ha fatto Françoise Rubellin a proposito del teatro per marionette parigino della prima metà dell’Ottocento. A differenza di quello che si pensa, non veniva allestito all’aperto usando le classiche baracche dei burattini di strada, ma in sale chiuse spesso piuttosto ampie. Non era destinato ai bambini: divertiva sia i popolani sia le dame dell’aristocrazia. Era perfettamente integrato nel sistema teatrale cittadino: era nato quando il monopolio conquistato dalla Comédie Française aveva imposto la chiusura di tutti i teatri con attori in carne e ossa. Gli impresari dei teatri di marionette parigini commissionavano i testi a scrittori professionisti come Denis Carolet, Adrien Joseph de Valois d’Orville e Louis Fuzelier, che facevano concorrenza alle produzioni “ufficiali”, in forma più o meno parodistica.
Si tratta anche di delimitare un territorio che rischia di diventare troppo vasto. Il teatro di figura utilizza oggetti molto diversi manipolati in maniera diversa, in contesti diversi: si apre dunque un grande ventaglio di possibilità. Tanto più che la mappatura rischia di invadere territori di confine, spesso affascinanti. Per esempio:
# la mise-en-abîme del teatro di marionette all’interno di uno spettacolo teatrale con attori-personaggio;
# la “marionettizzazione” degli attori (basti pensare ad alcune delle più celebri gag di Totò);
# l’uso di marionette, manichini, pupazzi all’interno di spettacoli teatrali (come i manichini della Classe morta di Tadeusz Kantor).
Tuttavia l’obiettivo principale è chiaro: gettare le basi di un possibile repertorio per il teatro di figura. La mappatura di questo “teatro per chi non poteva andare a teatro” condotta nei tre giorni del convegno è rimasta all’interno di questo perimetro, con trenta relazioni che hanno approfondito altrettanti aspetti, pur senza avere alcun obiettivo di completezza.
Piccole marionette, grandi autori
Così è sfilata una galleria di decine e decine di autori, marionettisti, impresari, registi (in grande maggioranza maschi, anche se di recente la quota di autrici e registe è decisamente aumentata).
Se è necessario dare una patente di nobiltà al genere, sono diversi gli scrittori e i drammaturghi che hanno ceduto al fascino della marionetta. Tra i casi esemplari esplorati a Montpellier:
# Henry Fielding (1707-1754), che a causa della censura passò dal successo con i suoi spettacoli di marionette nei teatri del West End al romanzo (ma continuò a organizzare a casa sua – e dunque come eventi privati che la censura non poteva fermare – gli apprezzati Breakfasts with Marionettes);
# George Sand (1804-1876) e suo figlio Maurice (1823-1889), che nella loro dimora di Nohant allestirono sia un teatro “dei grandi attori”, sia il “piccolo teatro” delle marionette;
# Arrigo Boito (1842-1918), autore di Basi e bote (1881), copione in lingua veneziana per marionette che riscopre la Commedia dell’Arte, dove Colombina governa il suo innamorato Arlecchino come una marionetta (ricorrendo al teatro nel teatro);
# Giuseppe Giacosa (1847–1906), che nel 1883 affido la sua “Scena filosofico-morale per marionette” Il filo all’interpretazione della giovane Eleonora Duse, nei panni della marionetta protagonista;
# Robert Louis Stevenson (1850-1894), che da bambino si era appassionato – come Chesterton – ai teatri di carta da allestire in casa, come raccontò in un articolo nel 1884 per “The Magazine of Art”, A Penny Plain and Twopence Coloured;
# Massimo Bontempelli (1878-1960), autore della “farsa in prosa e in musica” Siepe a nordovest, a cui collaborò Giorgio De Chirico con i manichini ciechi e veggenti che popolano i suoi quadri metafisici;
# naturalmente Federico García Lorca, che nei burattini trovò il modello per un teatro non psicologico;
# Tankred Dorst (1925-2017), che prima di diventare uno dei più importanti drammaturghi tedeschi aveva iniziato la carriera in un teatrino di marionette studentesco e alle marionette sarebbe poi tornato con Aucassin et Nicolette (1953 e 1964); è sua una delle frasi che meglio condensa la necessità della marionetta: “Non puoi rappresentare un uomo, l’essenza di un uomo, utilizzando come medium l’uomo”;
# lo spagnolo Francisco Nieva (1927-2016), noto e apprezzato scenografo, autore di una pièce per marionette corredata di illustrazioni che consentono di ricostruire la sua idea del teatro e dell’attore.
In un panorama quasi tutto al maschile, sarebbe opportuno verificare la “quota rosa” in questo settore anche nel passato (e anche rispetto ad altri ambiti dello spettacolo). A Montpellier è emersa la figura della scrittrice e poetessa portoghese Regina Guimarães (1957), autrice di numerosi testi per il Teatro de Ferro, con sede a Porto. Certamente in questi anni la presenza femminile è cresciuta, come dimostrano diverse presenze a Montpellier; tra loro Catherine Zambon, autrice del testo E riapparvero gli animali che l’anno scorso ha ispirato lo spettacolo delle Ariette. Anche Kossi Efoui (1962), romanziere e drammaturgo esule in Francia dal Togo, ha all’attivo una lunga collaborazione con una compagnia di teatro di figura, il Théâtre Inutile di Amiens.
Nel caso degli scrittori che hanno scritto per il teatro di marionette, viene da chiedersi quanto di teatrale – e più specificamente di “burattinesco” – ci sia nelle loro opere, e quanto la capacità romanzesca di questi autori abbia dato spessore ai loro copioni per marionette.
Le età dell’oro del teatro di marionette
A fare la storia del teatro di figura, anche in dialettica con il mondo della cultura “alta”, sono stati a volte personaggi dimenticati o poco noti fuori dal loro ambito linguistico.
In Francia, per esempio, Louis Lemercier de Neuville (1830-1918) portava le sue caricature di personaggi celebri nei salotti parigini; Louis Edmond Duranty (1833-1880), amico di Courbet e Daumier, lanciò con successo il suo teatro delle marionette nel giardino delle Tuileries.
Il toscano Giovanni Battista Zannoni, archeologo e ed erudito, scriveva testi per marionette nel vernacolo della sua città: rappresentati anonimi, perché non era dignitoso che il segretario dell’Accademia della Crusca, nonché “regio antiquario” della Galleria degli Uffizi, desse voce alla plebe.
Nei paesi di lingua tedesca, un punto di riferimento resta Franz von Pocci (1807-1876), alto funzionario della corte bavarese, che per il marionettista Josef Leonhard Schmid reinventò la maschera di Kasperl: ubriacone, fannullone e volgare, prototipo di antipedagogia e proprio per questo amatissimo dai bambini.
Figure come queste, geniali ed eccentriche, spesso identificano le stagioni più interessanti per il teatro di figura, in luoghi ed epoche diverse. Nel corso dell’incontro di Montpellier ne sono emerse alcune, in particolare:
# la Germania a cavallo tra Sette e Ottocento, con il burattinaio Johann Georg Geisselbrecht (1762-1826) amico di molti grandi scrittori romantici;
# naturalmente il théâtre de la foire parigino, nella prima metà dell’Ottocento;
# la DDR del dopoguerra, dopo il successo della tournée della troupe di Sergej Obraszov e del Teatro Centrale di Stato dei Fantocci di Mosca, venne rilanciato con il forte sostegno dello Stato nell’ottica del realismo socialista e con contenuti fortemente ideologici, per promuovere la pace nel mondo e lo sviluppo del socialismo.
# la Svizzera degli anni Venti e Trenta del Novecento, con lo sperimentalismo dello Schweizerisches Marionettentheater, attivo tra il 1918 e il 1936, che rivisitava classici come i testi di Pocci e il Faust o le opere di Mozart o Donizetti, ma anche testi di autori contemporanei, chiamando la scenografa Sophie Taeuber-Arp per rivisitare Re Cervo di Gozzi nella versione dadaista di René Morax e Werner Wolf.
Oggi una notevole vitalità caratterizza la regione di Valencia, in Spagna, anche se confinata in ambito locale.
Scrivere per le marionette
Fermo restando che non esistono regole per scrivere bene – e questo vale per qualunque genere – i drammaturghi hanno l’opportunità di sfruttare e valorizzare le specificità del teatro di figura.
Per Joseph Danan, drammaturgo, poeta e saggista, con la marionetta entra in scena l’oggetto. Il teatro rappresenta l’umano attraverso l’umano, mentre la marionetta rappresenta l’umano attraverso il non umano, e consente di portare in scena l’irrappresentabile, l’insostenibile: nel caso del suo Sur la terre moins qu’en ciel (2016), da un lato il neonato al centro della vicenda e dall’altro i suoi nonni, che sono morti e convivono invisibili nello spesso spazio. In questo modo il teatro può interrogare il non umano, ovvero i limiti dell’umano, liberando la potenza del fantasma.
La regista Bérangère Vantusso, che ha portato in scena con la compagnia Trois-6ix-trente tra l’altro Robert Walser, Bertolt Brecht, Jon Fosse, si è focalizzata sugli elementi che la hanno spinto a portare in scena un testo:
# molteplici dualità, che si riflettono anche nella relazione, spesso instabile, tra uomo e marionetta (determinando tra l’altro la dimensione della marionetta e il numero di attori che la manipolano);
# il corpo come oggetto, che impone di tener conto della nostra finitudine (e della morte);
# la scena come laboratorio dell’umano (che apre alla possibilità del metateatro);
# l’irruzione del fantastico, che consente di superare la realtà ed esplorare la molteplicità dei possibili.
Piccola filosofia burattina
Quella tracciata a Montpellier è una mappatura per certi versi rapsodica, inevitabilmente parziale, che tuttavia disegna diverse linee di ricerca, valide anche per lo scenario italiano.
Da sempre la semplice presenza di una marionetta sulla scena pone problemi di ordine filosofico, mettendo in discussione i fondamenti del teatro e della realtà:
# mette in discussione il confine tra animato e inanimato, vita e morte;
# mette in discussione in confine tra realtà e rappresentazione (con diversi “livelli di realtà” e diversi “livelli di animazione”);
# spinge alla reinvenzione dello spazio scenico come maschera: G.K. Chesterton, a proposito dei teatrini di carta (per lui “the best game in the world”) che amava allestire per i vicini. diceva che gli permettevano “di rappresentare idee molto grandi in spazi molto piccoli”.
Oggi alcune caratteristiche della scrittura per marionette che abbiamo ereditato dal passato appaiono moderne e attuali:
# la brevità, il ritmo, la velocità (le virtù dei TikTokers);
# una grande libertà formale, l’apertura alla fantasia, il superamento del realismo e della psicologia;
# l’intertestualità e la intermedialità (a cominciare da quella tra teatro-teatro e teatro di figura) e la pratica della rimediazione (re-mediation);
# la serialità.
Dal passato arriva la consapevolezza che il teatro di figura offre straordinari spazi di libertà: sono fin troppo numerosi, nel corso della storia, gli episodi di censura contro marionette e burattini, ma sono altrettanto numerose le occasioni in cui proprio grazie a loro è stato possibile aggirare i divieti dei censori.
Un utile suggerimento arriva dai principi seguiti da Tankred Dorst quando scriveva per le marionette, rifiutando la dimensione psicologica: introdurre il narratore (e quindi epicizzare il racconto); una struttura frammentaria (che consente ad attori e scenografi di intervenire nel processo creativo); la possibilità di scrivere fiabe moderne.
Aggiunge interesse al moderno teatro di figura la compresenza sulla scena di attore e marionetta, umano e non umano, essere vivente e oggetto inanimato, che caratterizza molte esperienze recenti. E’ una dialettica che spesso sfocia nel teatri nel teatro, quando la marionetta – oggetto inanimato in tutto e per tutto sottoposto alla volontà di chi la anima – si ribella e pretende la propria libertà, come accade nel Macbeth all’improvviso (2002) di Gigio Brunello e Gyula Molnár.
Proprio a partire da questa compresenza negli ultimi decenni il teatro si è nutrito in una dialettica che l’ha arricchito e illuminato, allargandone gli orizzonti poetici. Basti pensare alle parate dei giganteschi pupazzi del Bread & Puppet, ai manichini nel “teatro della morte” di Tadeusz Kantor, al “terzo braccio” di Stelarc, al “teatro senza attori” di Heiner Goebbels, alla reinvenzione del teatro d’ombre da parte di William Kentridge e Kara Walker, alle centinaia di figurine dispiegate sulla scena di Agrupación Señor Serrano, gli androidi utilizzati da Hiroshi Hirata e dai Rimini Protokoll, l’emozionante incontro tra Virgilio Sieni, Mimmo Cuticchio e il suo pupo.
Sono esperienze che in molti casi non rientrano strettamente nel genere del “teatro di figura”, ma che ne condividono le intuizioni, le visioni e le interrogazioni, che allargano l’orizzonte dei teatri possibili. Così come il rapporto corpo-maschera-scena ispira una rifondazione organica del dispositivo teatrale sia nelle poetiche di alcune esperienze del teatro di ricerca sia nel lavoro di un’artista come Marta Cuscunà.
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Forse a partire da queste contaminazioni è possibile immaginare una nuova drammaturgia per il teatro di figura. In un mondo sempre più popolato di “oggetti intelligenti”, di schermi, di strumenti interattivi, di robot che sfidano per verosimiglianza la Principessa Brambilla cara a E.T.A. Hoffmann, Offenbach e Fellini, è ipotizzabile e forse necessario un ribaltamento di prospettiva. Se prima il rapporto con la marionetta e con l’oggetto permetteva di esplorare il non umano attraverso l’umano, oggi, in un mondo digitalizzato, regolato da algoritmi e big data, l’attore si trova a esplorare il non-umano attraverso l’umano.
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