Under28 | Un cielo diverso
The Sky Was Different, coreografia di Jonathan Fredrickson per lo Hubbard Street Dance di Chicago
Tutto inizia da una domanda: “Come stai?”
Il coreografo Jonathan Fredrickson e i danzatori dello Hubbard Street Dance di Chicago cominciano così i lavori per The Sky Was Different, pensato inizialmente come una produzione dal vivo e trasformato poi in un dance film.
Come tante altre realtà di produzione, lo Hubbard Street Dance, nonostante l’avvento della pandemia, non si è fermato nella sua ricerca e ha continuato il suo lavoro, adattando i meccanismi di produzione al difficile momento che l’industria dello spettacolo sta vivendo. Così, durante quattro intensissime settimane di workshop online, viene chiesto ai danzatori di indagare dentro sé stessi, esplorare le loro emozioni, i ricordi, tracciare un cambiamento interiore e fare i conti con frustrazione, angoscia e paura del futuro. Il risultato è The Sky Was Different, un film surreale che raccoglie insieme danza, versi e musica in un viaggio quasi onirico nell’immaginazione dei danzatori. La struttura drammaturgica ha la forma di un rondò-sonata dove le situazioni sceniche vengono trascinate in una spirale kafkiana da azioni non consequenziali. Sullo schermo si susseguono un carosello di storie allo stesso tempo unite e disgiunte, come metafora delle tante vite che durante la pandemia hanno finito per rassomigliarsi tutte, essendo comunque così diverse nella loro tragicità. Le scene corali indoor dipingono un quadro di assoluta alienazione dall’altro, come se l’unico comune denominatore fosse di carattere spaziale: ciascuno è preso dal suo mondo interiore, lontanissimo dal “qui ed ora”. I rari momenti di contatto con l’altro (pas de deux e brevi incursioni nello scorrere degli eventi) hanno ora un che di spersonalizzante, ora di ossessivo, ora di opprimente. Un uomo dialoga con il suo doppelgänger allo specchio, una ragazza di nome Jacqueline diventa la protagonista di un breve documentario sulla sua follia infantile. I movimenti della quotidianità perdono il loro carattere umano: quella che sembra essere la padrona di casa si affretta in giro in un continuo mettere e togliere le scarpe dal tacco alto.
“Isolamento, introspezione, rifugio, riflessione, perdita e amore” sono le parole con cui il coreografo e regista Jonathan Fredrickson descrive il suo lavoro in occasione della prima mondiale, seduto nel soggiorno della sua casa in Germania (Jonathan Fredrickson è un ballerino del Tanztheater Wuppertal Pina Bausch, ndr.). È visibilmente emozionato e pieno di energie, nonostante sia notte fonda per via del fuso orario.
Il lavoro del coreografo di comprendere profondamente quello che c’è dentro ciascun danzatore e quello che sta alla base del suo movimento è in stridente contrasto con la perdita di connessione con la realtà che abbiamo tutti sperimentato sulla nostra pelle durante le prime angoscianti settimane di lockdown.
La location del film è la Schweikher House, emblema della più avveniristica ricerca del design americano della fine degli anni ’30. Una casa in cui i danzatori sono intrappolati, isolati, come animali in gabbia, come il mondo fuori dallo schermo nei mesi più duri della pandemia. Come in Dieci piccoli indiani, giallo di Agatha Christie, i personaggi di The Sky Was Different sono coscienti che qualcosa di terribile li aspetta. La loro alienazione arriva al parossismo nei tragici movimenti ininterrottamente ripetuti, nei gesti senza senso, nei litigi a voce altissima e nella ricerca di qualcosa di non ben definito. Tutto il lavoro è puntellato di metafore, intenzionali o fortuite, rimandi a film come Lalaland, ad alcuni lavori di Wes Anderson e al mito della caverna di Platone. Ma la cosa davvero interessante di The Sky Was Different è che la coreografia racconta la storia personale di ciascun danzatore ed il gesto quotidiano viene estratto dal suo contesto, diventando coreografia. Il processo creativo ricorda moltissimo quello del questioning usato da Pina Bausch che risponde alla necessità dei danzatori di esprimersi attraverso il linguaggio del movimento – il loro linguaggio, quello coreografico. Durante la creazione è come se il coreografo assumesse le sembianze di psicologo. Il danzatore si dà tutto alla creazione artistica. Gli spettatori diventano voyeurs.
“Affogo ogni giorno”, “sono stanca di questo loop”, “non voglio stare sola”, “non so cosa fare”, “non sento niente” sono alcune delle frasi che che vengono ripetute in uno scenario sospeso tra realtà e immaginazione. I danzatori cercano di trovare conforto nella fuga da loro stessi e dal presente, consumano lo spazio e finiscono per essere niente più che vite sospese.
The Sky was Different non è un riadattamento per un medium digitale, ma un film vero e proprio che rappresenta il caos, la confusione, la disgiunzione, la non sequenzialità e i comportamenti incoerenti di questi tempi così strani. È un racconto di vite carico di empatia e confusione.
Un prodotto di qualità, ma certo non l’unico esempio virtuoso di quello che già è un nuovo “modo” della creazione artistica. Rimanendo questa volta nei confini italiani, è da tenere d’occhio il Centro di Residenza della Toscana con il progetto Residenze Digitali, che stimola la ricerca degli artisti del e attraverso il medium digitale. Prossimo appuntamento novembre 2021.
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